lunedì 27 febbraio 2017
Un passaggio sintomatico da Ernst Jünger
"Quando tutte le istituzioni divengono equivoche o addirittura sospette,
e persino nelle chiese si sente pregare ad alta voce per i persecutori, anziché per le vittime,
la responsabilità morale passa nelle mani del singolo,
o meglio del singolo che non si è ancora piegato"
Ernst Jünger, Trattato del ribelle, traduzione di F. Bovoli, Piccola Biblioteca Adelphi, Adelphi, 1990, 13ª ediz., p. 136, ISBN 978-88-459-0758-6.
(sopra, nell'immagine: Caspar David Friedrich,
Berlino, Alte NationalGalerie, "Le rovine del Monastero di Eldena", 1824-25)
venerdì 24 febbraio 2017
S. Teresa d'Avila: "Nada te Turbe"
Todo se pasa,
Dios no se muda.
La paciencia
Todo lo alcanza;
Quien a Dios tiene
Nada le falta:
Sólo Dios basta.
Eleva el pensamiento,
Al cielo sube,
Por nada te acongojes,
Nada te turbe.
A Jesucristo sigue
Con pecho grande,
Y, venga lo que venga,
Nada te espante.
¿Ves la gloria del mundo
Es gloria vana;
Nada tiene de estable,
Todo se pasa.
Aspira a lo celeste,
Que siempre dura;
Dios no se muda.
Ámala cual merece
Bondad inmensa;
Pero no hay amor fino
Sin la paciencia.
Confianza y fe viva
Mantenga el alma,
Que quien cree y espera
Todo lo alcanza.
Del infierno acosado
Aunque se viere,
Burlará sus furores
Quien a Dios tiene.
Vénganle desamparos,
Cruces, desgracias;
Siendo Dios su tesoro,
Nada le falta.
Id, pues, bienes del mundo;
Id, dichas vanas;
Aunque todo lo pierda,
Sólo Dios basta.
Novantatre carmelitane scalze, da 24 Paesi diversi, si unirono in un coro virtuale per celebrare i 500 anni della nascita di
santa Teresa D’Avila (nel 2015). Il progetto fu realizzato
dall’americano Scott Haines, che riuscì a far cantare insieme le
religiose disseminate nei cinque continenti. Il testo del canto è il
famoso “Nada te turbe”, la melodia di seguito è stata composta da sister Claire
Sokol, del Carmelo di Reno, in Nevada, ispiratrice dell’iniziativa.
Le
suore hanno potuto scaricare via internet la musica, con tutti i
sussidii necessari. Hanno registrato in un file audio la loro parte e
l’hanno inviata ad Haines. Il quale ha montato il tutto in un coro al di
fuori dello spazio e in un video che è un omaggio alla
mistica spagnola e alle sue figlie.http://www.iltimone.org/32154,News.html
martedì 21 febbraio 2017
Breve da S. Agostino
«Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l’uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te»
(Agostino, Confessioni, I,1).
sabato 18 febbraio 2017
Roma Tre, 17/02/2017: in morte della Storia
Tralasciamo tutto il resto, ovvero il non aver mai nominato neppure lontanamente Nostro Signore, o
l'averci propinato il solito stantio armamentario ideologico, la lettura squisitamente socio-politica, l'appiattimento su di una dimensione umana, troppo umana, che avrebbe potuto appartenere ad un qualsiasi personaggio politico dell'area dem/prog del globo (il che ci fa capire come mai Sua Santità Benedetto XVI che pronuncia un discorso alla Sapienza era un' intollerabile intrusione clericale in una laica istituzione, mentre il Vescovo di Roma argentino è stato accolto con tutti gli onori, selfie, tripudi, bagni di folla, osanna, deliqui e applausi vari).
Tralasciamo.
Se è vero che il contenitore dentro il quale tutti ci muoviamo si presta, al netto delle pretese di obiettiva scientificità, ad interpretazioni e che in genere esso viene codificato e trascritto dai cosiddetti vincitori, e si aggiunga pure che mediamente impera un'abissale ignoranza circa i suoi contenuti, ciò non toglie che ieri, all'Università Roma Tre, tra una grigia ovvietà ed un' opaca banalità, perfino l'Onestà Intellettuale, che pure è generalmente di stomaco buono e resistente, davanti a tanto abuso strumentale e doloso del passato, si sia resa irreperibile.
Non si possono e non si devono con disinvolta noncuranza trasformare cruente, tragiche, drammatiche invasioni che hanno spazzato via da un terzo a metà della popolazione complessiva dell' Europa, con tutto il loro immaginabile codazzo di stupri, devastazioni, saccheggi, epidemie, carestie, guerre in stimolanti sfide o briose opportunità. Cosa pensiamo direbbe in proposito un contadino mantovano del VI secolo che ha vissuto la calata dei Longobardi o un pescatore siciliano che, quattro secoli dopo, avvista la nave saracena avvicinarsi alla costa?
Non si può e non si deve impunemente sostenere che il nostro continente sia il frutto di indistinti mescolamenti culturali, come se si fossero sommati semplicemente stratificandosi gli uni sugli altri, senza precisare che l'assimilazione, il conseguente arricchimento ed in definitiva la nostra civiltà è stata resa possibile dal fatto che c'era qualcuno che, libero dalla funesta superstizione del politicamente corretto, ha insegnato il lessico del mondo classico ai popoli barbari e conquistatori, e che, soprattutto, lungi dal considerare il proselitismo una solenne sciocchezza, li ha convertiti al cristianesimo.
Ma se "lor signori", per sordidi e immondi interessi, hanno tutto da guadagnare, al momento, nel silenziare la lezione che giunge dai secoli che furono, cerchiamo almeno noi, che siamo, ora come allora, la carne da macello, gli anonimi, gli umili di manzoniana memoria, la massa informe che si tenta di turlupinare, di imparare la morale che un passato per tanti aspetti così simile al presente ci sta chiaramente mostrando.
Ne va non solo di noi in prima persona, ma anche dei nostri figli, di coloro che verranno dopo di loro, e di tutti quelli che sono già venuti.
Se siamo uomini degni di questa definizione, è nostro preciso ed irrinunciabile dovere.
l'averci propinato il solito stantio armamentario ideologico, la lettura squisitamente socio-politica, l'appiattimento su di una dimensione umana, troppo umana, che avrebbe potuto appartenere ad un qualsiasi personaggio politico dell'area dem/prog del globo (il che ci fa capire come mai Sua Santità Benedetto XVI che pronuncia un discorso alla Sapienza era un' intollerabile intrusione clericale in una laica istituzione, mentre il Vescovo di Roma argentino è stato accolto con tutti gli onori, selfie, tripudi, bagni di folla, osanna, deliqui e applausi vari).
Tralasciamo.
Non è della trave che vorrei parlare, in quanto credo sia peggio che inutile l'ammorbare il tempo mio e dei lettori con analisi circa la natura del legno di cui è composta, la sua origine, struttura, composizione, caratteristiche e peculiarità: ne abbiamo tutti oramai abbastanza contezza e ci sono già autorevolissimi conoscitori presso i quali colmare le eventuali lacune.
Vorrei puntare il dito, invece, sull'apparente pagliuzza della Storia.
Se è vero che il contenitore dentro il quale tutti ci muoviamo si presta, al netto delle pretese di obiettiva scientificità, ad interpretazioni e che in genere esso viene codificato e trascritto dai cosiddetti vincitori, e si aggiunga pure che mediamente impera un'abissale ignoranza circa i suoi contenuti, ciò non toglie che ieri, all'Università Roma Tre, tra una grigia ovvietà ed un' opaca banalità, perfino l'Onestà Intellettuale, che pure è generalmente di stomaco buono e resistente, davanti a tanto abuso strumentale e doloso del passato, si sia resa irreperibile.
