martedì 30 gennaio 2018

Breve riflessione sull'ovvio



Ovvio, ma di questi tempi forse non tanto.

Captando vari discorsi intorno, ecco alcuni spunti.
Ci si domanda talvolta come commettere pochi peccati. 
Ma il vero traguardo del cristiano è la santità, perchè Dio ci chiama continuamente alla santificazione.


1Tessalonicesi 4,7

"Dio non ci ha chiamati all'impurità, ma alla santificazione."

Ma come si fa a vivere nella santità? 
Certo, serve spogliarsi di sè e lasciare operare la Grazia.
Non è atteggiamento giusto nemmeno parer attendere una grazia dal cielo che poi si dice non arrivi,
se poi mai ci spogliamo di noi stessi e perseveriamo metodicamente negli stessi errori,
perchè in quel caso non è la grazia che non è arrivata, 
ma saremmo noi che ci siamo induriti
o chiusi, fino ad arrivare all'imperdonabile, che è la resistenza allo Spirito Santo.

Proverbi 23,26

"Fa' bene attenzione a me, figlio mio,
e tieni fisso lo sguardo ai miei consigli."


 
Se Dio in qualche modo ci ha chiamati, ci ha toccati, ci ha attirati a sè, 
dobbiamo imparare ad amare Dio e rivolgerci sempre a Lui; questo amore genererà in noi l’amore per i suoi Comandamenti, che mai sono passati di moda, e il desiderio di osservarli. Chi ama Dio, anche se tentato, trova piacere nell'obbedire ai suoi Comandamenti.

Giovanni 15


1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. 9 Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17
 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri."


Se si rimane nella Comunione col Signore, conservando le sue parole nel nostro cuore e mettendole in pratica, porteremo  
il frutto dello Spirito 
che è sempre amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5, 22).

Il vuoto spirituale invece è quello che conduce al peccato.


Dunque, praticando vari esercizi spirituali di preghiera e digiuno, o rinuncia alle cose cattive, possiamo avvicinarci al Signore e sperimentare la sua presenza nella nostra vita e il suo amore per noi.

Il Signore promette dicendo: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato” (Gv 15, 5). Quindi, quando noi gli chiediamo di purificare il nostro cuore dal quale provengono le intenzioni cattive (Mt 7, 21), Egli ci purificherà da tutte le nostre sozzure, 

ci darà un cuore nuovo, 
metterà dentro di noi uno spirito nuovo, 
porrà il suo spirito dentro di noi, 
ci farà vivere secondo i suoi statuti 
e ci farà osservare e mettere in pratica le sue leggi (Ez 36, 25 - 27).

A volte si tratta di rivoluzionare una vita intera e un'intera struttura interiore.

A volte si tratta anche di fare attenzione ai propri appetiti. Altre, di attenzione alla propria condotta. Sempre, di staccarsi dai legacci della carnalità, dagli impulsi del momento, 
ma anche dalla prigione del proprio personale psichismo, 
e aprirsi allo spirito.

Un esempio quotidiano, piccolo. Le sostanze alcoliche e le sostanze che vengono usate come droga non sono in sé e di per sé un male perché ci sono alcuni farmaci che le contengono e i medici, in alcuni casi, consigliano di assumere piccole quantità di vino rosso per i suoi effetti salutari.
Anche in tempi remoti, il vino veniva usato come medicinale per la cura di qualche malattia e per alleviare dolori, o per berlo al posto dell'acqua che spesso era infetta. Lo stesso San Paolo, nella sua prima lettera a Timoteo, gli consiglia di smettere di bere acqua, invitandolo, invece, a bere un po’ di vino a causa dello stomaco e delle sue frequenti indisposizioni (1Tm 5, 23).

Ma le S. Scritture suggeriscono in tutto moderazione, e proibiscono l’abuso delle bevande alcoliche e delle sostanze stupefacenti che alterano lo stato della coscienza.
 

