giovedì 5 luglio 2018

Tre Punti alla Modernità

Riprendo da "la Scure di Elia":

Tre punti alla modernità


La modernità, intesa come rovesciamento dell’ordine naturale (in cui Dio è principio e fine, mentre l’uomo è ordinato a Lui e il cosmo è al suo servizio), è indubbiamente la causa della crisi radicale che attanaglia la civiltà occidentale. L’essere umano, creato per conoscere, amare e servire Dio in questa vita e goderlo eternamente nell’altra, è stato dapprima collocato al centro di un mondo in cui tutto – compresa la religione – è funzionale al suo benessere terreno; poi l’uomo stesso, declassato ad animale più evoluto, ha finito con l’essere a sua volta subordinato alla salvaguardia della natura. L’artefice della propria fortuna è diventato una minaccia per l’ecosistema; la sua proliferazione, di conseguenza, è ora considerata un fenomeno dannoso da combattere e frenare in ogni modo.

Se questo è l’esito, è evidente che la modernità sia un orientamento che vada radicalmente invertito nell’interesse stesso dell’umanità, messo a repentaglio da simili idee. Sarebbe tuttavia quantomeno imprudente respingere in blocco con un giudizio indiscriminato di condanna tutto ciò che si è prodotto dopo il Medioevo, quasi non ci fosse stato più nulla di utile, ma soltanto esiziali errori e deviazioni. Che ci piaccia o no, siamo anche noi figli del nostro tempo, influenzati, malgrado le migliori intenzioni, dal suo spirito individualista, egocentrico e insubordinato, che scorrazza beffardo tanto nell’ambiente progressista che in quello tradizionalista. Cerchiamo allora di cogliere gli elementi positivi della cultura attuale tralasciandone al contempo quelli negativi, da cui dobbiamo progressivamente disintossicarci con la luce dello Spirito Santo e l’aiuto della grazia, ottenuti per mezzo del Cuore immacolato di Maria.

Mi vengono in mente almeno tre aspetti della cultura moderna che, pur senza costituire acquisizioni nuove in assoluto, sono irrinunciabili incrementi della coscienza collettiva. Il primo è una più esatta valutazione della parte del soggetto individuale nella conoscenza, sia in quella basata sulla ragione che in quella fornita dalla fede. Con ciò non intendo certo aprire un varco al soggettivismo, ma riconosco semplicemente che ognuno di noi si accosta alla verità oggettiva (naturale o rivelata) a partire da una storia particolare e con una personalità diversa, cogliendola con sfumature che posson diventare contraddittorie solo se assolutizzate, ma che altrimenti si rivelano preziose sfaccettature che arricchiscono la comprensione della realtà, la quale non è mai esaurita dalla conoscenza umana. La doverosa reazione al relativismo che dilaga purtroppo anche nella Chiesa non deve trasformarci in gladiatori che vibrano colpi di maglio a destra e a manca, privi di ogni sensibilità e delicatezza per quei lucignoli di verità e di bene che il Signore non vuole siano spenti.

Una maggiore attenzione al soggetto mette in evidenza, poi, il necessario ruolo dell’esperienza personale nel processo di conversione e di crescita nella fede. Non si tratta, neanche questa volta, di pagare un tributo al modernismo, che pretende di rintracciare nell’esperienza umana l’origine di ogni religione (compresa quella rivelata, la quale nasce invece da una serie di interventi divini nella storia), bensì di riconoscere che l’irruzione della grazia è ben qualcosa di sperimentabile, sebbene la sua essenza soprannaturale rimanga al di là di qualsiasi effetto sensibile. Nessuno si converte a Cristo a forza di mero studio o di puro ragionamento, ma perché, in qualche modo, sperimenta l’incontro con Lui e ne scopre la presenza nella propria vita. La fede non è frutto di un’adesione asettica a un teorema o a un sillogismo, ma deve avere un significato per l’esistenza. Anche qui una giusta opposizione all’esistenzialismo – almeno a quello che si è rivelato uno scivolo verso l’ateismo – non va spinta fino a relegare l’esperienza quotidiana in un limbo escluso dalla pace e dalla gioia che, già nello stato di viatore, colmano l’anima del vero credente.

E veniamo al terzo punto. L’autenticità della fede richiede un’adesione interiore – non soltanto convinta, ma pure amorosa – alla verità udita nella predicazione, che deve perciò essere tale non solo da illuminare la mente, ma anche da infiammare il cuore. Nemmeno in questo caso sarebbe giusto denunciare una larvata condiscendenza al sentimentalismo, a meno che non si voglia ridurre ad esso anche l’appassionata scoperta della verità da parte di un sant’Agostino. La bellezza tanto antica e sempre nuova non può certo lasciare freddo e distaccato chi ne è fulminato e rapito: ciò che è vero, buono e bello attira e conquista per virtù propria, purché ci si arrenda beati a Colui che lo realizza totalmente in Sé in modo personale, come un Tu di insuperabile fascino alla cui rivelazione crolla spontaneamente qualsiasi barriera, in un gioco paradossale (che la ragione non riesce a scandagliare fino in fondo) tra libera accoglienza e irresistibile trionfo della grazia.

Da questo punto di vista, se vogliamo, la modernità non ha apportato nulla che non fosse già noto grazie alle Confessioni dell’Ipponate, ma ce l’ha fatto forse riscoprire e apprezzare in modo nuovo. Non è un vantaggio da poco. Non lo sarebbe stato quando, sessant’anni fa, una vita di fede ridotta a un certo numero di pratiche e precetti esteriori era già entrata in profonda crisi; se una totalità di vescovi formatisi alla vecchia scuola avesse interiorizzato un po’ di più quanto ricevuto dal passato, probabilmente, non avrebbero lasciato correre né certe ambiguità del Vaticano II, né la scandalosa ribellione all’Humanae vitae, né quella distruzione della liturgia che fu imposta come “riforma”. Non è un vantaggio da poco neanche oggi, dopo che un illusorio rinnovamento, centrato ancora sulle forme esterne, ha lasciato dietro di sé cumuli di macerie spirituali o, quando va bene, una misera vita cristiana che non può decollare per inconsistenza interna. Nel caso dell’appartenenza a movimenti, poi, il fatto di seguire una prassi determinata, valida per tutti, dispensa generalmente gli aderenti dallo sforzo individuale necessario per progredire nelle virtù e crescere nella santità; di solito non si ha la minima idea del paziente lavorio personale richiesto dalla correzione di vizi e difetti, che in un clima di esaltata autoconferma appare del tutto superflua. Spesso, soprattutto nei gruppi giovanili, norma e valore supremo è un becero spontaneismo che calpesta perfino le esigenze più elementari della carità, quali il rispetto per gli altri e la buona educazione.

La soluzione non è un indottrinamento forzato che nasconda le carenze di umanità gracili e ferite sotto strati di nozioni nominali, né un attivismo indiscreto che soffi sul fuoco di squilibri interiori, esasperando sofferenze inconfessate o conflitti non ammessi. Per l’ennesima volta, tener conto delle moderne acquisizioni della psicologia non significa sconfinare in quello psicologismo che mette al bando l’elemento soprannaturale dell’esistenza cristiana, bensì riconoscere, in perfetta continuità con la Tradizione, che la grazia suppone la natura – e che quest’ultima può avere talvolta dei problemi che influiscono sulla vita di grazia e che, ignorati, finiranno col farla deviare verso una religiosità compulsiva o verso alienanti pseudomisticismi. È troppo comodo buttare indistintamente a mare tutto ciò che può salutarmente rimetterci in discussione, fornendoci la chiave per aprire le sbarre della prigione in cui, sia pure con le migliori intenzioni, potremmo esserci rinchiusi da soli. Non serve andare a caccia di scandali e misfatti su cui sfogare il proprio malessere, se la sua radice è all’interno: più materiale si trova, in questo caso, più se ne vuol trovare per giustificare un disagio che, per quanto acuito dalle circostanze esterne, nasce da dentro.

Un vero cristiano non è un attivista che, fasciando di nominalistiche bende le piaghe lasciate da cinquant’anni di devastazione, si illude di vincere con la sua agitazione lo scontento per sé e per il mondo in cui vive, ma una persona cui una fede viva, nata da un reale incontro con Cristo, ha permesso di riconciliarsi anzitutto con la propria storia, poi di guardare alla realtà (per atroce che sia) con la luce della speranza che viene da Lui, così da potervi immettere, quale Suo strumento, dei germi di bene che la trasformeranno a poco a poco, irrorati dalla preghiera e dal sacrificio fecondato dalla Sua grazia. Chi preferisce la rabbia e la frustrazione – pur di non ammettere il proprio errore – si imbestialirà per queste riflessioni appiccicando ad esse etichette infamanti; chi invece ha davvero conosciuto il Signore sarà più indulgente e, con l’aiuto di Dio, sentirà attenuarsi la sofferenza e accrescersi la pace. Al di là dell’uso-abuso della misericordia nella Chiesa attuale, possiamo pure concederci il lusso di prenderla sul serio, dapprima ciascuno per sé e poi per gli altri. Gesù non la concede ad astratte entità senza volto, ma a soggetti viventi nella storia che ne facciano un’esperienza personale e corrispondano ad essa con un’adesione libera, intima e amorosa.

lunedì 12 marzo 2018

S. Gregorio Magno: brevi estratti





Papa Gregorio I, San Gregorio Magno, fu 64° Vescovo di Roma e Papa. (540-604)



“Le grazie della contemplazione non ci saranno mai concesse se non ci applichiamo con la massima cura alla meditazione, alle letture quotidiane, alla preghiera e se non cerchiamo di approfondire le verità che sono alla nostra portata.”