Non si possono e non si devono con disinvolta noncuranza trasformare cruente, tragiche, drammatiche invasioni che hanno spazzato via da un terzo a metà della popolazione complessiva dell' Europa, con tutto il loro immaginabile codazzo di stupri, devastazioni, saccheggi, epidemie, carestie, guerre in stimolanti sfide o briose opportunità. Cosa pensiamo direbbe in proposito un contadino mantovano del VI secolo che ha vissuto la calata dei Longobardi o un pescatore siciliano che, quattro secoli dopo, avvista la nave saracena avvicinarsi alla costa?
Popolo in fuga da invasioni barbariche, manoscritto bizantino, V sec. |
Non si può e non si deve impunemente sostenere che il nostro continente sia il frutto di indistinti mescolamenti culturali, come se si fossero sommati semplicemente stratificandosi gli uni sugli altri, senza precisare che l'assimilazione, il conseguente arricchimento ed in definitiva la nostra civiltà è stata resa possibile dal fatto che c'era qualcuno che, libero dalla funesta superstizione del politicamente corretto, ha insegnato il lessico del mondo classico ai popoli barbari e conquistatori, e che, soprattutto, lungi dal considerare il proselitismo una solenne sciocchezza, li ha convertiti al cristianesimo.
La Storia, con tutto il suo carico di dolore, i suoi morti ammazzati dalle opportunità venute dall'esterno, meriterebbe un pò più di rispetto, se non altro perchè, al netto delle favole con cui i signori del mondo ci martellano senza posa, essendo "magistra vitae", avrebbe ben molto da insegnare.
Ma se "lor signori", per sordidi e immondi interessi, hanno tutto da guadagnare, al momento, nel silenziare la lezione che giunge dai secoli che furono, cerchiamo almeno noi, che siamo, ora come allora, la carne da macello, gli anonimi, gli umili di manzoniana memoria, la massa informe che si tenta di turlupinare, di imparare la morale che un passato per tanti aspetti così simile al presente ci sta chiaramente mostrando.
Ne va non solo di noi in prima persona, ma anche dei nostri figli, di coloro che verranno dopo di loro, e di tutti quelli che sono già venuti.
Se siamo uomini degni di questa definizione, è nostro preciso ed irrinunciabile dovere.
venerdì 17 febbraio 2017
Lc 7, 36-50
Luca 7,36-50
36 Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37 Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; 38 e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato.39 A quella vista il fariseo che l'aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». 40 Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, di' pure». 41 «Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. 42 Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?». 43 Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44 E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45 Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. 46 Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. 47 Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». 48 Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». 49 Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest'uomo che perdona anche i peccati?». 50 Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va' in pace!».
martedì 14 febbraio 2017
L'acqua Viva
Giovanni 4, 5-30
5 Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6 qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno.
7 Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». 8 I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. 9 Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?».
I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. 10 Gesù le rispose:
«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!" , tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva».
11 Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva? 12 Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?».
13 Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete;
14 ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna».
15 «Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».
16 Le disse: «Va' a chiamare tuo marito e poi ritorna qui».
17 Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene "non ho marito"; 18 infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
19 Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. 20 I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
21 Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma è giunto il momento, ed è questo,
in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. 24 Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità».
25 Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». 26 Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo».
27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che desideri?», o: «Perché parli con lei?». 28 La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: 29 «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». 30 Uscirono allora dalla città e andavano da lui.
venerdì 10 febbraio 2017
Preghiera dello studente del Doctor Angelicus
Ho trovato, scartabellando negli anfratti impolverati di casa, questa perla.
L'ha scritta circa ottocento anni or sono uno degli studenti e poi professori più geniali della storia, a cui siamo e saremo sempre in sostanziale debito, e non solo come cristiani.
La condivido con voi.
Chissà che non venga utile a qualche studente contemporaneo, che, forse, è già grasso che cola se di San Tommaso d'Aquino ha udito il nome o poco più.
Ineffabile Creatore,
dai tesori della Tua sapienza
traesti le tre gerarchie degli Angeli
ed in ordine mirabile le collocasti nel cielo
e con splendida armonia disponesti le parti dell'universo.
Tu sei la vera sorgente della luce e della sapienza
ed il principio dal quale tutto dipende.
Degnati di infondere nella mia oscura intelligenza
un raggio del Tuo splendore
che allontani da me le tenebre del peccato e dell'ignoranza.
Tu che sciogli e fai parlare la lingua dei bimbi,
ingentilisci la mia parola e dà alle mie labbra
la grazia della Tua benedizione.
Dammi acutezza per intendere,
capacità per ritenere,
misura e facilità d'imparare,
penetrazione di ciò che leggo,
grazia di parola.
Dammi forza per incominciare bene il mio studio;
guidami lungo il corso della mia fatica;
dammi felice compimento.
Tu che sei vero Dio e vero uomo,
Gesù mio Salvatore, che vivi e regni per sempre.
Amen.
lunedì 6 febbraio 2017
Tradizione, Reazione, Recriminazione, Fedeltà e Santificazione
Propongo stavolta l'Editoriale di Radicati nella Fede che mette in luce un problema che ho spesso avvertito fino al limite della sopportazione.
La fede cattolica, vissuta nel mondo tradizionale, potrà mai esaurirsi solo nella polemica contro l'attuale corso disperante della cattolicità modernista?
Il problema naturalmente c'è,
ma il vero credente deve essere fedele a ciò che di vero, di eterno, di assoluto c'è in Dio,
e non perdersi troppo in chiacchiere se divengono fine a se stesse.
Si fa professione di fede, non professione di polemica se quest'ultima, anche quando giusta e circostanziata, diventa l'unica professione.
Va distinto e anche puntualizzato ciò che è giusto da ciò che è sbagliato ed ereticale, ma Dio continua a chiedere la santificazione e adoratori in spirito e in verità.
___________________________
Gli anni passano, e passano veloci e chi vive di recriminazioni resta senza nulla in mano.
Questo è vero per ogni cosa della nostra vita umana, ma è vero e forse
ancora di più per la vita di fede, per la vita soprannaturale, la vita
di grazia.
Non è vero per un motivo moralistico, perché recriminare non è bene, non
è bello; ma è vero per un motivo strutturale, cioè morale: la vita di
grazia non può stare con la recriminazione, con il continuo lamento.
Con questo non vogliamo dire che non si debba reagire al male e alla
crisi: questo foglio di collegamento è nato come reazione anche; per
essere uomini di Dio occorre essere anche uomini di reazione, occorre
reagire; ma la reazione, quella vera, è di natura diversa dalla
recriminazione.
La reazione parte dal positivo di una vita che si pone; la reazione difende un positivo che c’è già.
La recriminazione, che non è reazione, parte dalla rabbia di chi aspetta
da altri la soluzione dei propri problemi. La recriminazione parte da
un vuoto terribile.
Anche tra noi, nel mondo della Tradizione per intenderci, passa questa linea di demarcazione tra reazione e recriminazione.
Chi, in questi anni, ha fatto la Tradizione, vive in pace e continua a fare un gran bene alla propria anima e alla Chiesa tutta.
Chi, invece, in questo lavoro non è mai partito, per timidità, per
prudenza umana o peggio per calcolo meschinamente umano, oggi vive di
rabbia, colpevolizzando il sistema per i propri passi non fatti.
Invece occorre avere una posizione morale veramente equilibrata, cioè cattolica.
Ed è equilibrata, cioè vera, la posizione morale che non dimentica
nessuno dei fattori in gioco nell’azione umana. Se dimentichi un
fattore, diventi di fatto eretico, perché l’eresia è di per sé uno
squilibrio, una sottolineatura indebita.
La vita cristiana è vita soprannaturale, è vita di grazia, ma la grazia
non annulla la tua libertà, anzi chiede che la tua libertà si metta in
gioco: tu devi corrispondere alla grazia di Dio dentro un’azione reale, e
non solo cerebrale.