Ciò che Dio comanda riguarda a queste sostanze è:
- di non ubriacarsi: “Non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito” (Ef 5, 18),
- di non desiderare il vino: “Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nella coppa e scende giù piano piano; finirà con il morderti come un serpente e pungerti come una vipera” (Pr 23, 31, 32),
- di non permettere che i nostri corpi siano dominati da nulla: “Tutto mi è lecito! Ma non tutto giova. Tutto mi è lecito! Ma io non mi lascerò dominare da nulla” (1Cor 6, 12), “Promettono loro libertà, ma essi stessi sono schiavi della corruzione. Perché uno è schiavo di ciò che l’ha vinto” (2Pt 2, 19).

Con il modo di essere e il modo di comportarsi, ognuno esprime la propria personalità e si rivelano le qualità del proprio cuore.


Cristo Signore stesso disse: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” (Lc 6, 45).


Siracide 5,15

"Non far male né molto né poco,
e da amico non divenire nemico"




Dunque, ci si dice appartenenti al cattolicesimo per figurare nei dati Istat,

perché così ci è stato insegnato in famiglia ed è un'abitudine,

perchè ci piacciono certi canti,

perchè ci piacciono certi riti,

o perché ci si è convertiti al Dio Vivente?



Inizialmente spesso si ricevono educazione ed insegnamenti religiosi in famiglia e in Chiesa, però ognuno, se vuole, deve coltivare la consapevolezza della presenza di Dio e il proprio rapporto intimo personale con Lui fino a sperimentare l’opera divina nella propria vita; 
perché il Cristianesimo non è formato solamente da dottrine o dogmi in cui bisogna credere, 
ma è soprattutto il vivere con Cristo.

Chi ama Dio non vuole rattristare il suo Spirito Santo (Ef 4, 30), né sopporta di vivere lontano da lui per qualsiasi motivo, in quanto “il vivere è Cristo” (Fil 1, 21), né accetta di rinunciare alla sua benedizione in ogni passo della sua vita; 

ed è consapevole di potere tutto in Colui che gli dà la forza (Fil 4, 13). 
Perciò osserva i comandamenti del Signore con gioia.

lunedì 29 gennaio 2018

Ancora aforismi di Nicolas Gomez Davila






La volgarità della vita è, in parte, un riflesso della volgarità delle nostre anime. È la nostra pigra intelligenza, il nostro affanno di sicurezza e il nostro orrore dell’estraneo, è il nostro gaudente accoglimento di ogni luogo comune, di ogni comoda interpretazione, di ogni trivialità routinaria, ciò che volgarizza lo stravagante e misterioso universo che ci circonda.

Per sfidare Dio l'uomo gonfia il proprio vuoto.

Quanto più gravi sono i problemi, tanto maggiore è il numero di inetti che la democrazia chiama a risolverli.

Basta un briciolo di perspicacia per diffidare delle proprie idee senza per questo affidarsi alle idee altrui.

Ritenere di non avere pregiudizi è il più comune dei pregiudizi.

Vivere con lucidità una vita semplice, silenziosa, discreta, tra libri intelligenti, amando poche persone.

Il sorriso dell'essere che amiamo è l'unico rimedio efficace contro il tedio.

Solo delle cause perse si può essere partigiani irriducibili.

La ragione è una mano premuta sul petto a placare il battito del nostro cuore disordinato.

Il male, come gli occhi, non vede se stesso. Tremi colui che si vede innocente.

Il barbaro o deride senza riserve o venera senza riserve. La civiltà è un sorriso che mescola con discrezione ironia e rispetto.

Tra poche parole è così difficile nascondersi come tra pochi alberi.

I Vangeli e il Manifesto del partito comunista sbiadiscono; il futuro del mondo appartiene alla Coca-Cola e alla pornografia.

Maturare non vuol dire rinunciare alle nostre aspirazioni, ma accettare che il mondo non è obbligato a soddisfarle.

La banalizzazione è il prezzo della comunicazione.

L'uomo preferisce discolparsi con la colpa altrui piuttosto che con la propria innocenza.

Istruire non è indicare soluzioni, ma rivelare problemi.

Spesso il pensare si riduce a inventare ragioni per dubitare dell'evidente.

L'uomo moderno non ama, si rifugia nell'amore; non spera, si rifugia nella speranza; non crede, si rifugia in un dogma.