“Il peccato negato diventa grande il doppio.”



“Chi ha per così dire dilatato la propria anima con le opere sante, deve ancora dilatarla con l'intimo esercizio della contemplazione.”



“La sapienza di questo mondo sta nel coprire con astuzia i propri sentimenti, nel velare il pensiero con le parole, nel mostrare vero il falso e falso il vero.”


Papa Gregorio I, detto papa Gregorio Magno ovvero il Grande , fu il 64º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica, dal 3 settembre 590 fino alla sua morte. La Chiesa cattolica lo venera come santo e dottore della Chiesa.

Riferimento: https://le-citazioni.it/autori/papa-gregorio-i/

Cornelio Fabro. Evangelizzazione: peccato e conversione

Il messaggio della salvezza, e perciò della speranza e della gioia, è portato agli uomini sulla terra dagli Angeli: un Angelo appare a Zaccaria per annunziare il concepimento di Giovanni, l’Angelo annunzia alla Beata Vergine che diverrà Madre del Figlio dell’Altissimo e Salvatore del mondo, l’Angelo illumina e conforta Giuseppe… e conforta Gesù nell’agonia dell’Orto.

Gli Angeli vengono dal Cielo, messaggeri della divina Verità e Misericordia, per riaccendere nell’uomo la luce e la speranza di sfuggire alle spire della disperazione che sale dalla palude del mondo: dalle allucinazioni delle sue vane filosofie, dalle illusioni delle scienze umane fisiche o antropologiche che siano, dai tormenti manifesti e subdoli delle passioni, dalle remore e viltà – e pare alle volte che (per paradosso) siano proprio queste l’ostacolo principale all’efficacia della divina grazia nelle anime – che tiene e trattiene sul posto dallo slanciarsi quanti hanno pur promesso di seguire Cristo e militare sotto lo stendardo della Croce. Ed ecco gli Angeli, messaggeri del mondo a venire e di una vita eterna senza morte e dolore, hanno aperto all’uomo la finestra dalla quale irrompe all’anima il raggio che vince ogni tenebra. Ed il primo passo della fede è la consapevolezza cioè l’accettazione di questa verità che trascende ogni senso e ragione e che insieme dà senso, nella luce della fede, ad ogni cosa e illumina ogni ragione. L’Angelo perciò non è un essere a noi estraneo: l’Angelo buono è il confidente di Dio che diventa l’amico dell’uomo, il garante della divina misericordia, una luce continua e una certezza che Dio non ha abbandonato l’uomo. La storia universale in grande – ieri come oggi – e la storia particolare di ciascuno in piccolo – anch’essa ieri come oggi – non sono che prove laceranti che l’uomo non può salvare l’uomo.
Noi cristiani, per nostra fortuna, abbiamo il Vangelo e la vita dei santi, le parole di Cristo e l’esempio di amore e di sangue di tanti suoi veri servi e seguaci, ad illuminarci. Ma questa luce sembra oggi offuscarsi per tante aspirazioni ed istanze mondane che stanno agli antipodi della penitenza che Cristo chiede ai suoi discepoli: «Se non farete penitenza, perirete tutti allo stesso modo» (Lc. 13, 3). Il progetto «uomo», fin quando è lasciato nelle mani dell’uomo, non riesce ad avere alcun senso: si spappola negli stordimenti infiniti delle passioni pubbliche e private, si dilegua nel fumo delle vanità e nella disperazione delle generazioni travolte nei vortici delle ideologie e delle contese per l’egemonia della verità e della libertà.
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Questa attrazione per l’errore e per la falsità, per le opinioni strampalate e le soddisfazioni illecite, è il peccato: essa costituisce insieme la radice e il frutto del peccato. Lo ha annunciato l’Angelo ed il Vangelo non ha senso, si risolve in una fiaba, senza lo sfondo oscuro del peccato: come ha fatto il pensiero moderno che ha ridotto il peccato alla semplice privazione o negazione che è propria della coscienza finita (Kant), sottraendolo alla lotta fra la verità e libertà che Dio ha proposto come prova all’uomo. L’Angelo invece annunzia a Zaccaria che Giovanni «sarà ripieno di Spirito Santo e convertirà molti d’Israele al Signore loro Dio… per preparare a Dio un popolo ben disposto» (Lc. 1, 15-17). Cioè il Regno di Dio comincia con la «conversione del cuore» che è un rovesciamento d’orizzonte il quale comporta morte e mortificazione: ma è in questo orizzonte, voluto dalla divina misericordia, che si consumerà il giudizio ultimo della storia e si placherà il fragore delle passioni ed il pianto delle generazioni. Il giudice sarà lo stesso Salvatore di cui l’Angelo assicura Maria che «…sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc. 1, 36).
Non a caso allora le prime parole di Cristo nell’annunziare il suo ministero, conservateci da Marco, annunziano la salvezza come «progetto penitenziale» di tutta la persona, nel corpo e nello spirito: «Il tempo è compiuto ed il regno di Dio è vicino, fate penitenza e credete al Vangelo» (Mr. 1, 15). La penitenza è pertanto consustanziale col progetto divino della salvezza od anche, per esprimerci con un impegno più diretto ed esistenziale, la penitenza è la contemporaneità con la verità che salva e che i Santi hanno chiamata e praticata come l’imitazione di Cristo. Ecco la «buona Novella» che qui l’evangelista chiama il Vangelo del Regno di Dio: è un agere contra, come dirà S. Ignazio di Loyola, contro il nemico esterno che è il mondo, contro il nemico interno che siamo noi stessi e per ciascuno il proprio io e contro il nemico interno ed esterno ad un tempo – perché dà man forte ai due precedenti – che è il diavolo, l’avversario di Dio e dell’uomo fin dall’inizio della storia, il principe di questo mondo che sarà sconfitto solo con la fine ed il giudizio della storia.
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Anche se l’espressione può sembrare grezza e paradossale, si può e si deve allora dire che «l’accettazione della realtà del peccato» è la porta d’ingresso nel Regno di Dio ossia nel progetto misericordioso di Dio per la salvezza. C’è misericordia da offrire dove c’è miseria da soccorrere e guarire e la miseria prima, che disvela il dolore di ogni altra miseria, è il peccato. In questo contesto di dolore e di turbamento, che è la condizione primaria per avvertire il bisogno della salvezza, l’accettazione della realtà del peccato diventa la scoperta del dolore e dell’amore: «Nell’amore… godo… nel dolore» – scriveva Gemma Galgani (Lett. 103), straziata dal male che la porterà alla morte. Ed è l’anima innocente della Galgani – come i grandi mistici che vedono nel mondo della santità di Dio l’abisso di male della creatura peccatrice – a descrivere nelle Lettere al padre Germano e nelle Estasi la confusione per i suoi peccati: ha «il cuore ripieno di peccati» (Lett. 7), «i peccati sono tanti ogni minuto» (Lett. 8), ha «il cuore tutto pieno di peccati» ed ha «aggiunto peccati a peccati» (Lett. 15 e 16) fino a chiamarsi «cenere di peccato: lo dica a tutti» (Lett. 112). E nelle Estasi ancora si professa «gran peccatrice» e «carica di peccati» (pp. 8, 18, 22): «tutti i giorni della mia vita io ho sempre peccato» (p. 78), «tutta piena di peccati» (p. 31), ha fatto «…tanti peccati come i palpiti del cuore» (p. 49) e si sgomenta a vedere il «quadro orribile» dell’anima sua (p. 238). E leggiamo insieme la confessione sorprendente: «È quasi una bella sorte per me essere nata peccatrice» (p. 103). Ed a lei come a S. Teresa d’Avila, Iddio mostra il posto che «avrebbe occupato nell’inferno» (Lett. 57) e riconosce che «il posto dei Santi non è per me» (Lett. 21 bis).
Nel diario del lunedì 20 agosto (1900) questo sentimento sembra forzare ogni limite: «Stasera, com’è solito accadermi spesse volte, mi sono venuti alla mente tutti i miei gran peccati, ma con tanta enormità, che ho dovuto farmi forza per non piangere forte: ne sentivo un dolore sì vivo, che mai avevo provato. Il numero di essi oltrepassava la mia età e la mia capacità: però, ciò che mi consola, ne ho provato grandissimo dolore che vorrei che questo dolore mai si cancellasse dalla mia mente e mai mi diminuisse. Dio mio! fino a che è giunta la mia malizia!» (p. 203).
Che significa questo accoramento dei santi sui peccati che, per quanto a noi sembra, non hanno neppure commessi, mentre noi restiamo quasi impassibili dopo averli commessi? È qui, in questa avvertenza del male congenito alla nostra natura, del peccato che sta sempre in agguato sul limitare della coscienza, che consiste il senso cristiano della infinita miseria potenziale e reale della nostra condizione. Qui viene sconfitta ogni psicologia che pretende spiegare la libertà come perfetta antinomia dell’agire nella trasparenza dei motivi che sono in possesso della ragione: una dolorosa e dannosa illusione. La vera libertà è altrove.
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La libertà cristiana è quella che si trascende in Dio nell’implorazione del suo aiuto e della sua grazia: è il «frutto» appunto della conversione del cuore. «Libertà» è nel suo concetto primario la capacità che ha l’uomo di disporre di sé e di darsi quella fisionomia morale che egli prospetta col progetto della propria vita che è la scelta della vocazione. Per il cristiano infatti libertà e verità vanno insieme e si appartengono come il concavo e il convesso e si specchiano l’una nell’altra. Perciò Cristo ha proclamato che «…la verità vi farà liberi» e che «saremo veramente liberi soltanto se il Figlio ci avrà liberati» (Gv. 8, 32 e 36). E per questo l’Apostolo chiama la vocazione del cristiano un appello di libertà: «Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà…» (Gal. 5, 13) – un appello di fierezza e di consolazione, ma anche di responsabilità nelle incertezze di oscure e segrete ambasce che attendono ogni cristiano alla prova. Ed è in questo punto che le anime profonde, quali sono i Santi, «vedono» l’infinita speranza col timore della propria fragilità: la «vedono» cioè la sentono nell’intimo di sé per una speciale illuminazione di Dio, per un tocco interiore della divina grazia che fa trasalire l’anima di fronte alla santità di Dio e la colma di sgomento e di dolore di fronte alla bontà misericordiosa di Dio. Nella Bibbia Dio si presenta all’uomo come Padre amoroso, che si china sulla sua creatura a chiederle fedeltà e amore in spirituale intimo sposalizio. E Gesù, il Verbo fatto carne e immolato sulla Croce per l’uomo, si è «svenato» – come dice s. Caterina – per lavare col suo Sangue il peccato commesso dalla nostra libertà la quale, peccando, perde se stessa e si fa schiava della creatura.
Si badi bene di non abusare dei termini: la libertà non è affatto un mistero, essa è la realtà più ovvia e lampante poiché la libertà si dà nella presenza essenziale che ha l’io a se stesso: questo è il punto di partenza e rimane comunque il punto di partenza, una possibilità sempre aperta di riscatto e di salvezza. Ma la libertà si deve attuare e conservare nella tensione infinita dell’indipendenza originaria e ciò è possibile – questo ci insegna la realtà del male e del peccato dentro e fuori di noi – soltanto in unione con Dio, col «complementum spiritus» datoci da Dio, con l’effusione misteriosa e dolce della sua grazia.
Il peccato è un mistero, mysterium iniquitatis; anche la grazia è un mistero, mysterium amoris; ma non è un mistero la nostra volontà che pecca, ce l’attestano i Santi: «Ciò che mi affliggeva, scrive ancora di sé la “povera Gemma” nell’Autobiografia, era il non poter amare Gesù come avrei voluto; mi davo premura di non offenderlo, ma la mia cattiva inclinazione al male era sì forte che senza una grazia speciale di Dio sarei caduta nell’inferno» (p. 256).
Ecco perché il «senso del peccato» rinsalda nel cristiano i contrafforti della luce, ne attinge lume e conforto nell’arduo cammino dell’esistenza fra le insidie grossolane e sottili dei dubbi e delle passioni.