In una parola semplice, la grazia di Dio ti dà la
capacità di operare il bene, tu poi devi operare il bene che Dio ti dà
la possibilità di riconoscere e operare.
Negare uno dei due fattori sarebbe squilibrare il disegno di Dio, sarebbe uscire dalla realtà.
Non siamo Protestanti, sottolineando la grazia di Dio e basta: fanno
così quei tradizionali che guardano al valore della Tradizione, e questo
è giusto, ma che poi, fermandosi alla pura contemplazione, non agiscono
di conseguenza.
Non operano scelte concrete, che sono costose, perché
la Tradizione diventi una vita reale per loro.
Eh sì! perché se è vero che nella vita personale non si può sottolineare
unicamente la Grazia di Dio che salva, dimenticando che da parte nostra
deve corrispondere alla Grazia un’azione positiva reale – non ci si
salva senza le opere, come ci ricorda san Giacomo nella sua lettera e
come ribadisce tutta la Rivelazione e la Tradizione della Chiesa contro
la pretesa protestante del sola gratia - se è vero questo per la
vita personale, lo è altrettanto per la vita della Chiesa tutta, nel suo
aspetto pubblico e sociale; e questo è vero anche per il ritorno della
Chiesa alla sua salvifica Tradizione: che senso avrebbe essere
giustamente anti-protestanti e poi attendere che la riforma
anti-modernista della Chiesa piova dal cielo senza che tu abbia fatto
nulla?
E il fare non consiste in un recriminare o in un parlare della
Tradizione, ma consiste nel porre opere concrete perché la Tradizione
viva: prima tra tutte nel celebrare nel vetus ordo e nell’assistere alla Messa di sempre.
Non siamo nemmeno Liberali, pensando che la grazia possa agire in noi
senza limitare le nostre libertà personali (nei liberali le libertà
personali prevalgono sempre sulle scelte definitive): che senso avrebbe,
anche qui, volere la Tradizione nella Chiesa e non decidersi
nell’operare concretamente a favore di essa al fine di restare liberi
nei movimenti personali? Quanti “tradizionalisti” rischiano di fare
così!
Siamo cattolici: ci salviamo se corrispondiamo alla grazia, concretamente, se facciamo il bene, non se lo guardiamo da lontano.
Così siamo Tradizionali, cioè Cattolici secondo l’assioma di Pio X, se
facciamo la Tradizione concretamente, fino in fondo, espletando tutte le
possibilità concrete che ci sono date, fino al sacrificio di noi
stessi; non lo siamo, invece, se ci limitiamo a commentare da lontano la
situazione disastrosa della Chiesa, anche se lo facciamo secondo idee
tradizionali.
La fede senza le opere è morta, sempre, anche nella Tradizione... sia questo il richiamo che segni il nostro passo.
domenica 5 febbraio 2017
S. Agostino "Tardi t'amai"
Tardi t'amai, bellezza infinita,
tardi t'amai, tardi t'amai,
bellezza così antica e così nuova.
1. Eppure, Signore,
tu eri dentro me,
ma io ero fuori;
deforme com'ero,
guardavo la bellezza del tuo creato.
Tardi t'amai, bellezza infinita,
tardi t'amai, tardi t'amai,
bellezza così antica e così nuova.
2. Eri con me,
e invece io, Signore,
non ero con Te;
le tue creature mi tenevano lontano,
lontano da Te.
Tardi t'amai, bellezza infinita,
tardi t'amai, tardi t'amai,
bellezza così antica e così nuova.
3. Tu mi chiamasti,
e la Tua voce
squarciò la mia sordità;
Tu balenasti
e fu dissipata
la mia cecità.
Tardi t'amai, bellezza infinita,
tardi t'amai, tardi t'amai,
bellezza così antica e così nuova.
4. Tu esalasti
il dolce Tuo profumo
ed ho fame e sete di Te;
mi hai toccato:
ecco ora io anelo
alla Tua pace.
Tardi t'amai, bellezza infinita,
tardi t'amai, tardi t'amai,
bellezza così antica e così nuova.
(SANT’AGOSTINO, Le Confessioni, X, 27)
S.Agostino e S.Monica
nel pensiero di Benedetto XVI
[Angelus del 27 agosto 2006]
"Tutta l'esistenza di Agostino fu un’appassionata ricerca della verità. Alla fine, non senza un lungo tormento interiore, scoprì in Cristo il senso ultimo e pieno della propria vita e dell’intera storia umana.
Nell’adolescenza, attratto dalla bellezza terrena, "si gettò" su di essa – come egli stesso confida (cfr Confessioni 10,27-38) – in maniera egoistica e possessiva, con comportamenti che crearono non poco dolore alla sua pia madre. Ma attraverso un percorso faticoso, grazie anche alle preghiere di lei, Agostino si aprì sempre più alla pienezza della verità e dell’amore.
Egli rimarrà così modello del cammino verso Dio, suprema Verità e sommo Bene. "Tardi ti ho amato – egli scrive nel noto libro delle Confessioni –, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ecco: tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ... Eri con me e io non ero con te … Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità"..
Ottenga sant’Agostino il dono di un sincero e profondo incontro con Cristo a tutti quei giovani che, assetati di felicità, la cercano percorrendo sentieri sbagliati e si perdono in vicoli ciechi.
sabato 4 febbraio 2017
Il sacro silenzio nella celebrazione liturgica
Il sacro silenzio nella celebrazione liturgica
Così un’antifona nell’ottava del Natale ricorda, con straordinaria libertà, come nella notte dell’Esodo sia avvenuta la liberazione dell’uomo e l’affrancamento dal peccato.
Per riconoscerlo presente nel mondo, anzi nell’opera pubblica che è la liturgia – sacra proprio a motivo della Presenza – è necessario «silere», cioè tacere. Bisogna tacere per ascoltare, come all’inizio di un concerto, altrimenti il culto, ossia la relazione coltivata, profonda con Dio, non può incominciare, non si può «celebrare» Lui.
Ciò è indispensabile per pregare: «Entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto» (Mt 6,6).
La camera è l’anima, ma anche il tempio, dicono i Padri. Quale segreto può essere mantenuto senza silenzio? Il segreto della coscienza in cui si può udire la voce di Dio, nella notte silenziosa come per Samuele.
Ci vuole silenzio perché Dio possa parlare e noi ascoltarlo. Per questo andiamo in chiesa, per celebrare il culto divino, sacro perché scende dal silenzio eterno nel tempo così rumoroso, per placarlo e orientarlo all’Eterno.
Non c’è dubbio che la posizione frontale del sacerdote all’altare verso il popolo induca alla distrazione lui e i fedeli, disorientando la direzione della preghiera: imitiamo il Santo Padre che guarda al Crocifisso.
Il silenzio va recuperato, limitando al minimo le parole da parte di chi deve dare indicazioni preparatorie alla celebrazione. I sacerdoti, le religiose addette al servizio, i ministri limitino parole e movimenti, perché sono alla presenza di Colui che è la Parola.
Questo silenzio è chiesto all’inizio della Santa Messa per l’esame di coscienza, pur breve, onde riconoscere i nostri peccati «prima di celebrare i Santi Misteri».
Dopo l’invito a pregare con l’Oremus, il sacerdote si raccoglie in silenzio, per pregare e per dare il tempo ai fedeli di fare altrettanto e unire così la propria intenzione a quell’orazione che il sacerdote pronuncerà «raccogliendo» – perciò si chiama orazione «colletta» – e presentandola al Signore. Con questa orazione, comincia nella Messa la funzione sacerdotale di mediazione tra il popolo santo e il Signore.
