(sopra, Crocefissione, Jacopo Tintoretto, 1565)
Causa della
morte del Divino Redentore, la Croce è per ogni cristiano simbolo glorioso di
salvezza. Lungi dal dimenticarla, trascurarla o, peggio, vergognarsene, essa va
tenuta in sommo onore e in bella vista…
Così dice padre Franklin, il sacerdote protagonista del grande romanzo di Robert Hugh Benson, "Il padrone del mondo" (QUI tutto il romanzo in PDF scaricabile gratuitamente), che, scritto nel 1906, si mostra proprio oggi di straordinaria e tragica attualità.
La Chiesa, lo vediamo tutti, è a un bivio. Siamo certi della vittoria e del trionfo finali, ma sappiamo bene che, per arrivarvi, dobbiamo passare attraverso la prova. Ebbene, ora più che mai c’è assoluto bisogno di un nuovo Ordine religioso posto sotto la speciale protezione del Crocifisso, affinché la primavera ritorni e il Cuore Immacolato di Maria possa finalmente portare la pace universale promessa a Fatima. Al centro di tutto deve allora stare la Croce. Stat Crux dum volvitur orbis recita il motto dei certosini. La Croce rimane, mentre tutto cambia. La Croce, strumento di atroce supplizio e di morte infamante, è pure il mezzo del nostro riscatto, della nostra Salvezza. Gesù ha fatto della Croce il suo trono: regnavit a ligno Deus, Dio ha regnato dal legno della Croce. Perciò questo nuovo albero di vita, contrapposto a quello del paradiso terrestre, è il simbolo di noi cristiani, il nostro segno distintivo, la nostra bandiera.
Purtroppo, da cinquant’anni a questa parte, il Cattolicesimo sembra aver subito una mutazione, per cui ciò che per secoli era stato considerato sacro e centrale è divenuto improvvisamente imbarazzante e dannoso. Per capirlo basta entrare in una chiesa e assistere (anzi, partecipare) ad una Messa domenicale. Sugli altari trasformati in mense non c’è più il Crocifisso. Quando va bene, se ne può vedere uno, magari piccolo e striminzito, di fianco, quasi si provasse vergogna o paura al guardarlo. La Messa, benché nulla sia cambiato nel Magistero della Chiesa, è ormai percepita e vissuta da sacerdoti e fedeli laici come un pasto in comune, un’assemblea in cui si ricorda il Signore Risorto e non invece quel che veramente è, la ripresentazione, in maniera incruenta, dell’unico e perfetto Sacrificio di Cristo sul Calvario. Ci vuole davvero tanta fede per capire, in una Messa parrocchiale media, di trovarsi in compagnia della Madonna e di san Giovanni sul Golgota, sotto la Croce di Gesù… Ben diversa la situazione nel Rito antico, come ognuno può aver modo di constatare.
Del resto, Cristo Crocifisso è scomparso anche dalla predicazione. Oggi si preferisce parlare di Mistero pasquale e addirittura alla Via Crucis si è voluta aggiungere la XV stazione, che rappresenta la Risurrezione. A quanto pare, secondo i modernisti, l’invito di Gesù a seguirlo rinnegando se stessi e prendendo la propria croce ogni giorno dietro di Lui (cf. Lc 9,23) non dovrebbe più essere ascoltato. Di Croce e Crocifisso non si vuole proprio più sentir parlare. I termini sacrificio, espiazione, corredenzione, sofferenza vicaria (l’offrire i dolori e le penitenze per la conversione delle anime, per la Chiesa, per il Papa, per ottenere grazie, ecc.) sono praticamente dimenticati. Eppure questo è il Cattolicesimo. Regnavit a ligno Deus, Cristo è Re di tutto e di tutti perché ci ha riscattati versando il suo Preziosissimo Sangue sulla Croce. «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Ed è proprio vero, perché il Crocifisso, per il solo fatto di venir combattuto e oltraggiato, continua ad essere segno di contraddizione, che ben pochi lascia indifferenti. Sebbene in molti, anche nella Chiesa, tendano a ridurlo a mero simbolo di una cultura più o meno cristiana (ricordate le patetiche argomentazioni per giustificarne la presenza nei luoghi pubblici?), il Crocifisso resterà prima di tutto sempre e solo il segno della Regalità universale di Cristo. Anche papa Francesco ha ricordato questo caposaldo della nostra fede nella sua prima Messa nella Cappella Sistina, il giorno dopo la sua elezione. Papa Bergoglio ci ha ricordato che «quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore». Sicché possiamo ben dire, insieme all’apostolo san Paolo: «Non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14). Testimonianza, quella paolina, di come il culto della Croce fosse presente nei cristiani ben prima della “svolta costantiniana”.