(1977)

da

http://www.corneliofabro.org/documento.asp?ID=646


Proverbi 3, 5-6

 

Proverbi 3,5-6

 

5 Confida nel Signore con tutto il cuore
e non appoggiarti sulla tua intelligenza;
6 in tutti i tuoi passi pensa a lui
ed egli appianerà i tuoi sentieri.



(nell'immagine, 
Andrea Mantegna, orazione nell’Orto, 1459, National Gallery, Londra)

lunedì 19 febbraio 2018

Usa, creato il primo embrione ibrido pecora-uomo

riprendo l'inquietante notizia da TgCom

"Lʼannuncio arriva dagli scienziati dellʼuniversità della California. Lo stesso gruppo di ricerca aveva realizzato un embrione uomo-maiale"

 

"Per la prima volta è stato creato in laboratorio un embrione ibrido uomo-pecora, in cui una cellula su 10mila è umana. L'annuncio arriva dagli scienziati dell'università della California Davis. Un anno fa circa lo stesso gruppo di ricerca aveva realizzato un embrione di uomo e maiale, dove le cellule umane erano una su 100mila. L'ibrido, spiegano i ricercatori, è un passo verso la possibilità di far crescere organi umani negli animali.

 

 L'ibrido è stato ottenuto introducendo cellule staminali adulte "riprogrammate" nell'embrione di pecora, che poi è stato lasciato crescere per 28 giorni, il massimo per cui l'esperimento aveva ottenuto l'autorizzazione, di cui 21 nell'utero di un animale. Nel periodo le cellule umane si sono riprodotte, spiega Pablo Ross, uno degli autori, anche se per arrivare alla possibilità di avere un intero organo serve un rapporto di uno a 100.

 


Nella stessa presentazione i ricercatori hanno spiegato di essere riusciti ad ottenere embrioni di pecora e maiale privi del pancreas grazie alla tecnica Crispr di "copia e incolla" del Dna, un passo ulteriore per far "ospitare" agli animali gli organi umani. "Anche se c'è molto da lavorare - sottolinea il ricercatore - gli organi prodotti in queste chimere interspecie potrebbero un giorno costituire un modo per soddisfare la domanda di organi, trapiantando ad esempio un pancreas ibridizzato in un paziente".


L'uso delle pecore, ha spiegato ancora il ricercatore al Guardian, ha molti vantaggi rispetto al maiale, a partire dal fatto che bastano quattro embrioni e non cinquanta per far iniziare una gravidanza. Anche questo animale inoltre ha organi di dimensioni simili a quelli umani."

 

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fin qui la notizia.

A me tutto ciò ricorda "Coma Profondo"    

film del 1978 diretto da Michael Crichton, tratto dal romanzo "Coma" di Robin Cook.

 

 

E mette in evidenza che da quando si è deciso di "mettere l'uomo al centro" e non più Dio, 

si è smarrito il senso del limite. Si è convinti di poter "creare" la vita dal nulla, (ovviamente così non è, non ci si può sostituire a Dio), quando la si potrà solo "duplicare" malamente. 

Tutto questo, ovviamente, si dice sia "per l'uomo". 

Anche gli antichi del mondo precristiano avrebbero visto queste manipolazioni come Hybris.

De Gregori da un'intervista....

Riprendo un tema d'attualità (e anche gossip che ha riempito noiosamente tutte le cronache) degli ultimi mesi secondo le oneste parole del cantautore, 
che approfitta anche per riguardare in maniera inedita tutta una stagione di contenuti e atteggiamenti, e pure di deformazioni ideologiche. 
Estraggo da Libero:

Molestie sessuali, Francesco De Gregori: "Il caso Weinstein? Le donne possono scegliere" 


In fondo lo avevamo sempre saputo, che era dei nostri. Uno che immedesimandosi in Bufalo Bill canta «tra la vita e la morte avrei scelto l' America» non può essere dei loro, dei terzomondisti risentiti, dei censori multiculti, degli intossicati ideologici. Francesco De Gregori è ormai un corpo estraneo nell' album di famiglia del luogocomunismo di sinistra, tanto che vorremmo candidarlo a portabandiera intellettuale dei liberali e di conservatori.

Esageriamo? Ascoltate cosa dice, in un' intervista a Vanity Fair. Anzitutto la sconfessione di un mondo, il suo: «Nel lavoro di Rita Pavone, Gianni Morandi o Nicola Di Bari ritrovo una nettezza di significato», e «nessuna traccia di quella pretesa pedagogica che i cantautori, me compreso, portarono dentro le canzoni». È l' equivoco di almeno una generazione, nacque «quando alcuni cominciarono a pensare che la canzone dovesse non soltanto intrattenere, ma indirizzare il pensiero», per poi confessare: «Non scriverei più La Storia», perché «ci sono versi che hanno l' olezzo del gentismo, che parlano della gente a sproposito».

Ma non basta, De Gregori vuole andare a fondo nell' autoanalisi: «È sempre più difficile capire chi nella politica esprima le ragioni dei deboli e chi dei forti, per cui reagisco facendo un passo indietro». Uno scartamento di lato rispetto alle passioni ideologiche totalizzanti: «La mattina ho altro da fare: fumarmi la sigaretta al bar o parlare con quello che pulisce le foglie ai giardinetti». Un saggio minimalismo esistenziale, perché pare un delitto «entusiasmarsi per una legge elettorale di cui non si capisce niente».

Ma il pezzo forte è un altro: «Ho il massimo rispetto per chi ha scelto di votare Trump. Credo che sulla sua vittoria abbia pesato soprattutto un' ansia estetica del politicamente corretto che personalmente ho sempre trovato insopportabile». È il ripudio dell' antitrumpismo di professione, seguito da un altro non meno traumatico. Quello del femminismo vittimistico: «Se una donna viene sottoposta a un ricatto di quel tipo ha due scelte: dire sì o no. Se dice sì non è una mignotta, se dice no non è una perseguitata. Scegliere appartiene alla libertà dell' individuo, ognuno fa i calcoli che crede». La libertà dell' individuo è la stella polare, è la pernacchia definitiva ai dogmi della Chiesa progressista, è quasi un De Gregori thatcheriano e reaganiano.