Dalla preghiera a Dio si passa all’ascolto di Dio. Il Sinodo sulla Parola di Dio non ha trascurato di insistere sul silenzio come spazio privilegiato per riceverla. I misteri di Cristo – il Papa lo ricorda nell’Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini – sono legati al silenzio, come dicono i Padri della Chiesa. Così, più che moltiplicare gli incontri biblici, bisogna aver «realmente a cuore l’incontro personale con Cristo che si comunica a noi nella sua Parola» (n. 73). La liturgia della Parola è tale perché avviene nel silenzio sacro.
L’Ordo Missae suggerisce, a questo punto, che vi sia stata o no l’omelia, ancora silenzio. Sembra un esercizio «all’incontro spoglio, silenzioso, austero… al colloquio spontaneo, lieto, adorante con la divina Maestà, come trascinati nella scia della preghiera stessa di Cristo» (Paolo VI, Discorso agli Abati della Confederazione Benedettina, 30 Settembre 1970, n. 3).
È un invito ai monaci: ma ogni cristiano deve essere in qualche misura monaco, cioè abitare da solo col Signore. La liturgia sacra abilita a questo.
La Regola benedettina esorta il monaco a far sì che la sua mente sia in armonia con la voce (cf. 19,7): «Sembra una cosa semplicissima, diremmo naturale – sottolinea ancora Paolo VI – ma l’avere questa armonia interna tra la voce e la mente, è una delle cose più difficili» (Discorso agli Abati, cit.).
Proprio la dinamica del rapporto tra Dio che parla e il fedele che ascolta e risponde con il salmo o la preghiera – secondo la classica tripartizione conservatasi nella settimana santa: lettura, responsorio, orazione – costituisce l’esercizio necessario, la ruminatio dei Padri, per assimilare e far sì che voce e mente si armonizzino.
Questo è particolarmente utile in vista dell’offerta di sé, dei nostri corpi in sacrificio spirituale «come culto secondo la ragione», che per questo «rinnova la mente» al fine di distinguere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (cf. Rm 12,1-2).
Il rinnovamento della mente è il giudizio secondo Dio e non secondo il mondo. La liturgia deve favorire la conversione dalla mentalità mondana e carnale, che tende sempre ad infeudare chierici e laici. Rinnovare la mente significa guardare la realtà e non inseguire le proprie idee – l’ideologia –, perché Egli fa nuove tutte le cose.
Il silenzio può riaffiorare all’offertorio, ove non è necessario né obbligatorio che le formule previste di offerta siano dette ad alta voce. Si potrebbe poi suggerire che, in futuro, la Preghiera Eucaristica, anche nella Messa di Paolo VI, possa essere recitata submissa voce, quasi in silenzio, per favorire il raccoglimento: come si faceva e si continua a fare nella celebrazione in «forma straordinaria».
È sempre necessario sentire parole così arcane, in specie quelle della consacrazione? Se il sacerdote abbassasse il tono della voce, non reciterebbe, ma pregherebbe davvero lui e favorirebbe il raccoglimento e l’unione dei fedeli alla sua preghiera di mediazione sacerdotale. Analogo silenzio è raccomandato specialmente al ringraziamento dopo la Comunione.
Ma, al di là dei momenti specifici, è tutta la liturgia, anzi la chiesa stessa come spazio sacro, che necessita di recuperare il clima di silenzio. Tale esigenza portava a preordinare spazi di raccordo come narteci e atrii per passare dall’esterno all’interno, dalla dispersione al raccoglimento.
Non servirebbe anche ai nostri giorni? «La capacità di interiorità, una maggiore apertura dello spirito, uno stile di vita che sappia sottrarsi a quanto è chiassoso e invadente, devono tornare ad apparirci mete da annoverare tra le nostre priorità.
In Paolo troviamo l’esortazione a rafforzarsi nell’uomo interiore (Ef 3,16). Siamo onesti: oggi v’è una ipertrofia dell’uomo esteriore e un indebolimento preoccupante della sua energia interiore»
(J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p. 167).
giovedì 2 febbraio 2017
2 Febbraio - Purificazione della SS. ma Vergine o Candelora
2
FEBBRAIO
PURIFICAZIONE
DELLA SANTISSIMA VERGINE
DELLA SANTISSIMA VERGINE
Sono
trascorsi infine i quaranta giorni della Purificazione di Maria, ed è
giunto il momento in cui essa deve salire al Tempio del Signore
per presentarvi Gesù. Prima di seguire il Figlio e la Madre in questo
viaggio a Gerusalemme, fermiamoci ancora un istante a Betlemme, e
penetriamo con amore e docilità i misteri che stanno per
compiersi.
La legge di Mosè.
La
legge del Signore ordinava alle donne d'Israele, dopo il parto,
di rimanere per quaranta giorni senza accostarsi al tabernacolo. Spirato
tale termine, dovevano, per essere purificate, offrire un sacrificio,
che consisteva in un agnello, destinato ad essere consumato in olocausto,
e vi si doveva aggiungere una tortora o una colomba, offerte per il
peccato. Se poi la madre era troppo povera per offrire l'Agnello,
il Signore aveva permesso di sostituirlo con un'altra tortora o
con un'altra colomba.
Un
altro comandamento divino dichiarava tutti i primogeniti proprietà del Signore, e prescriveva il modo di riscattarli. Il prezzo
del riscatto era di cinque sicli che, al peso del santuario, rappresentavano
ognuno venti oboli.
Obbedienza di Gesù e di Maria.
Maria,
figlia d'Israele, aveva partorito; Gesù era il suo primogenito. Il
rispetto dovuto a tale parto e a tale primogenito, permetteva il
compimento della legge?
Se
Maria considerava i motivi che avevano portato il Signore ad
obbligare tutte le madri alla purificazione, vedeva chiaramente che questa
legge non era stata fatta per lei. Quale relazione poteva avere con le
spose degli uomini colei che era il purissimo santuario dello Spirito
Santo, Vergine nel concepimento del Figlio, Vergine nel suo ineffabile
parto, sempre casta, ma ancora più casta dopo aver portato nel suo seno
e dato alla luce il Dio di ogni santità? Se considerava la qualità
del suo Figliuolo, la maestà del Creatore e del sommo Padrone di tutte
le cose il quale si era degnato di nascere in lei, come avrebbe potuto
pensare che questo figlio era sottomesso all'umiliazione del riscatto,
come uno schiavo che non appartiene a se stesso?
Tuttavia,
lo Spirito che abitava in Maria le rivela che deve compiere il duplice
precetto. Malgrado la sua dignità di Madre di Dio, è necessario che si
unisca alla folla delle madri degli uomini che si recano al tempio, per
riacquistarvi, mediante un sacrificio, la purezza che hanno perduta.
Inoltre, il Figlio di Dio e Figlio dell'uomo deve essere considerato in
tutto come un servo. Bisogna che sia riscattato quindi come l'ultimo dei
figli d'Israele. Maria adora profondamente questo supremo volere, e vi
si sottomette con tutta la pienezza del cuore.
I
consigli dell'Altissimo avevano stabilito che il Figlio di Dio sarebbe
stato rivelato al suo popolo solo per gradi. Dopo trent'anni di vita
nascosta a Nazareth dove - come dice l'evangelista - era
ritenuto il figlio di Giuseppe, un grande Profeta doveva annunciarlo
ai Giudei accorsi al Giordano per ricevervi il battesimo di penitenza.
Presto le sue opere, i suoi miracoli avrebbero reso testimonianza di
lui. Dopo le ignominie della Passione, sarebbe risuscitato
gloriosamente, confermando così la verità delle sue profezie,
l'efficacia del suo Sacrificio e infine la sua divinità. Fino allora
quasi tutti gli uomini avrebbero ignorato che la terra possedeva il
suo Salvatore e il suo Dio. I pastori di Betlemme non avevano ricevuto
l'ordine, come più tardi i pescatori di Genezareth, di andar a portare
la Parola fino agli estremi confini del mondo? I Magi erano tornati
nell'Oriente senza rivedere Gerusalemme commossa per un solo istante al
loro arrivo. Quei prodigi, di così grande portata agli occhi della
Chiesa dopo il compimento della missione del suo divino Re, non avevano
trovato eco o memoria fedele se non nel cuore di qualche vero
Israelita che aspettava la salvezza d'un Messia umile e povero. La
nascita di Gesù a Betlemme doveva restare ignota alla maggior parte dei
Giudei, e i Profeti avevano predetto che sarebbe stato chiamato Nazareno.