È sufficiente che la bellezza sfiori appena il nostro tedio, perché il cuore ci si laceri come seta tra le mani della vita.

L'adesione al comunismo è il rito che permette all'intellettuale borghese di esorcizzare la sua cattiva coscienza senza abiurare il suo essere borghese.

L'idea del "libero sviluppo della personalità" sembra degna di ammirazione finché non incappa in individui la cui personalità si è sviluppata liberamente.

L'individualismo moderno si riduce a reputare personali e proprie le opinioni condivise da tutti.

Chi non teme che il più banale dei suoi momenti presenti diventi in futuro un paradiso perduto?

Le civiltà muoiono per l'indifferenza verso i valori peculiari che le fondano.

L'intelligenza si inventa coerenze per dormire sonni tranquilli. Fin quando non irrompe l'assurdo.

Duecento anni fa era lecito confidare nel futuro senza essere completamente stupidi. Ma oggi chi può dar credito alle attuali profezie, dato che siamo noi lo splendido avvenire di ieri?

Il massimo trionfo della scienza sembra consistere nella velocità crescente con cui lo stupido può trasferire la sua stupidità da un luogo a un altro.

Tra intellettuali la conversazione è scambio di idee altrui.

Il cristiano moderno sente l'obbligo professionale di mostrarsi affabile e allegro, di sfoggiare un benevolo sorriso a trentadue denti, di ostentare cordialità ossequiosa per convincere il miscredente che il cristianesimo non è religione "ombrosa", dottrina "pessimista", morale "ascetica". Il cristiano progressista ci stringe forte la mano con ampio sorriso elettorale.

Ammettere di buon grado che le nostre idee non hanno motivo di interessare chicchessia è il primo passo verso la saggezza.

La società moderna si concede il lusso di tollerare che tutti dicano ciò che vogliono perché oggi, di fondo, tutti pensano allo stesso modo.

Una filosofia ne supera un'altra solo quando definisce con maggior precisione lo stesso mistero insolubile.

Nulla è più pericoloso che risolvere problemi transitori con soluzioni permanenti.

Convincere chi ha opinioni proprie è facile, ma nessuno convince chi sostiene opinioni altrui. Nessuno si aggrappa tanto alle proprie opinioni quanto colui che è solamente l'eco dell'epoca in cui vive.

Il più grande errore moderno non è l'annuncio della morte di Dio, ma l'essersi persuasi della morte del diavolo.

La radicale opposizione tra gli uomini si svela nel fatto che, parlando del piacere, gli uni decollano verso la metafisica e gli altri scivolano verso la fisiologia.

Nessuno che conosca se stesso si può assolvere.
„Al volgo non interessa essere libero, ma credersi tale.“
– Nicolás Gómez Dávila

Riferimento: http://le-citazioni.it/autori/nicolas-gomez-davila/?q=182450
„Al volgo non interessa essere libero, ma credersi tale.“
– Nicolás Gómez Dávila

Riferimento: http://le-citazioni.it/autori/nicolas-gomez-davila/?q=182450
„Al volgo non interessa essere libero, ma credersi tale.“
– Nicolás Gómez Dávila

Riferimento: http://le-citazioni.it/autori/nicolas-gomez-davila/?q=182450

domenica 28 gennaio 2018

Dichiarazione di Parigi come progetto per l'Europa

Il 7 Ottobre di quest'anno  un gruppo di intellettuali europei ha ideato e pubblicato un manifesto conservatore  con 36 punti che difendono la "Vecchia Europa" (così come la conoscevamo prima della Ue e dell'entrata in vigore dell'Euro) completamente ignorato dai media.  