Non a caso, il gran finale è tutto contro la «cultura del piagnisteo» che ha ormai egemonizzato la sinistra degli attici e degli aperitivi. Se non è un grande eroe conservatore questo...

di Giovanni Sallusti

martedì 30 gennaio 2018

Breve riflessione sull'ovvio



Ovvio, ma di questi tempi forse non tanto.

Captando vari discorsi intorno, ecco alcuni spunti.
Ci si domanda talvolta come commettere pochi peccati. 
Ma il vero traguardo del cristiano è la santità, perchè Dio ci chiama continuamente alla santificazione.


1Tessalonicesi 4,7

"Dio non ci ha chiamati all'impurità, ma alla santificazione."

Ma come si fa a vivere nella santità? 
Certo, serve spogliarsi di sè e lasciare operare la Grazia.
Non è atteggiamento giusto nemmeno parer attendere una grazia dal cielo che poi si dice non arrivi,
se poi mai ci spogliamo di noi stessi e perseveriamo metodicamente negli stessi errori,
perchè in quel caso non è la grazia che non è arrivata, 
ma saremmo noi che ci siamo induriti
o chiusi, fino ad arrivare all'imperdonabile, che è la resistenza allo Spirito Santo.

Proverbi 23,26

"Fa' bene attenzione a me, figlio mio,
e tieni fisso lo sguardo ai miei consigli."


 
Se Dio in qualche modo ci ha chiamati, ci ha toccati, ci ha attirati a sè, 
dobbiamo imparare ad amare Dio e rivolgerci sempre a Lui; questo amore genererà in noi l’amore per i suoi Comandamenti, che mai sono passati di moda, e il desiderio di osservarli. Chi ama Dio, anche se tentato, trova piacere nell'obbedire ai suoi Comandamenti.

Giovanni 15


1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. 9 Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17
 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri."


Se si rimane nella Comunione col Signore, conservando le sue parole nel nostro cuore e mettendole in pratica, porteremo  
il frutto dello Spirito 
che è sempre amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5, 22).

Il vuoto spirituale invece è quello che conduce al peccato.


Dunque, praticando vari esercizi spirituali di preghiera e digiuno, o rinuncia alle cose cattive, possiamo avvicinarci al Signore e sperimentare la sua presenza nella nostra vita e il suo amore per noi.

Il Signore promette dicendo: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato” (Gv 15, 5). Quindi, quando noi gli chiediamo di purificare il nostro cuore dal quale provengono le intenzioni cattive (Mt 7, 21), Egli ci purificherà da tutte le nostre sozzure, 

ci darà un cuore nuovo, 
metterà dentro di noi uno spirito nuovo, 
porrà il suo spirito dentro di noi, 
ci farà vivere secondo i suoi statuti 
e ci farà osservare e mettere in pratica le sue leggi (Ez 36, 25 - 27).

A volte si tratta di rivoluzionare una vita intera e un'intera struttura interiore.

A volte si tratta anche di fare attenzione ai propri appetiti. Altre, di attenzione alla propria condotta. Sempre, di staccarsi dai legacci della carnalità, dagli impulsi del momento, 
ma anche dalla prigione del proprio personale psichismo, 
e aprirsi allo spirito.

Un esempio quotidiano, piccolo. Le sostanze alcoliche e le sostanze che vengono usate come droga non sono in sé e di per sé un male perché ci sono alcuni farmaci che le contengono e i medici, in alcuni casi, consigliano di assumere piccole quantità di vino rosso per i suoi effetti salutari.
Anche in tempi remoti, il vino veniva usato come medicinale per la cura di qualche malattia e per alleviare dolori, o per berlo al posto dell'acqua che spesso era infetta. Lo stesso San Paolo, nella sua prima lettera a Timoteo, gli consiglia di smettere di bere acqua, invitandolo, invece, a bere un po’ di vino a causa dello stomaco e delle sue frequenti indisposizioni (1Tm 5, 23).

Ma le S. Scritture suggeriscono in tutto moderazione, e proibiscono l’abuso delle bevande alcoliche e delle sostanze stupefacenti che alterano lo stato della coscienza.
 

Ciò che Dio comanda riguarda a queste sostanze è:
- di non ubriacarsi: “Non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito” (Ef 5, 18),
- di non desiderare il vino: “Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nella coppa e scende giù piano piano; finirà con il morderti come un serpente e pungerti come una vipera” (Pr 23, 31, 32),
- di non permettere che i nostri corpi siano dominati da nulla: “Tutto mi è lecito! Ma non tutto giova. Tutto mi è lecito! Ma io non mi lascerò dominare da nulla” (1Cor 6, 12), “Promettono loro libertà, ma essi stessi sono schiavi della corruzione. Perché uno è schiavo di ciò che l’ha vinto” (2Pt 2, 19).

Con il modo di essere e il modo di comportarsi, ognuno esprime la propria personalità e si rivelano le qualità del proprio cuore.


Cristo Signore stesso disse: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” (Lc 6, 45).


Siracide 5,15

"Non far male né molto né poco,
e da amico non divenire nemico"




Dunque, ci si dice appartenenti al cattolicesimo per figurare nei dati Istat,

perché così ci è stato insegnato in famiglia ed è un'abitudine,

perchè ci piacciono certi canti,

perchè ci piacciono certi riti,

o perché ci si è convertiti al Dio Vivente?



Inizialmente spesso si ricevono educazione ed insegnamenti religiosi in famiglia e in Chiesa, però ognuno, se vuole, deve coltivare la consapevolezza della presenza di Dio e il proprio rapporto intimo personale con Lui fino a sperimentare l’opera divina nella propria vita; 
perché il Cristianesimo non è formato solamente da dottrine o dogmi in cui bisogna credere, 
ma è soprattutto il vivere con Cristo.

Chi ama Dio non vuole rattristare il suo Spirito Santo (Ef 4, 30), né sopporta di vivere lontano da lui per qualsiasi motivo, in quanto “il vivere è Cristo” (Fil 1, 21), né accetta di rinunciare alla sua benedizione in ogni passo della sua vita; 

ed è consapevole di potere tutto in Colui che gli dà la forza (Fil 4, 13). 
Perciò osserva i comandamenti del Signore con gioia.

lunedì 29 gennaio 2018

Ancora aforismi di Nicolas Gomez Davila






La volgarità della vita è, in parte, un riflesso della volgarità delle nostre anime. È la nostra pigra intelligenza, il nostro affanno di sicurezza e il nostro orrore dell’estraneo, è il nostro gaudente accoglimento di ogni luogo comune, di ogni comoda interpretazione, di ogni trivialità routinaria, ciò che volgarizza lo stravagante e misterioso universo che ci circonda.

Per sfidare Dio l'uomo gonfia il proprio vuoto.

Quanto più gravi sono i problemi, tanto maggiore è il numero di inetti che la democrazia chiama a risolverli.

Basta un briciolo di perspicacia per diffidare delle proprie idee senza per questo affidarsi alle idee altrui.

Ritenere di non avere pregiudizi è il più comune dei pregiudizi.

Vivere con lucidità una vita semplice, silenziosa, discreta, tra libri intelligenti, amando poche persone.

Il sorriso dell'essere che amiamo è l'unico rimedio efficace contro il tedio.

Solo delle cause perse si può essere partigiani irriducibili.

La ragione è una mano premuta sul petto a placare il battito del nostro cuore disordinato.

Il male, come gli occhi, non vede se stesso. Tremi colui che si vede innocente.

Il barbaro o deride senza riserve o venera senza riserve. La civiltà è un sorriso che mescola con discrezione ironia e rispetto.

Tra poche parole è così difficile nascondersi come tra pochi alberi.

I Vangeli e il Manifesto del partito comunista sbiadiscono; il futuro del mondo appartiene alla Coca-Cola e alla pornografia.

Maturare non vuol dire rinunciare alle nostre aspirazioni, ma accettare che il mondo non è obbligato a soddisfarle.

La banalizzazione è il prezzo della comunicazione.

L'uomo preferisce discolparsi con la colpa altrui piuttosto che con la propria innocenza.

Istruire non è indicare soluzioni, ma rivelare problemi.

Spesso il pensare si riduce a inventare ragioni per dubitare dell'evidente.

L'uomo moderno non ama, si rifugia nell'amore; non spera, si rifugia nella speranza; non crede, si rifugia in un dogma.

È sufficiente che la bellezza sfiori appena il nostro tedio, perché il cuore ci si laceri come seta tra le mani della vita.

L'adesione al comunismo è il rito che permette all'intellettuale borghese di esorcizzare la sua cattiva coscienza senza abiurare il suo essere borghese.

L'idea del "libero sviluppo della personalità" sembra degna di ammirazione finché non incappa in individui la cui personalità si è sviluppata liberamente.

L'individualismo moderno si riduce a reputare personali e proprie le opinioni condivise da tutti.