Il
piano divino aveva stabilito che Maria fosse la sposa di Giuseppe, per
proteggere, agli occhi del popolo, la sua verginità; ma richiedeva pure
che questa purissima Madre venisse come le altre donne di Israele ad
offrire il sacrificio di purificazione per la nascita del Figlio che
doveva essere presentato al tempio come il Figlio di Maria, sposa di
Giuseppe. Così la somma Sapienza si compiace di mostrare che i suoi
pensieri non sono i nostri pensieri e di sovvertire i nostri deboli
concetti, aspettando il giorno in cui lacererà i veli e si mostrerà
nuda ai nostri occhi abbagliati.
Il
volere divino fu sempre caro a Maria, in questa circostanza come in
tutte le altre. La Vergine non pensò di agire contro l'onore del suo
Figliuolo né contro il merito della propria integrità venendo a
cercare una purificazione esteriore della quale non aveva bisogno. Essa
fu, al Tempio, la serva del Signore, come lo era stata nella casa
di Nazareth alla visita dell'Angelo. Obbedì alla legge perché le
apparenze la dichiaravano soggetta alla legge. Il suo Dio e Figliuolo si
sottometteva al riscatto come l'ultimo degli uomini. Aveva obbedito
all'editto di Augusto per il censimento universale; doveva "essere
obbediente fino alla morte, e alla morte di croce": la Madre e il
Figlio si umiliarono insieme. E l'orgoglio dell'uomo ricevette in quel
giorno una delle più belle lezioni che mai gli siano state impartite.
Il viaggio.
Che mirabile viaggio quello
di Maria e di Giuseppe che vanno da Betlemme a Gerusalemme! Il divino
Bambino è fra le braccia della mamma, che lo tiene stretto al cuore per
tutta la strada. Il cielo, la terra e tutta la natura sono santificate
dalla dolce presenza del loro creatore. Gli uomini in mezzo a cui passa
quella madre carica del suo tenero frutto la considerano, gli uni con
indifferenza, gli altri con curiosità; nessuno penetra il mistero che
deve salvarli tutti.
Giuseppe è portatore del
dono che la madre deve presentare al sacerdote. La loro povertà non
permette che acquistino un agnello; e d'altronde non è forse Gesù
l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo? La legge ha designato
la tortora o la colomba per supplire l'offerta che una madre povera non
avrebbe potuto presentare. Giuseppe porta anche i cinque sicli, prezzo
del riscatto del primogenito, poiché è veramente il Primogenito quel
figlio unico di Maria che si è degnato di farci suoi fratelli e di
renderci partecipi della natura divina adottando la nostra.
Gerusalemme.
Finalmente
la sacra famiglia è entrata in Gerusalemme. Il nome di questa città
significa visione di pace, e il Salvatore viene con la sua
presenza ad offrirle la pace. Consideriamo il magnifico progresso
che vi è nei nomi delle tre città alle quali si collega la vita
mortale del redentore. Viene concepito a Nazareth, che significa il fiore,
poiché egli è - come dice lui stesso nel cantico - il fiore
dei campi e il giglio delle valli; e il suo divino odore ci
riconsola. Nasce a Betlemme, la casa del pane, per essere il
cibo delle anime nostre. Viene offerto in sacrificio sulla croce a
Gerusalemme e col suo sangue ristabilisce la pace fra il cielo e
la terra, la pace fra gli uomini e la pace nelle anime
nostre.
Oggi,
come presto vedremo, egli ci darà un pegno di questa pace.
Il Tempio.
Mentre
Maria, che porta il suo divino fardello, sale - Arca vivente - i
gradini del Tempio, prestiamo attenzione, poiché si compie una delle più
celebri profezie e si rivela uno dei principali caratteri del Messia.
Concepito da una Vergine, nato in Betlemme come era stato predetto, Gesù,
varcando la soglia del Tempio, acquista un nuovo titolo alla nostra
adorazione.
Questo
edificio non è più il famoso Tempio di Salomone che fu preda
delle
fiamme nei giorni della cattività di Giuda. È il secondo Tempio
costruito al ritorno da Babilonia e il cui splendore non ha
raggiunto la
magnificenza dell'antico. Prima della fine del secolo sarà
rovesciato
per la seconda volta, e le parole del Signore hanno garantito
che non ne
rimarrà pietra su pietra. Ora, il Profeta Aggeo per consolare
gli Ebrei
tornati dall'esilio, i quali confessavano la loro impotenza ad
innalzare
al Signore una casa paragonabile a quella che aveva costruita
Salomone,
ha detto loro queste parole, che devono servire a fissare il
tempo della
venuta del Messia: "Fatti animo, o Zorobabele - dice il Signore -
fatti animo, o Gesù, figlio di Josedec, sommo Sacerdote; fatti animo, o
popolo di questa contrada, poiché ecco quanto dice il Signore: Ancora
un po' di tempo e scuoterò il cielo e la terra, e scuoterò tutte le
genti; e verrà il desiderato di tutte le genti; e riempirò di gloria
questa casa. La gloria di questa seconda casa sarà maggiore di quella
della prima; e in questo luogo darò la pace - dice il Signore
degli eserciti".
È
giunta l'ora del compimento di questo oracolo. L'Emmanuele, è uscito
dal suo riposo di Betlemme, si è mostrato in piena luce, è venuto a
prender possesso della sua casa terrena; e con la sua sola presenza in
questo secondo Tempio, ne eleva d'un tratto la gloria al di sopra di
quella di cui era circondato il tempio di Salomone. Lo visiterà ancora
parecchie volte ma l'entrata ch'egli vi fa oggi sulle braccia della
madre, basta a compiere la profezia: d'ora in poi le ombre e le immagini
che conteneva quel Tempio cominciano a svanire ai raggi del Sole della
verità e della giustizia. Il sangue delle vittime tingerà ancora per
qualche anno i corni dell'altare, ma in mezzo a tutte quelle vittime,
ostie impotenti, s'avanza già il Bambino che porta nelle sue vene il
sangue della Redenzione del mondo. Tra quella folla di sacrificatori, in
mezzo alla moltitudine di figli d'Israele che si stringe nel Tempio,
parecchi aspettano il Liberatore, e sanno che si avvicina l'ora della
sua manifestazione ma nessuno di essi sa ancora che in quello stesso
momento il Messia atteso è appena entrato nella casa di Dio.
Tuttavia
il grande evento non doveva compiersi senza che l'Eterno operasse un
nuovo miracolo. I pastori erano stati chiamati dall'Angelo, la stella
aveva guidato i Magi dall'Oriente a Betlemme; ed
ora lo Spirito Santo procura egli stesso al divino Bambino una
testimonianza nuova e inattesa.
Il Santo Vegliardo.
Viveva
a Gerusalemme un vecchio la cui vita volgeva al termine; ma
quest'uomo ardente, chiamato Simeone, non aveva lasciato affievolire
nel suo cuore l'attesa del Messia. Sentiva che ormai si erano compiuti i
tempi; e come premio della sua speranza, lo Spirito Santo gli aveva
fatto conoscere che i suoi occhi non si sarebbero chiusi prima di aver
visto la Luce divina levarsi sul mondo. Nel momento in cui Maria e
Giuseppe salivano i gradini del Tempio portando verso l'altare il
Bambino della promessa, Simeone si sente spinto interiormente dalla
forza dello Spirito divino, esce dalla propria casa e si dirige verso il
Tempio. Sulla soglia della casa di Dio, i suoi occhi hanno subito
riconosciuto la Vergine profetizzata da Isaia, e il suo cuore vola verso
il Bambino che ella tiene fra le braccia.