L’auspicio, in questo momento in cui, lo ripetiamo, la Chiesa è ad un bivio, è il ritorno, in tutte le chiese cattoliche di tutto il mondo, degli altari orientati ad Deum, con sopra il Crocifisso che sovrasta. Altri escamotage (comunque non seguiti, lo si è visto in questi anni) possono essere un gesto di buona volontà, ma non rappresentano la soluzione. Tutti devono poter volgere lo sguardo a Colui che hanno trafitto (cf. Zc 12,10), perché da lì, solo da lì viene la Salvezza. «O Crux, ave, spes unica», recita lo stupendo inno Vexilla Regis prodeunt: sì, la Croce è la nostra unica speranza e non dobbiamo trascurarla né sminuirla. Proprio la Croce ha guidato interi eserciti cristiani a battersi, nelle Crociate, contro gli invasori islamici e questo dal Medioevo sino a Vienna, nel 1683. La Croce ha trasformato l’Europa barbara e in decadenza dopo la fine dell’Impero Romano, facendo sorgere la civiltà cristiana e ha portato la luce nelle Americhe nel XVI secolo. Sempre la Croce ha guidato i Cristeros messicani nella lotta armata contro il governo massonico persecutore e gli spagnoli che, nel 1936, hanno deciso di ribellarsi contro la Repubblica atea che si era instaurata nel loro Paese.
Anche oggi non dobbiamo avere paura di essere i nuovi crociati, pronti a combattere prima di tutto contro i nemici interni alla Chiesa, quei nemici che hanno ridotto il Corpo mistico di Cristo in uno stato comatoso. «Sub Christi Regis vexillis militare gloriamur», dobbiamo gloriarci di militare e combattere sotto i vessilli di Cristo Re, per il quale siamo chiamati, se necessario, a dare la vita e il sangue. E il vessillo per eccellenza è la Croce. Rivolto al “suo” Crocifisso, che dai venti conciliari rischiava di venir messo chissà dove, don Camillo dice: «Signore, la patria non è quel pezzo di tela colorata che si chiama bandiera. Però non si può trattare la bandiera della patria come uno straccio. E Voi siete la mia bandiera, Signore». Ecco, il Crocifisso deve essere la bandiera di ogni vero cattolico. La bandiera cui si tributa la massima riverenza e che pertanto deve tornare al centro delle nostre vite e delle nostre chiese. Viva Cristo Re!"
tratto da http://www.libertaepersona.org/wordpress/2013/07/la-mia-bandiera/
e da "Il Settimanale di Padre Pio"
Stat Crux dum volvitur orbis” (“la Croce resta fissa mentre il mondo ruota”, ma oggi diremmo: piroetta vorticosamente....) è il motto dei Certosini, fondati da San Bruno che proprio oggi 6 ottobre è festeggiato dalla Chiesa.
RispondiEliminadoc. Certosini
https://introiboadaltaredei.files.wordpress.com/2007/10/bruno.pdf
notare il motto vicino al simbolo, al link, in alto a sinistra:
RispondiEliminahttps://www.chartreux.org/it/
Stat Crux dum volvitur orbis. Uno dei moti che mi ritrovo a ricordare con maggior frequenza nella quotidianità, mentre osservo le follie del mondo che mi circonda. Ed ha il potere di confortarmi, portarmi serenità e rendermi più salda. Grazie Josh, per queste riflessioni.
RispondiEliminadal testo del post, estraggo questo passaggio così fondamentale, eppure sempre più dimenticato
RispondiElimina"Sugli altari trasformati in mense non c’è più il Crocifisso. Quando va bene, se ne può vedere uno, magari piccolo e striminzito, di fianco, quasi si provasse vergogna o paura al guardarlo.
La Messa, benché nulla sia cambiato nel Magistero della Chiesa, è ormai percepita e vissuta da sacerdoti e fedeli laici come un pasto in comune, un’assemblea in cui si ricorda il Signore Risorto e non invece quel che veramente è, la ripresentazione, in maniera incruenta, dell’unico e perfetto Sacrificio di Cristo sul Calvario. "
estraggo ancora un passaggio
RispondiElimina"Perciò questo nuovo albero di vita, contrapposto a quello del paradiso terrestre, è il simbolo di noi cristiani, il nostro segno distintivo, la nostra bandiera."
Nel 1mo riferimento della frase, si riferisce ancora alla croce come albero della vita.
C'era l'albero della conoscenza del bene e del male e anche l'albero della vita nel paradiso Terrestre (in Genesi).
E, nel testo soprastante non c'è,
ma anche in Apocalisse, a cose compiute, ci sarà l'albero della vita:
cfr. Apocalisse, 22, 2
"In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall'altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni."
i paralleli nelle S. Scritture non sono mai casuali e fanno parte dell'ingegnerizzazione divina del testo sacro, per indicarci a volte direttamente a volte attraverso segni e simboli una sapienza o una verità particolare.