Chi non teme che il più banale dei suoi momenti presenti diventi in futuro un paradiso perduto?

Le civiltà muoiono per l'indifferenza verso i valori peculiari che le fondano.

L'intelligenza si inventa coerenze per dormire sonni tranquilli. Fin quando non irrompe l'assurdo.

Duecento anni fa era lecito confidare nel futuro senza essere completamente stupidi. Ma oggi chi può dar credito alle attuali profezie, dato che siamo noi lo splendido avvenire di ieri?

Il massimo trionfo della scienza sembra consistere nella velocità crescente con cui lo stupido può trasferire la sua stupidità da un luogo a un altro.

Tra intellettuali la conversazione è scambio di idee altrui.

Il cristiano moderno sente l'obbligo professionale di mostrarsi affabile e allegro, di sfoggiare un benevolo sorriso a trentadue denti, di ostentare cordialità ossequiosa per convincere il miscredente che il cristianesimo non è religione "ombrosa", dottrina "pessimista", morale "ascetica". Il cristiano progressista ci stringe forte la mano con ampio sorriso elettorale.

Ammettere di buon grado che le nostre idee non hanno motivo di interessare chicchessia è il primo passo verso la saggezza.

La società moderna si concede il lusso di tollerare che tutti dicano ciò che vogliono perché oggi, di fondo, tutti pensano allo stesso modo.

Una filosofia ne supera un'altra solo quando definisce con maggior precisione lo stesso mistero insolubile.

Nulla è più pericoloso che risolvere problemi transitori con soluzioni permanenti.

Convincere chi ha opinioni proprie è facile, ma nessuno convince chi sostiene opinioni altrui. Nessuno si aggrappa tanto alle proprie opinioni quanto colui che è solamente l'eco dell'epoca in cui vive.

Il più grande errore moderno non è l'annuncio della morte di Dio, ma l'essersi persuasi della morte del diavolo.

La radicale opposizione tra gli uomini si svela nel fatto che, parlando del piacere, gli uni decollano verso la metafisica e gli altri scivolano verso la fisiologia.

Nessuno che conosca se stesso si può assolvere.
„Al volgo non interessa essere libero, ma credersi tale.“
– Nicolás Gómez Dávila

Riferimento: http://le-citazioni.it/autori/nicolas-gomez-davila/?q=182450
„Al volgo non interessa essere libero, ma credersi tale.“
– Nicolás Gómez Dávila

Riferimento: http://le-citazioni.it/autori/nicolas-gomez-davila/?q=182450
„Al volgo non interessa essere libero, ma credersi tale.“
– Nicolás Gómez Dávila

Riferimento: http://le-citazioni.it/autori/nicolas-gomez-davila/?q=182450

domenica 28 gennaio 2018

Dichiarazione di Parigi come progetto per l'Europa

Il 7 Ottobre di quest'anno  un gruppo di intellettuali europei ha ideato e pubblicato un manifesto conservatore  con 36 punti che difendono la "Vecchia Europa" (così come la conoscevamo prima della Ue e dell'entrata in vigore dell'Euro) completamente ignorato dai media.  

 

LA DICHIARAZIONE DI PARIGI ovvero UN'EUROPA IN CUI POSSIAMO CREDERE

1. L'Europa è casa nostra L’Europa ci appartiene e noi apparteniamo all’Europa. Queste terre sono la nostra casa; non ne abbiamo altra. Le ragioni per cui l’Europa ci è cara superano la nostra capacità di spiegare o di giustificare la nostra lealtà verso di essa. Sono storie, speranze e affetti condivisi. Usanze consolidate, e momenti di pathos e di dolore. Esperienze entusiasmanti di riconciliazione e la promessa di un futuro condiviso. Scenari ed eventi comuni si caricano di significato speciale: per noi, ma non per altri. La casa è un luogo dove le cose sono familiari e dove veniamo riconosciuti per quanto lontano abbiamo vagato. Questa è l’Europa vera, la nostra civiltà preziosa e insostituibile.

2. Una falsa Europa ci minaccia. L’Europa, in tutta la sua ricchezza e la sua grandezza, è minacciata da un falsa concezione di se stessa. Questa Europa falsa immagina di essere la realizzazione della nostra civiltà, ma in verità sta requisendo la nostra casa. Si appella alle esagerazioni e alle distorsioni delle autentiche virtù dell’Europa, e resta cieca di fronte ai propri vizi. Smerciando con condiscendenza caricature a senso unico della nostra storia, questa Europa falsa nutre un pregiudizio invincibile contro il passato. I suoi fautori sono orfani per scelta e danno per scontato che essere orfani ‒ senza casa ‒ sia una conquista nobile. In questo modo, l’Europa falsa incensa se stessa descrivendosi come l’anticipatrice di una comunità universale che però non è né universale né una comunità.

3. La falsa Europa è utopica e tirannica. I padrini dell’Europa falsa sono stregati dalle superstizioni del progresso inevitabile. Credono che la Storia stia dalla loro parte, e questa fede li rende altezzosi e sprezzanti, incapaci di riconoscere i difetti del mondo post-nazionale e post-culturale che stanno costruendo. Per di più, ignorano quali siano le fonti vere del decoro autenticamente umano cui peraltro tengono caramente essi stessi, proprio come vi teniamo noi. Ignorano, anzi ripudiano le radici cristiane dell’Europa. Allo stesso tempo, fanno molta attenzione a non offendere i musulmani, immaginando che questi ne abbracceranno con gioia la mentalità laicista e multiculturalista. Affogata nel pregiudizio, nella superstizione e nell’ignoranza, oltre che accecata dalle prospettive vane e autogratulatorie di un futuro utopistico, per riflesso condizionato l’Europa falsa soffoca il dissenso. Tutto ovviamente in nome della libertà e della tolleranza.

4. Dobbiamo difendere l'Europa vera. Siamo in un vicolo cieco. La minaccia maggiore per il futuro dell’Europa non sono né l’avventurismo russo né l’immigrazione musulmana. L’Europa vera è a rischio a causa della stretta asfissiante che l’Europa falsa esercita sulla nostra capacità d’immaginare prospettive. I nostri Paesi e la cultura che condividiamo vengono svuotati da illusioni e autoinganni su ciò che l’Europa è e deve essere. Noi c’impegniamo dunque a resistere a questa minaccia diretta contro il nostro futuro. Noi difenderemo, sosterremmo e promuoveremo l’Europa vera, l’Europa a cui in verità noi tutti apparteniamo.

5. La solidarietà e la lealtà civica incoraggiano la partecipazione attiva. L’Europa vera si aspetta e incoraggia la partecipazione attiva al progetto di una vita politica e culturale comuni. Quello europeo è un ideale di solidarietà basato sull’assenso a un corpo di leggi che si applica a tutti, ma che è limitato nelle pretese. Questo assenso non ha sempre assunto la forma della democrazia rappresentativa. Ma le nostre tradizioni di lealtà civica riflettono un assenso fondamentale alle nostre tradizioni politiche e culturali, quali che ne siano le forme. Nel passato, gli europei hanno combattuto per rendere i propri sistemi politici più aperti alla partecipazione popolare e di questa storia andiamo giustamente orgogliosi. Pur facendolo, talora con modi apertamente ribelli, hanno vigorosamente affermato che, malgrado le ingiustizie e le mancanze, le tradizioni dei popoli di questo continente sono le nostre. Questo zelo riformatore rende l’Europa un luogo alla costante ricerca di una giustizia sempre maggiore. Questo spirito di progresso è nato dall’amore e dalla lealtà verso le nostre patrie.

6. Non siamo soggetti passivi. È uno spirito europeo di unità che ci permette di fidarci pubblicamente gli uni degli altri, anche tra stranieri. Sono i parchi pubblici, le piazze centrali e i grandi viali delle città e dei borghi europei a esprimere lo spirito politico europeo: noi condividiamo una vita e una res publica comuni. Riteniamo nostro dovere assumerci la responsabilità del futuro delle nostre società. Non siamo soggetti passivi sottoposto al dominio di poteri dispotici, sacrali o laici. E non ci prostriamo davanti all’implacabilità di forze storiche. Essere europei significa possedere la facoltà di agire nella politica e nella storia. Siamo noi gli autori del destino che ci accomuna.

7. Lo Stato Nazione è il tratto distintivo dell'Europa. L’Europa vera è una comunità di nazioni. Abbiamo lingue, tradizioni e confini propri. Eppure ci siamo sempre riconosciuti affini, anche quando siamo arrivati al contrasto, o persino alla guerra. A noi questa unità nella diversità sembra naturale. Tuttavia è una realtà notevole e preziosa poiché non è né naturale né inevitabile. La forma politica più comune di questa unità nella diversità è l’impero, che i re guerrieri europei hanno cercato di ricreare per secoli dopo la caduta dell’impero romano. L’attrattiva esercitata dal modello imperiale è perdurata, ma ha prevalso lo Stato-nazione, la forma politica che unisce l’essere popolo alla sovranità. Lo Stato-nazione è quindi diventato il tratto caratteristico della civiltà europea.