Maria,
ammaestrata dallo stesso Spirito, lascia avvicinare il vecchio, e depone
fra le sue braccia tremanti il caro oggetto del suo amore, la speranza
della salvezza della terra. Beato Simeone, immagine del mondo antico
invecchiato nell'attesa e presso a finire! Ha appena ricevuto il
dolce frutto della vita, che la sua giovinezza si rinnova come quella
dell'aquila, e si compie in lui la trasformazione che deve realizzarsi
nell'umano genere. La sua bocca si apre, la sua voce risuona, ed egli
rende testimonianza come i pastori nella contrada di Betlemme e come i
Magi nell'Oriente. "O Dio - egli dice - i miei occhi hanno dunque
visto il Salvatore che tu preparavi! Risplende finalmente quella luce
che deve illuminare i Gentili e costituire la gloria del tuo popolo
d'Israele".
Anna la Profetessa.
Ed
ecco sopraggiungere, attirata anch'essa dall'ispirazione dello Spirito
Divino, la pia Anna, figlia di Fanuel. I due vegliardi, che
rappresentano la società antica, uniscono le loro voci, e celebrano la
venuta del Bambino che viene a rinnovare la faccia della terra, e la
misericordia di Dio che dà finalmente la pace al mondo.
È
in questa pace tanto desiderata che Simeone spirerà la sua
anima. Lascia dunque partire nella pace il tuo servo, secondo la tua
parola, o Signore! - dice il vecchio; e presto l'anima sua,
liberata dai legami del corpo, porterà agli eletti che riposano nel
seno di Abramo la notizia della pace che appare sulla terra, e
aprirà presto i cieli. Anna sopravvivrà ancora per qualche tempo a
questa sublime scena; essa deve, come ci dice l'Evangelista, annunciare
il compimento delle promesse ai Giudei in ispirito che aspettavano la
Redenzione d'Israele. Un seme doveva essere affidato alla terra; i
pastori, i Magi, Simeone, Anna l'hanno gettato; esso spunterà a suo
tempo: e quando gli anni d'oscurità che il Messia deve passare in
Nazareth saranno trascorsi, quando egli verrà per la messe, dirà ai
suoi discepoli: Osservate come il frumento è presso alla maturazione
nelle spighe: pregate dunque il padrone della messe che mandi operai
per la messe.
Il
beato vegliardo restituisce dunque alle braccia della purissima Maria
il Figlio che essa offrirà al Signore. I volatili sono presentati al
sacerdote che li sacrifica sull'altare, viene versato il prezzo del
riscatto e si compie cosi la perfetta obbedienza; e dopo aver reso i
suoi omaggi al Signore, Maria stringendosi al cuore il divino Emmanuele
e accompagnata dal suo fedele sposo, discende i gradini del Tempio.
Liturgia.
Ecco
il mistero del quarantesimo giorno, che chiude la serie dei giorni del Tempo
di Natale con la festa della Purificazione della santissima Vergine.
La Chiesa Greca e la Chiesa di Milano pongono la festa nel numero delle
solennità di Nostro Signore; la Chiesa Romana l'annovera tra le feste
della santa Vergine. Senza dubbio il Bambino Gesù viene offerto oggi
nel Tempio e riscattato, ma è in occasione della Purificazione di Maria,
di cui quell'offerta e quel riscatto sono come la conseguenza. I più
antichi Martirologi e Calendari dell'Occidente presentano la festa
sotto il nome che ancora oggi conserva, e la gloria del Figlio, lungi
dall'essere oscurata dagli onori che la Chiesa rende alla Madre, ne
riceve un nuovo aumento, poiché egli solo è il principio di tutte le
grandezze che noi celebriamo in essa.
LA
BENEDIZIONE DELLE CANDELE
Origine storica.
Dopo
l'Ufficio di Terza, la Chiesa compie in questo giorno la solenne
benedizione delle Candele, che è una delle tre principali benedizioni
che hanno luogo nel corso dell'anno: le altre due sono quella delle
Ceneri e quella delle Palme. L'intenzione della cerimonia è legata al
giorno stesso della Purificazione della santa Vergine, di modo che se
una delle domeniche di Settuagesima, di Sessagesima o di Quinquagesima
cade il due febbraio, la festa è rimandata all'indomani, ma la
benedizione delle Candele e la Processione che ne è il complemento
restano fissate al due febbraio.
Onde
raccogliere sotto uno stesso rito le tre grande Benedizioni di cui
parliamo, la Chiesa ha prescritto, per quella delle Candele, l'uso dello
stesso colore viola che adopera nella benedizione delle Ceneri e delle
Palme, di modo che la funzione, che serve a indicare il giorno in cui si
è compiuta la Purificazione di Maria, deve eseguirsi tutti gli anni il
due febbraio, senza alcuna deroga al colore prescritto per le tre
Domeniche di cui abbiamo parlato.
Intenzione della Chiesa.
L'origine
storica è abbastanza difficile a stabilirsi in modo preciso.
Secondo
Baronio, Thomassin, Baillet ecc., tale benedizione sarebbe stata
istituita, verso la fine del V secolo, dal Papa san Gelasio
(492-496),
per dare un senso cristiano ai resti dell'antica festa dei
Lupercali, di
cui il popolo di Roma aveva ancora conservato alcune usanze
superstiziose. È almeno certo che san Gelasio abolì le ultime
vestigia
della festa dei Lupercali che veniva celebrata nel mese di
febbraio.
Innocenzo III, in uno dei suoi Sermoni sulla Purificazione, ci
dice
che l'attribuzione della cerimonia delle Candele al due febbraio
è
dovuta alla saggezza dei Pontefici romani, i quali avrebbero
indirizzato al culto della santa Vergine i resti d'una usanza
religiosa degli antichi Romani, che accendevano delle fiaccole
in
ricordo delle torce alla cui luce Cerere aveva, secondo la
favola,
percorso le cime dell'Etna, cercando la figlia Proserpina rapita
da Plutone; ma non si trova alcuna festa in onore di Cerere nel mese di
febbraio nel calendario degli antichi Romani. Ci sembra dunque
più
esatto adottare l'idea di D. Hugues Mènard, Rocca, Henschenius e
Benedetto XIV, i quali ritengono che l'antica festa conosciuta
in
febbraio sotto il nome di Amburbalia e nella quale i pagani
percorrevano
la città portando delle fiaccole, ha dato occasione ai Sommi Pontefici
di sostituirvi un rito cristiano che essi hanno congiunto alla
celebrazione della festa in cui Cristo, Luce del mondo, viene presentato
al Tempio dalla Vergine madre [1].
Il mistero.
Il
mistero di questa cerimonia è stato sovente illustrato dai liturgisti
dal VII secolo in poi. Secondo quanto afferma sant'Ivo di Chartres nel
suo secondo Sermone sulla festa di oggi, la cera delle candele, formata
dalle api con il succo dei fiori che l'antichità ha sempre considerate
come un'immagine della Verginità, simboleggia la carne virginea del
divino Bambino, il quale non ha intaccato nella sua concezione e nella
sua nascita l'integrità di Maria. Nella fiamma della candela, il
Vescovo ci invita a vedere il simbolo di Cristo che è
venuto a illuminare le nostre tenebre. Sant'Anselmo, nelle sue
Enarrazioni
su san Luca, descrivendo lo stesso mistero, ci dice che nella Candela vi
sono da considerare tre cose: la cera, lo stoppino e la fiamma. La cera
- egli dice - opera dell'ape virginea, è la carne di Cristo; lo
stoppino, che sta dentro, è l'anima; e la fiamma, che brilla nella
parte superiore, è la divinità.