 

LA DICHIARAZIONE DI PARIGI ovvero UN'EUROPA IN CUI POSSIAMO CREDERE

1. L'Europa è casa nostra L’Europa ci appartiene e noi apparteniamo all’Europa. Queste terre sono la nostra casa; non ne abbiamo altra. Le ragioni per cui l’Europa ci è cara superano la nostra capacità di spiegare o di giustificare la nostra lealtà verso di essa. Sono storie, speranze e affetti condivisi. Usanze consolidate, e momenti di pathos e di dolore. Esperienze entusiasmanti di riconciliazione e la promessa di un futuro condiviso. Scenari ed eventi comuni si caricano di significato speciale: per noi, ma non per altri. La casa è un luogo dove le cose sono familiari e dove veniamo riconosciuti per quanto lontano abbiamo vagato. Questa è l’Europa vera, la nostra civiltà preziosa e insostituibile.

2. Una falsa Europa ci minaccia. L’Europa, in tutta la sua ricchezza e la sua grandezza, è minacciata da un falsa concezione di se stessa. Questa Europa falsa immagina di essere la realizzazione della nostra civiltà, ma in verità sta requisendo la nostra casa. Si appella alle esagerazioni e alle distorsioni delle autentiche virtù dell’Europa, e resta cieca di fronte ai propri vizi. Smerciando con condiscendenza caricature a senso unico della nostra storia, questa Europa falsa nutre un pregiudizio invincibile contro il passato. I suoi fautori sono orfani per scelta e danno per scontato che essere orfani ‒ senza casa ‒ sia una conquista nobile. In questo modo, l’Europa falsa incensa se stessa descrivendosi come l’anticipatrice di una comunità universale che però non è né universale né una comunità.

3. La falsa Europa è utopica e tirannica. I padrini dell’Europa falsa sono stregati dalle superstizioni del progresso inevitabile. Credono che la Storia stia dalla loro parte, e questa fede li rende altezzosi e sprezzanti, incapaci di riconoscere i difetti del mondo post-nazionale e post-culturale che stanno costruendo. Per di più, ignorano quali siano le fonti vere del decoro autenticamente umano cui peraltro tengono caramente essi stessi, proprio come vi teniamo noi. Ignorano, anzi ripudiano le radici cristiane dell’Europa. Allo stesso tempo, fanno molta attenzione a non offendere i musulmani, immaginando che questi ne abbracceranno con gioia la mentalità laicista e multiculturalista. Affogata nel pregiudizio, nella superstizione e nell’ignoranza, oltre che accecata dalle prospettive vane e autogratulatorie di un futuro utopistico, per riflesso condizionato l’Europa falsa soffoca il dissenso. Tutto ovviamente in nome della libertà e della tolleranza.

4. Dobbiamo difendere l'Europa vera. Siamo in un vicolo cieco. La minaccia maggiore per il futuro dell’Europa non sono né l’avventurismo russo né l’immigrazione musulmana. L’Europa vera è a rischio a causa della stretta asfissiante che l’Europa falsa esercita sulla nostra capacità d’immaginare prospettive. I nostri Paesi e la cultura che condividiamo vengono svuotati da illusioni e autoinganni su ciò che l’Europa è e deve essere. Noi c’impegniamo dunque a resistere a questa minaccia diretta contro il nostro futuro. Noi difenderemo, sosterremmo e promuoveremo l’Europa vera, l’Europa a cui in verità noi tutti apparteniamo.

5. La solidarietà e la lealtà civica incoraggiano la partecipazione attiva. L’Europa vera si aspetta e incoraggia la partecipazione attiva al progetto di una vita politica e culturale comuni. Quello europeo è un ideale di solidarietà basato sull’assenso a un corpo di leggi che si applica a tutti, ma che è limitato nelle pretese. Questo assenso non ha sempre assunto la forma della democrazia rappresentativa. Ma le nostre tradizioni di lealtà civica riflettono un assenso fondamentale alle nostre tradizioni politiche e culturali, quali che ne siano le forme. Nel passato, gli europei hanno combattuto per rendere i propri sistemi politici più aperti alla partecipazione popolare e di questa storia andiamo giustamente orgogliosi. Pur facendolo, talora con modi apertamente ribelli, hanno vigorosamente affermato che, malgrado le ingiustizie e le mancanze, le tradizioni dei popoli di questo continente sono le nostre. Questo zelo riformatore rende l’Europa un luogo alla costante ricerca di una giustizia sempre maggiore. Questo spirito di progresso è nato dall’amore e dalla lealtà verso le nostre patrie.