8. Noi non sosteniamo un’unione imposta o forzata. Una comunità nazionale è fiera di governarsi a modo proprio, spesso si vanta dei grandi traguardi raggiunti nelle arti e nelle scienze, e compete con gli altri Paesi, a volte anche sul campo di battaglia. Tutto ciò ha ferito l’Europa, talvolta gravemente, ma non ne ha mai compromesso l’unità culturale. Di fatto è accaduto semmai il contrario. Man mano che gli Stati-nazione dell’Europa sono venuti radicandosi e precisandosi, si è rafforzata una identità europea comune. A seguito del terribile bagno di sangue causato dalle guerre mondiali nella prima metà del secolo XX, ci siamo rialzati ancora più risoluti a onorare quell’eredità comune. Ciò testimonia quale profondità e quale potenza abbia l’Europa come civiltà cosmopolita nel senso più appropriato. Noi non cerchiamo l’unità imposta e forzata di un impero. Piuttosto, il cosmopolitismo europeo riconosce che l’amore patriottico e la lealtà civica aprono a un mondo più vasto.

9. Il cristianesimo incoraggiava l’unità culturale. L’Europa vera è stata segnata dal cristianesimo. L’impero spirituale universale della Chiesa ha portato l’unità culturale all’Europa, ma lo ha fatto senza un impero politico. Questo ha permesso che entro una cultura europea condivisa fiorissero lealtà civiche particolari. L’autonomia di ciò che chiamiamo società civile è dunque diventata una peculiarità della vita europea. Inoltre, il Vangelo cristiano non consegna all’uomo una legge divina esaustiva da applicare alla società, e questo rende possibile affermare e onorare la varietà delle legislazioni positive delle diverse nazioni senza recare minaccia alla nostra unità europea. Non è un caso che il declino della fede cristiana in Europa sia stato accompagnato da sforzi sempre maggiori per raggiugerne l’unità politica: ovvero l’impero monetario e regolatorio, ammantato dai sentimenti di universalismo pseudoreligioso, che l’Unione Europea sta costruendo.

10. Le radici cristiane nutrono l'Europa. L’Europa vera afferma la pari dignità di qualsiasi persona, senza fare differenze di sesso, di rango o di razza. Anche questo proviene dalle nostre radici cristiane. Le nostre virtù nobili hanno un’ascendenza inequivocabilmente cristiana: l’equità, la compassione, la misericordia, il perdono, l’operare per la pace, la carità. Il cristianesimo ha rivoluzionato le relazioni tra gli uomini e le donne, dando valore all’amore e alla fedeltà reciproca come mai era stato fatto prima. Il legame del matrimonio consente sia agli uomini sia alle donne di prosperare in comunione. La maggior parte dei sacrifici che compiamo sono a vantaggio dei nostri coniugi e dei nostri figli. Anche questo spirito di donazione di sé è un altro contributo cristiano all’Europa che amiamo.

11. Le radici classiche incoraggiano l'eccellenza. L’Europa vera trae ispirazione altresì dalla tradizione classica. Noi ci riconosciamo nella letteratura della Grecia e di Roma antiche. Da europei, ci sforziamo per raggiungere la magnificenza, gemma sulla corona delle virtù classiche. A volte questo ha condotto alla competizione violenta per la supremazia. Ma al suo meglio è l’aspirazione all’eccellenza che ispira gli uomini e le donne dell’Europa a creare opere musicali e artistiche d’ineguagliata bellezza o a compiere svolte straordinarie nella scienza e nella tecnologia. Le virtù profonde dei Romani che sapevano come dominare se stessi, nonché l’orgoglio nel partecipare alla vita civica e lo spirito dell’indagine filosofica dei Greci non sono mai stati dimenticati nell’Europa vera. Anche queste eredità sono nostre.

12. L'Europa è un progetto condivisoL’Europa vera non è mai stata perfetta. I fautori dell’Europa falsa non sbagliano nel proporre sviluppi e riforme, e tra il 1945 e il 1989 molte di apprezzabile e di onorevole è stato fatto. La nostra vita condivisa è un progetto che continua, non un’eredità sclerotizzata. Ma il futuro dell’Europa riposa in una lealtà rinnovata verso le nostre tradizioni migliori, non un universalismo spurio che impone la perdita della memoria e il ripudio di sé. L’Europa non è iniziata con l’Illuminismo. La nostra amata casa non troverà realizzazione di sé nell’Unione Europea. L’Europa vera è, e sempre sarà, una comunità di nazioni a volte chiuse, e talvolta ostinatamente tali, eppure unite da un’eredità spirituale che, assieme, discutiamo, sviluppiamo, condividiamo e, sì, amiamo.

13. Stiamo perdendo la nostra casa.  L’Europa vera è a rischio. I risultati ottenuti dalla sovranità popolare, dalla resistenza all’impero, dal cosmopolitismo capace di amore civico, il retaggio cristiano di una vita autenticamente umana e dignitosa, l’impegno vivo nei confronti della nostra eredità classica stanno tutti scemando. I padrini dell’Europa falsa costruiscono la loro fasulla Cristianità di diritti umani universali e noi perdiamo la nostra casa.

14. Sta prevalendo una libertà falsa. L’Europa falsa si gloria di un impegno senza precedenti a favore della libertà umana. Questa libertà, però, è assolutamente a senso unico. Viene vista come la liberazione da ogni freno: libertà sessuale, libertà di espressione di sé, libertà di “essere se stessi”. La generazione del 1968 considera queste libertà come vittorie preziose su quello che un tempo era un regime culturale onnipotente e oppressivo. I sessantottini si considerano grandi liberatori, e le loro trasgressioni vengono acclamate come nobili conquiste morali per le quali il mondo intero dovrebbe essere loro grato.

15. L’individualismo, l’isolamento e l’astuzia sono diffusi.  Per le generazioni europee più giovani, invece, la realtà è molto meno dorata. L’edonismo libertino conduce spesso alla noia e a un profondo senso d’inutilità. Il vincolo matrimoniale si è indebolito. Nel mare torbido della libertà sessuale, il desiderio profondo dei giovani di sposarsi e di formare famiglie viene spesso frustrato. Una libertà che frustra le ambizioni più profonde del nostro cuore diventa una maledizione. Sembra che le nostre società stiano cadendo nell’individualismo, nell’isolamento e nell’inanità. Al posto della libertà, siamo condannati al vuoto conformismo di una cultura guidata dai consumi e dai media. È quindi nostro dovere dire la verità: la generazione del 1968 ha distrutto, ma non ha costruito. Ha creato un vuoto ora riempito dai social media, dal turismo di massa e dalla pornografia.

16. Siamo regolati e gestiti. E mentre ascoltiamo i vanti di questa libertà senza precedenti, la vita dell’Europa si fa sempre più globalmente regolamentata. Ci sono regole ‒ spesso predisposte da tecnocrati senza volto legati a interessi forti ‒ che governano le nostre relazioni professionali, le nostre decisioni nel campo degli affari, i nostri titoli di studio, i nostri mezzi d’informazione e d’intrattenimento, la nostra stampa. E ora l’Europa cerca di restringere ancora di più la libertà di parola, una libertà che è stata europea sin dal principio e che equivale alla manifestazione della libertà di coscienza. Ma gli obiettivi di queste restrizioni non sono l’oscenità e le altre aggressioni alla decenza nella vita pubblica. Al contrario, la classe dirigente europea vuole manifestamente restringere la libertà di parola. Gli esponenti politici che danno voce a certe verità sconvenienti sull’islam e sull’immigrazione vengono trascinati in tribunale. La correttezza politica impone tabù così forti da squalificare in partenza qualsiasi tentativo di sfidare lo status quo. In realtà, l’Europa falsa non incoraggia la cultura della libertà. Promuove una cultura dell’omogeneità guidata da criteri mercantili e della conformità imposta da logiche politiche.

17. Il Multiculturalismo è impraticabile. L’Europa falsa si vanta pure di un impegno senza precedenti a favore dell’eguaglianza. Pretende di promuovere la non-discriminazione e l’inclusione di tutte le razze, di tutte le religioni e di tutte le identità. In questo campo sono stati effettivamente compiuti progressi veri, ma il distacco utopistico dalla realtà ha preso il sopravvento. Negli ultimi decenni, l’Europa ha perseguito un grandioso progetto multiculturalista. Chiedere o figuriamoci promuovere l’assimilazione dei nuovi arrivati musulmani alle nostre usanze e ai nostri costumi, peggio ancora alla nostra religione, è stata giudicata un’ingiustizia triviale. L’impegno egualitario, ci è stato detto, impone che noi abiuriamo anche la più piccola pretesa di ritenere superiore la nostra cultura. Paradossalmente, l’impresa multiculturale europea, che nega le radici cristiane dell’Europa, vive in modo esagerato e insopportabile alle spalle dell’ideale cristiano di carità universale. Dai popoli europei pretende un grado di abnegazione da santi. Denunciamo quindi il tentativo di fare della completa colonizzazione delle nostre patrie e della rovina della nostra cultura il traguardo glorioso dell’Europa nel secolo XXI, da raggiungere attraverso il sacrificio collettivo di sé in nome di una nuova comunità globale di pace e di prosperità che sta per nascere.