Le candele.
Un
tempo i fedeli si davano premura di portare essi stessi le candele alla
chiesa nel giorno della Purificazione perché fossero benedette
insieme con quelle che i sacerdoti e i ministri portano nella
Processione. Tale usanza è osservata ancora in molti luoghi. È
desiderabile che i Pastori delle anime inculchino fortemente tale
usanza, e la ristabiliscano o la mantengano dovunque ve n'è bisogno.
Tanti sforzi fatti per distruggere o almeno per impoverire il culto
esterno ha arrecato insensibilmente il più triste affievolirsi del
sentimento religioso di cui la Chiesa possiede la sorgente nella
Liturgia. È necessario inoltre che i fedeli sappiano che le candele
benedette nel giorno della Candelora debbono servire non soltanto alla
Processione, ma anche all'uso dei cristiani che, custodendole
rispettosamente nelle proprie case, portandole con sé, tanto sulla
terra che sulle acque, come dice la Chiesa, attirano speciali
benedizioni dal cielo. Si devono accendere quelle candele al capezzale
dei morenti, come ricordo dell'immortalità che Cristo ci ha meritata e
come segno della protezione di Maria.
LA
PROCESSIONE E LA MESSA
Piena
di gaudio, rischiarata dalla moltitudine delle fiaccole e trasportata
come Simeone dal moto dello Spirito Santo, la santa Chiesa si mette in
cammino per andare incontro all'Emmanuele. È questo incontro che la
Chiesa Greca, nella sua Liturgia, designa con.il nome di Ipapante
e della quale ha fatto l'attributo della festa di oggi. Lo scopo è di
imitare la processione del Tempio di Gerusalemme, che san Bernardo così
celebra nel suo primo Sermone sulla Festa della Purificazione di Maria:
"Oggi la Vergine madre introduce il Signore del Tempio nel Tempio del
Signore, e Giuseppe presenta al Signore non un figlio suo, ma il Figlio
diletto del Signore, nel quale Egli ha posto le sue compiacenze. Il
giusto riconosce Colui che aspettava; la vedova Anna lo esalta nelle sue
lodi. Questi quattro personaggi hanno celebrato per la prima volta la
Processione di oggi, che, in seguito, doveva essere solennizzata nella
letizia di tutta la terra in ogni luogo e da tutte le genti. Non
stupiamo che quella Processione sia stata piccola, poiché Colui che vi
si riceveva si era fatto piccolo. Nessun peccatore vi apparve: tutti
erano giusti, santi e perfetti".
Camminiamo
nondimeno sulle loro orme. Andiamo incontro allo Sposo, come le Vergini
prudenti, portando in mano lampade accese al fuoco della carità.
Ricordiamo il consiglio che ci da il Salvatore stesso: Siano i
vostri lombi precinti come quelli dei viandanti; portate
in mano fiaccole accese e siate simili a coloro che aspettano il loro
Signore (Lc 12,35). Guidati dalla fede, illuminati dall'amore, noi
lo incontreremo, lo riconosceremo, ed egli si darà a noi.
Terminata
la Processione, il Celebrante e i ministri depongono i paramenti viola,
e indossano quelli bianchi per la Messa solenne della Purificazione
della Vergine. Se ci si trovasse tuttavia in una delle tre Domeniche di
Settuagesima, di Sessagesima o di Quinquagesima, la Messa della festa si
dovrà rimandare all'indomani.
EPISTOLA (Ml 3,1-4). - Il Signore Iddio dice: Ecco io mando il mio Angelo, a preparare davanti a me la strada; e subito verrà al suo tempio il Dominatore da voi cercato, e l'Angelo del Testamento, da voi bramato. Eccolo, viene - dice il Signore degli eserciti. - E chi potrà indovinare il giorno della sua venuta? Chi potrà stare a rimirarlo? Egli sarà come fuoco di fonditore, come l'erba dei gualchierai. Egli sederà a fondere e purificare l'argento, e allora offriranno al Signore sacrifizi di giustizia. E piacerà al Signore il sacrificio di Giuda e di Gerusalemme, come in antico, come ai tempi di una volta. Così parla il Signore onnipotente.
Tutti
i Misteri dell'Uomo-Dio hanno per oggetto la purificazione dei nostri
cuori. Egli manda il suo Angelo, il suo Precursore davanti a sé, per
preparare la via e Giovanni ci gridava dal profondo del deserto: Abbassate
i colli, colmate le valli. Viene infine egli stesso, l'Agnello,
l'Inviato per eccellenza, a stringere l'alleanza con noi; viene
al suo Tempio; e questo tempio è il nostro cuore. Ma egli è simile a
un fuoco ardente che fonde e purifica i metalli. Vuole rinnovarci,
rendendoci puri, affinché diventiamo degni di essergli offerti, e di
essere offerti con lui in un sacrificio perfetto. Non dobbiamo dunque
accontentarci di ammirare così sublimi meraviglie, ma comprendere che
esse ci sono mostrate solo per operare in noi la distruzione del
vecchio uomo e la creazione del nuovo. Siamo dovuti nascere con Gesù
Cristo; questa nuova nascita è già giunta al suo quarantesimo
giorno. Oggi bisogna che siamo presentati insieme con lui da Maria, che
è anche la Madre nostra, alla Maestà divina. Si avvicina l'istante
del Sacrificio; prepariamo ancora una volta le anime nostre.
VANGELO (Lc 2,22-32). - In quel tempo, compiutisi i giorni della Purificazione di Maria, secondo la legge di Mosè portarono Gesù a Gerusalemme, per presentarlo al Signore: secondo quello che sta scritto nella legge del Signore: ogni primogenito maschio sarà consacrato al Signore; e per far l'offerta prescritta dalla legge del Signore, d'un paio di tortore o di due piccole colombe. C'era allora in Gerusalemme un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio che aspettava la consolazione d'Israele; e lo Spirito Santo era in lui e gli aveva assicurato che non sarebbe morto prima di vedere il Cristo del Signore. E mosso dallo Spirito Santo, andò al tempio; e quando i genitori vi portarono il bambino Gesù, per fare a suo riguardo secondo il rito della legge, Simeone pure se lo prese in braccio, e benedicendo Dio esclamò: "Or lascia, o Signore, che il tuo servo, secondo la tua parola, se ne vada in pace; perché gli occhi miei hanno mirato il tuo Salvatore, da te preparato nel cospetto di tutti i popoli, luce di rivelazione alle Genti e gloria d'Israele tuo popolo".
Lo
Spirito divino ci ha guidati al Tempio come Simeone; vi contempliamo in
questo istante la Vergine Madre che presenta all'altare il Figlio di Dio
e suo. Noi ammiriamo questa fedeltà alla Legge nel Figlio e nella
Madre, e sentiamo nell'intimo del cuore il desiderio di essere
presentati a nostra volta al Signore che accetterà il nostro omaggio
come ha ricevuto quello del suo Figliuolo. Affrettiamoci dunque a
mettere i nostri sentimenti in sintonia con quelli dei Cuori di Gesù e
di Maria. La salvezza del mondo ha fatto un passo in questo giorno;
progredisca dunque anche l'opera della nostra santificazione. D'ora in
poi il mistero del Dio Bambino non ci sarà più offerto dalla Chiesa
come oggetto speciale della nostra religione; i soavi quaranta giorni
di Natale volgono al termine; dobbiamo ora seguire l'Emmanuele nelle
sue lotte contro i nostri nemici. Seguiamo i suoi passi; corriamo al
suo seguito come Simeone, e camminiamo senza stancarci sulle orme di
Colui che è la nostra Luce; amiamo
questa Luce, e otteniamo con la nostra premurosa fedeltà che essa
risplenda sempre su di noi.