18. Cresce la fede falsa. In quest’idea c’è una grande misura di malafede. La maggior parte degli esponenti dei nostri mondi politici è senza dubbio convinta che la cultura europea sia superiore, ma non lo può dire in pubblico perché offenderebbe gl’immigrati. Stante questa superiorità, pensano che l’assimilazione avverrà in modo naturale e rapido. Riecheggiando ironicamente l’antica idea imperialista, le classi dirigenti europee presumono infatti che, in qualche modo, in obbedienza alle leggi della natura o della storia, “loro” diventeranno necessariamente come “noi”; e non concepiscono che possa accadere invece l’inverso. Nel frattempo, s’impiega la dottrina multiculturalista ufficiale come strumento terapeutico per gestire le incresciose ma “temporanee” tensioni culturali.

19. Aumenta la tirannia tecnologica.  Ma vi è una malafede ancora maggiore, di un genere più oscuro. Negli ultimi decenni, una parte sempre più ampia della nostra classe dirigente ha riposto i propri interessi nell’accelerazione della globalizzazione. I suoi esponenti mirano a dar vita a istituzioni sovranazionali che possano controllare senza l’inconveniente della sovranità popolare. È sempre più chiaro che il “deficit di democrazia” di cui soffre l’Unione Europea non è solo un problema tecnico che si può risolvere con mezzi tecnici, ma un impegno basilare difeso con zelo. Legittimati da presunte necessità economiche o attraverso l’elaborazione autonoma di una nuova legislazione internazionale dei diritti umani, i mandarini sovranazionali delle istituzioni comunitarie europee confiscano la vita politica dell’Europa, rispondendo alle sfide in modo tecnocratico: non esiste alternativa. È questa la tirannia morbida ma concreta che abbiamo oggi di fronte.

20. L'Europa falsa è fragile e impotente. Nonostante i migliori sforzi profusi dai suoi partigiani per cercare di tenere in piedi un castello d’illusioni confortanti, l’arroganza dell’Europa falsa sta però ora diventando del tutto evidente. Soprattutto, l’Europa falsa si sta rivelando più debole di quanto chiunque avrebbe mai immaginato. L’intrattenimento popolare e il consumo materiale non alimentano la vita civica. Depauperate d’ideali nobili e inibite dall’ideologia multiculturalista a esprimere orgoglio patriottico, le nostre società hanno difficoltà a trovare la volontà di difendersi. In più, non sono certo la retorica dell’inclusione o l’impersonalità di un sistema economico dominato da gigantesche società internazionali per azioni a poter ridare vigore al senso civico e alla coesione sociale. Dobbiamo essere franchi ancora una volta: le società europee si stanno sfilacciando malamente. Se non apriremo gli occhi, assisteremo a un uso sempre maggiore del potere statalista, dell’ingegneria sociale e dell’indottrinamento culturale. Non è solo il terrorismo islamico a portare soldati pesantemente armati nelle nostre strade. Per domare le contestazioni antisistema e persino le folle ubriache dei tifosi di calcio oggi sono necessari poliziotti in tenuta antisommossa. Il fanatismo delle tifoserie sportive è un segno disperato nel bisogno profondamente umano di solidarietà, un bisogno che d’altra parte l’Europa falsa disattende.

21. Si è sviluppata una cultura del ripudio. In Europa, i ceti intellettuali sono, purtroppo, fra i principali partigiani ideologici della boria dell’Europa falsa. Senza dubbio, le nostre università sono una delle glorie della civiltà europea. Ma laddove un tempo esse cercavano di trasmettere a ogni nuova generazione la sapienza delle epoche passate, oggi per i più il pensiero critico equivale alla semplicistica ricusazione del passato. La stella polare dello spirito europeo è stata la rigorosa disciplina dell’onestà e dell’obiettività intellettuali. Ma da due generazioni questo nobile ideale è stato trasformato. L’ascetismo che un tempo cercava di liberare la mente dalla tirannia dell’opinione dominante si è mutata in un’animosità spesso compiaciuta e irriflessiva contro tutto ciò che ci appartiene. Questo atteggiamento di ripudio culturale è un modo semplice e a buon mercato per atteggiarsi a “critici”. Negli ultimi decenni, è stato sperimentato nelle sale da convegno, diventando una dottrina, un dogma. E l’unirsi a questo credo viene preso come segno di elezione spirituale da “illuminati”. Di conseguenza, le nostre università sono diventate agenti attivi della distruzione culturale.

22. Le élites esibiscono in modo arrogante le loro virtù. Le nostri classi dirigenti promuovono i diritti umani. Combattono i cambiamenti climatici. Progettano una economia di mercato più globalmente integrata e l’armonizzazione delle politiche fiscali. Supervisionano i passi compiuti verso l’eguaglianza di genere. Fanno così tanto per noi! Che importa dunque dei meccanismi con cui sono arrivati ai loro posti? Che importa se i popoli europei sono sempre più scettici delle loro gestioni?

23. Un'alternativa c'è. Lo scetticismo crescente è pienamente giustificato. Oggi l’Europa è dominata da un materialismo privo di obiettivi incapace di motivare gli uomini e le donne a generare figli e a formare famiglie. La cultura del ripudio defrauda le generazioni future del senso d’identità. In alcuni dei nostri Paesi vi sono zone intere in cui i musulmani vivono informalmente autonomi rispetto alle leggi vigenti, quasi fossero dei coloni invece che dei nostri connazionali. L’individualismo ci isola gli uni dagli altri. La globalizzazione trasforma le prospettive di vita di milioni di persone. Quando le si sfida, le nostre classi dirigenti dicono che la loro è semplicemente la gestione dell’inevitabile e la sistemazione delle necessità più impellenti. Nessun’altra strada è possibile, e resistere è irrazionale. Le cose non possono andare altrimenti. Chi si oppone, soffre di nostalgia, e per questo merita di essere moralmente condannato come razzista e fascista. Man mano che le divisioni sociali e la sfiducia civica si fanno evidenti, la vita pubblica europea diviene più rabbiosa, più rancorosa, e nessuno sa dove questo potrà condurre. Dobbiamo smettere di camminare lungo questa strada. Dobbiamo liberarci della tirannia dell’Europa falsa. Un’alternativa c’è.

24. Dobbiamo rifiutare i surrogati della religione. L’opera di rinnovamento inizia con l’autocoscienza teologica. Le pretese universaliste e multiculturaliste dell’Europa falsa si rivelano essere surrogati della religione, con tanto di impegni di fede e pure di anatemi. È l’oppio potente che paralizza politicamente l’Europa. Noi dobbiamo quindi sottolineare che le aspirazioni religiose appartengono al mondo della religione, non a quello della politica, meno ancora a quello dell’amministrazione burocratica. Per recuperare la nostra capacità di agire nella politica e nella storia, è imperativo risecolarizzare la vita politica dell’Europa.

25. Dobbiamo ripristinare un vero e proprio liberalismo.  Quest’impresa esigerà che ognuno di noi rinunci al linguaggio bugiardo che evita le responsabilità e che favorisce la manipolazione ideologica. I discorsi sulla diversità, sull’inclusione e sul multiculturalismo sono vuoti. Spesso è un linguaggio utilizzato per travestire i nostri fallimenti da conquiste: la dissoluzione della solidarietà sociale viene “in realtà” presa come un segnale di benvenuto, di tolleranza e d’inclusione. Ma questo è linguaggio da marketing, inteso a oscurare la realtà invece che a illuminarla. Dobbiamo allora recuperare il rispetto profondo per la realtà. Il linguaggio è uno strumento delicato, e usandolo come un randello lo si degrada. Dobbiamo farci fautori del decoro linguistico. Il ricorso alla denuncia è il segno della decadenza che ha aggredito il nostro tempo. Non dobbiamo tollerare l’intimidazione verbale, men che meno le minacce di morte. Dobbiamo proteggere chi parla in modo ragionevole anche quando pensiamo che sbagli. Il futuro dell’Europa dev’essere liberale nel senso migliore del termine, ovvero garante di discussioni pubbliche appassionate, libere da ogni minaccia di violenza e di coercizione.

26. Abbiamo bisogno di statisti responsabili. Rompere l’incantesimo dell’Europa falsa e della sua utopistica crociata pseudo-religiosa votata a costruire un mondo senza confini significa incoraggiare una nuova arte del governo e un nuovo tipo di uomini di governo. Un uomo politico di valore salvaguarda il bene comune di un determinato popolo. Un valido uomo di governo considera la nostra comune eredità europea e le nostre specifiche tradizioni nazionali doni magnifici e vivificanti, ma al contempo fragili. Quindi né le ricusa né rischia di smarrirle per inseguire sogni utopici. Gli uomini politici così desiderano sinceramente gli onori conferiti loro dalle proprie genti, non bramano l’approvazione di quella “comunità internazionale” che di fatto è solo la cerchia di relazioni pubbliche di una oligarchia.