O Emmanuele, in questo giorno in cui fai l'ingresso nel Tempio della tua
Maestà, portato in braccio da Maria Madre tua, ricevi l'omaggio delle
nostre adorazioni e della nostra riconoscenza. Onde sacrificarti per
noi tu vieni nel Tempio; come preludio del nostro riscatto ti degni di
pagare il debito del primogenito e per abolire presto i sacrifici
imperfetti vieni ad offrire un sacrificio legale. Compari oggi nella
città che dovrà essere un giorno il termine della tua corsa e il luogo
della tua immolazione. Non ti è bastato nascere per noi; il tuo amore
ci riserba per l'avvenire una testimonianza più splendente.
Tu,
consolazione d'Israele e su cui gli Angeli amano tanto posare i loro
sguardi, entri nel Tempio; e i cuori che ti attendevano si aprono e si
elevano verso di te. Oh! chi ci darà una parte dell'amore che provò
il vegliardo allorché ti prese fra le braccia e ti strinse al cuore?
Egli chiedeva solo di vederti, o divino Bambino, e poi di morire. Dopo
averti visto per un solo istante, s'addormentava nella pace. Quale sarà
dunque la beatitudine di possederti eternamente, se così brevi istanti
sono bastati ad appagare l'attesa di tutta una vita!
Ma,
o Salvatore delle anime nostre, se il vegliardo è pienamente felice per
averti visto una sola volta, quali debbono essere i sentimenti di noi
che siamo testimoni della consumazione del tuo sacrificio! Verrà il
giorno in cui, per usare le espressioni del tuo devoto servo san
Bernardo, sarai offerto non più nel Tempio e sulle braccia di Simeone,
ma fuori della città e sulle braccia della croce. Allora non si offrirà
più per te un sangue estraneo, ma tu stesso offrirai il tuo sangue.
Oggi ha luogo il sacrificio del mattino: allora si offrirà il
sacrificio della sera. Oggi sei nell'età dell'infanzia: allora avrai la
pienezza della virilità, e avendoci amati dal principio, ci amerai sino
alla fine.
Che
cosa ti daremo noi in cambio, o divino Bambino? Tu porti già, in
questa prima offerta per noi, tutto l'amore che consumerà la seconda.
Possiamo far di meno che offrirci per sempre a te, fin da questo giorno? Tu ti doni a noi nel tuo Sacramento, con una
pienezza maggiore di
quella che usasti riguardo a Simeone. Libera anche noi, o Emmanuele,
spezza le nostre catene; donaci la Pace che oggi tu arrechi; aprici,
come al vegliardo, una nuova vita. Per imitare i tuoi esempi e per
unirci a te, noi abbiamo, lungo questi quaranta giorni, cercato di
stabilire in noi l'umiltà e la semplicità dell'infanzia che tu ci
raccomandi; sostienici ora negli sviluppi della nostra vita spirituale,
affinché cresciamo come te in età e in sapienza, davanti a Dio e
davanti agli uomini.
O
Maria, tu che sei la più pura delle vergini e la più beata delle
madri, o figlia dei Re, quanto sono graziosi i tuoi passi e come è
maestoso il tuo incedere (Ct 7,1) nell'istante in cui sali i
gradini del Tempio carica del tuo prezioso fardello! Come è felice il
tuo cuore materno, e come è insieme umile, allorché offri all'Eterno
il Figlio suo e tuo! Alla vista delle madri d'Israele che portano
anch'esse i loro piccoli al Signore, tu gioisci pensando che quella
nuova generazione vedrà con i suoi occhi il Salvatore che tu le
arrechi. Quale benedizione per quei neonati essere offerti insieme con
Gesù! Quale fortuna per quelle madri essere purificate nella tua
santa compagnia! Se il Tempio trasalisce nel vedere entrare sotto le
sue volte il Dio in onore del quale è stato costruito, è anche il
suo gaudio nel sentire fra le sue mura la più perfetta delle creature,
l'unica figlia di Eva che non abbia conosciuto il peccato, la Vergine
feconda, la Madre di Dio.
Ma
mentre custodisci fedelmente, o Maria, i segreti dell'Eterno, confusa
nella folla delle figlie di Giuda, il santo Vegliardo accorre verso di te;
e il tuo cuore ha compreso che lo Spirito Santo gli ha rivelato tutto.
Con quale emozione tu deponi per un istante fra le sue braccia il Dio
che riunisce in sé tutta la natura, e che vuole essere la consolazione
d'Israele! Con quale grazia accogli la pia Anna! Le parole dei due
vegliardi che esaltano la fedeltà del Signore alle sue promesse, la
grandezza di Colui che è nato da te, la Luce che si irradierà da
quel Sole divino su tutte le genti, fanno trasalire il tuo cuore. La
fortuna di sentir glorificare il Dio che tu chiami tuo figlio e che lo
è in verità, ti riempie di gioia e di riconoscenza. Ma, o Maria, quali
parole ha pronunciato il vegliardo, restituendoti il tuo Figliuolo!
Quale improvviso e terribile gelo viene ad invader il tuo cuore! La
lama della spada l'ha trapassato da parte a parte. Quel Bambino che i
tuoi occhi contemplavano con sì tenera gioia, non lo vedrai più che
attraverso le lacrime. Egli sarà il segno della contraddizione, e le
ferite che riceverà ti trapasseranno l'anima. O Maria, il sangue delle
vittime che inonda il Tempio cesserà un giorno di scorrere; ma bisogna
che sia sostituito dal sangue del Bambino che tu tieni fra le braccia.
Noi
siamo peccatori, o Maria, poco fa tanto felice ed ora così desolata!
Sono stati i nostri peccati a mutare la tua letizia in dolori.
Perdonaci, o Madre! Lascia che ti accompagniamo mentre discendi i
gradini del Tempio. Noi sappiamo che tu non ci maledici; sappiamo che ci
ami, poiché ci ama il tuo Figliuolo. Oh, amaci sempre, o Maria!
Intercedi per noi presso l'Emmanuele. Fa' che abbiamo a conservare i
frutti di questi santi quaranta giorni. Fa' che non lasciamo mai questo
Bambino che presto sarà un uomo, che siamo docili a questo Dottore
delle nostre anime, devoti, come veri discepoli, a questo Maestro così
pieno d'amore, fedeli nel seguirlo dovunque al pari di te; fino ai
piedi della croce che appare oggi ai tuoi occhi.[1] Sembra difficile ammettere oggi questa opinione, poiché la festa dei Lupercali (15 febbraio) non esisteva più al tempo del Papa Gelasio, e la Candelora non appare in Roma se non verso la metà del VII secolo. Questa è una processione indipendente dalla Purificazione, anteriore ad essa, e una tradizione molto autorevole la ricollega a una cerimonia pagana: l'amburbale. Il Liber Pontificalis dice che la processione fu istituita, a Roma, dal Papa Sergio (687-707) e che si faceva dalla chiesa di S. Adriano a S. Maria Maggiore, ma è certamente anteriore a questo Papa.
La
benedizione delle candele appare a Roma in maniera certa solo nel XII
secolo. Le antiche Ave gratia piena e Adorna, di
provenienza bizantina, sono state introdotte a Roma nelI'VIII secolo; il
Nunc dimittis insieme con l'antifona Lumen fu aggiunto nel
XII secolo e le orazioni sono del X e XI secolo. Ma la processione con
le candele benedette esisteva già ad Alessandria nel V secolo, e anche
prima a Gerusalemme.
Da
principio la processione ebbe, a Roma, un carattere penitenziale:
il
Papa andava a piedi nudi, e i paramenti talvolta erano neri. Nel XII
secolo essa perdette quel carattere austero che fece posto alla letizia.
I ministri, tuttavia, conservano ancora i paramenti viola che smettono soltanto per la Messa.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 401-413
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