27. Dobbiamo ritrovare l’unità nazionale e la solidarietà. Riconoscendo il carattere particolare dei Paesi europei, e la loro impronta cristiana, non dobbiamo lasciarci confondere dalle affermazioni pretestuose dei multiculturalisti. L’immigrazione senza l’assimilazione è solo una colonizzazione, e dev’essere respinta. Ci attendiamo giustamente che chi migra nelle nostre terre divenga parte dei nostri Paesi, adottando le nostre usanze. Quest’aspettativa deve però essere sostenuta da una politica solida. Il linguaggio del multiculturalismo è stato importato dagli Stati Uniti d’America. Ma l’età d’oro dell’immigrazione negli Stati Uniti è stata all’inizio del secolo XX, un periodo di crescita economica notevolmente rapida in un Paese sostanzialmente privo di Welfare State e caratterizzato da un forte senso d’identità nazionale che ci si attendeva gl’immigrati assimilassero. Dopo avere accolto numeri enormi d’immigrati, gli Stati Uniti hanno poi praticamente sigillato le porte per due generazioni. L’Europa deve imparare da quell’esperienza americana invece che adottare le ideologie americane contemporanee. Quell’esperienza dice che il lavoro è un potente forza di assimilazione, che un Welfare State indulgente può invece impedire l’assimilazione e che a volte la prudenza politica impone di ridurre le cifre dell’immigrazione, anche in modo drastico. Non dobbiamo permettere che l’ideologia multiculturalista deformi la nostra capacità di valutare in sede politica quale sia il modo migliore per servire il bene comune, cosa che peraltro esige che comunità nazionali sufficientemente unite e solidali considerino il proprio bene come comune.

28. Solo gli imperi sono multiculturali.   Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa Occidentale ha saputo far crescere sistemi democratici vitali. Dopo il crollo dell’impero sovietico, i Paesi dell’Europa Centrale hanno recuperato la propria vitalità civica. Sono due delle conquiste più preziose cui l’Europa sia mai giunta. Ma andranno perdute se non affrontiamo il nodo dell’immigrazione e dei cambiamenti demografici in atto nei nostri Paesi. Solo gl’imperi possono essere multiculturali, ed è esattamente un impero ciò che l’Unione Europea diventerà se non riusciremo a fare di una nuova unità civica solidale il criterio per valutare le politiche sull’immigrazione e le strategie per l’assimilazione.

29. Una giusta gerarchia nutre il benessere sociale. Molti pensano erroneamente che l’Europa sia scossa solo dalle controversie sull’immigrazione. In verità, la questione dell’immigrazione è solo uno degli aspetti di un processo di disfacimento sociale più generale che dev’essere invertito. Dobbiamo ripristinare la dignità sociale che hanno i ruoli specifici. I genitori, gl’insegnanti e i professori hanno il dovere di formare coloro che sono affidati alle loro cure. Dobbiamo resistere al culto della competenza che s’impone a spese della sapienza, del garbo e della ricerca di una vita colta. L’Europa non conoscerà alcun rinnovamento senza il rifiuto deciso dell’egualitarismo esagerato e della riduzione del sapere a conoscenza tecnica. Noi abbracciamo con favore le conquiste politiche dell’età moderna. Ogni uomo e ogni donna debbono avere parità di voto. I diritti fondamentali debbono essere protetti. Ma una democrazia sana esige gerarchie sociali e culturali che incoraggino il perseguimento dell’eccellenza e che rendano onore a coloro che servono il bene comune. Dobbiamo restaurare il senso della grandezza spirituale e onorarlo in modo che la nostra civiltà possa contrastare il potere crescente della mera ricchezza da un lato e dell’intrattenimento triviale dall’altro.

30. Dobbiamo ripristinare la cultura moraleLa dignità umana è più del diritto a essere lasciati in pace e le dottrine dei diritti umani internazionali non esauriscono la sete di giustizia, meno ancora la sete del bene. L’Europa deve riorganizzare il consenso attorno alla cultura morale di modo che le gente possa essere guidata all’obiettivo di una vita virtuosa. Non possiamo consentire che una falsa idea di libertà impedisca l’uso prudente del diritto per scoraggiare il vizio. Dobbiamo perdonare la debolezza umana, ma l’Europa non può prosperare senza restaurare l’aspirazione comune alla rettitudine e all’eccellenza umana. La cultura della dignità sgorga dal decoro e dall’adempimento dei doveri che competono al nostro stato sociale. Dobbiamo ricuperare il rispetto reciproco fra le classi sociali che caratterizza una società che dà valore ai contributi di tutti.

31. I mercati devono essere ordinati verso fini sociali. Mentre riconosciamo gli aspetti positivi delle economie di libero mercato, dobbiamo resistere alle ideologie che cercano di rendere totalizzante la logica del mercato. Non possiamo permettere che tutto sia in vendita. I mercati che funzionano bene esigono che sia il diritto a precedere e a presiedere (rule of law) e il nostro diritto che tutto precede e presiede deve puntare più in alto della mera efficienza economica. Del resto i mercati funzionano meglio quando sono inseriti in istituzioni sociali forti organizzate sui princìpi autonomi non mercantili. La crescita economica, benché benefica, non è il bene sommo. I mercati debbono essere orientati a fini sociali. Oggi il gigantismo aziendale minaccia persino la sovranità politica. I Paesi debbono cooperare per dominare l’arroganza e l’irragionevolezza delle forze economiche globali. Noi ci riconosciamo quindi in un uso prudente del potere esercitato dai governi per sostenere beni sociali non economici.

32. L'istruzione deve essere riformata. Noi crediamo che l’Europa abbia una storia e una cultura degne di essere difese. Troppo spesso, però, le nostre università tradiscono la nostra eredità culturale. Dobbiamo riformare i programmi scolastici per incoraggiare la trasmissione della nostra cultura comune invece che indottrinare i giovani con una cultura del ripudio. Gl’insegnanti e i mentori di ogni livello hanno il dovere della memoria. Dovrebbero essere orgogliosi del ruolo di ponte fra le generazioni passate e future che hanno. Dobbiamo recuperare anche il senso della cultura europea alta, usando il Bello e il Sublime come norma comune e rigettando la degradazione delle arti a una fattispecie della propaganda politica. Questo esigerà che si allevi una nuova generazione di mecenati. Le società per azioni e le burocrazie si sono rivelate essere custodi davvero poveri delle arti.

33. Il Matrimonio e la famiglia sono essenziali. Il matrimonio è il fondamento della società civile e la base dell’armonia fra gli uomini e le donne. È il legame intimo tra un uomo e una donna che si organizza per il sostentamento della famiglia e per la crescita dei figli. Noi affermiamo che i ruoli più fondamentali che abbiamo sia nella società sia in quanto esseri umani sono quelli di padri e di madri. Il matrimonio e i figli sono parte integrante di qualsiasi prospettiva di prosperità umana. A coloro che li hanno generati al mondo i figli richiedono sacrificio. È un sacrificio nobile cui deve essere reso onore. Noi pertanto auspichiamo politiche sociali prudenti che incoraggino e rafforzino il matrimonio, la maternità e l’educazione dei figli. Una società che non accoglie i figli non ha futuro.

34. Il populismo dovrebbe essere "impegnato". L’Europa di oggi è attraversato da grande preoccupazione per il sorgere di quello che viene chiamato “populismo”, anche se il significato del termine non viene mai definito ed è usato per lo più solo come invettiva. Sul tema abbiamo le nostre riserve. L’Europa deve attingere alla sapienza profonda delle proprie tradizioni piuttosto che affidarsi a slogan semplicistici e a richiami emotivi divisivi. Eppure ci rendiamo conto che molti elementi di questo nuovo fenomeno politico possono rappresentare una sana ribellione contro la tirannia dell’Europa falsa, che etichetta come “antidemocratica” qualsiasi realtà ne minacci il monopolio della legittimità morale. Il cosiddetto “populismo” sfida la dittatura dello status quo, il “fanatismo del centro”, e lo fa giustamente. È un segno che persino nel mezzo della nostra cultura politica degradata e impoverita è possibile ridare vita all’agire storico dei popoli europei.

35. Il nostro futuro è l'Europa vera. Rifiutiamo perché falsa la pretesa di dire che non esiste alternativa responsabile alla solidarietà artificiale e senz’anima di un mercato unificato, di una burocrazia transnazionale e di un intrattenimento dozzinale. L’alternativa responsabile è l’Europa vera.

36. Dobbiamo assumerci la responsabilità. In questo momento, chiediamo a tutti gli europei di unirsi a noi per respingere le fantasie utopistiche di un mondo multiculturale senza frontiere. Amiamo a buon diritto le nostre patrie e cerchiamo di trasmettere ai nostri figli ogni elemento nobile che noi stessi abbiamo ricevuto in dote. Da europei, condividiamo anche una eredità comune e questa eredità ci chiede di vivere assieme in pace in una Europa delle nazioni. Ripristiniamo la sovranità nazionale e ricuperiamo la dignità di una responsabilità politica condivisa per il futuro dell’Europa.



Philippe Bénéton (France)
Rémi Brague (France)
Chantal Delsol (France)
Roman Joch (Česko)
Lánczi András (Magyarország)
Ryszard Legutko (Polska) 
Pierre Manent (France)
Matthias Storme (België)
Janne Haaland Matlary (Norge)
Dalmacio Negro Pavón (España)
Roger Scruton (United Kingdom)
Robert Spaemann (Deutschland)
Bart Jan Spruyt (Nederland)

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