6. Non siamo soggetti passivi. È uno spirito europeo di unità che ci permette di fidarci pubblicamente gli uni degli altri, anche tra stranieri. Sono i parchi pubblici, le piazze centrali e i grandi viali delle città e dei borghi europei a esprimere lo spirito politico europeo: noi condividiamo una vita e una res publica comuni. Riteniamo nostro dovere assumerci la responsabilità del futuro delle nostre società. Non siamo soggetti passivi sottoposto al dominio di poteri dispotici, sacrali o laici. E non ci prostriamo davanti all’implacabilità di forze storiche. Essere europei significa possedere la facoltà di agire nella politica e nella storia. Siamo noi gli autori del destino che ci accomuna.

7. Lo Stato Nazione è il tratto distintivo dell'Europa. L’Europa vera è una comunità di nazioni. Abbiamo lingue, tradizioni e confini propri. Eppure ci siamo sempre riconosciuti affini, anche quando siamo arrivati al contrasto, o persino alla guerra. A noi questa unità nella diversità sembra naturale. Tuttavia è una realtà notevole e preziosa poiché non è né naturale né inevitabile. La forma politica più comune di questa unità nella diversità è l’impero, che i re guerrieri europei hanno cercato di ricreare per secoli dopo la caduta dell’impero romano. L’attrattiva esercitata dal modello imperiale è perdurata, ma ha prevalso lo Stato-nazione, la forma politica che unisce l’essere popolo alla sovranità. Lo Stato-nazione è quindi diventato il tratto caratteristico della civiltà europea.

8. Noi non sosteniamo un’unione imposta o forzata. Una comunità nazionale è fiera di governarsi a modo proprio, spesso si vanta dei grandi traguardi raggiunti nelle arti e nelle scienze, e compete con gli altri Paesi, a volte anche sul campo di battaglia. Tutto ciò ha ferito l’Europa, talvolta gravemente, ma non ne ha mai compromesso l’unità culturale. Di fatto è accaduto semmai il contrario. Man mano che gli Stati-nazione dell’Europa sono venuti radicandosi e precisandosi, si è rafforzata una identità europea comune. A seguito del terribile bagno di sangue causato dalle guerre mondiali nella prima metà del secolo XX, ci siamo rialzati ancora più risoluti a onorare quell’eredità comune. Ciò testimonia quale profondità e quale potenza abbia l’Europa come civiltà cosmopolita nel senso più appropriato. Noi non cerchiamo l’unità imposta e forzata di un impero. Piuttosto, il cosmopolitismo europeo riconosce che l’amore patriottico e la lealtà civica aprono a un mondo più vasto.

9. Il cristianesimo incoraggiava l’unità culturale. L’Europa vera è stata segnata dal cristianesimo. L’impero spirituale universale della Chiesa ha portato l’unità culturale all’Europa, ma lo ha fatto senza un impero politico. Questo ha permesso che entro una cultura europea condivisa fiorissero lealtà civiche particolari. L’autonomia di ciò che chiamiamo società civile è dunque diventata una peculiarità della vita europea. Inoltre, il Vangelo cristiano non consegna all’uomo una legge divina esaustiva da applicare alla società, e questo rende possibile affermare e onorare la varietà delle legislazioni positive delle diverse nazioni senza recare minaccia alla nostra unità europea. Non è un caso che il declino della fede cristiana in Europa sia stato accompagnato da sforzi sempre maggiori per raggiugerne l’unità politica: ovvero l’impero monetario e regolatorio, ammantato dai sentimenti di universalismo pseudoreligioso, che l’Unione Europea sta costruendo.

10. Le radici cristiane nutrono l'Europa. L’Europa vera afferma la pari dignità di qualsiasi persona, senza fare differenze di sesso, di rango o di razza. Anche questo proviene dalle nostre radici cristiane. Le nostre virtù nobili hanno un’ascendenza inequivocabilmente cristiana: l’equità, la compassione, la misericordia, il perdono, l’operare per la pace, la carità. Il cristianesimo ha rivoluzionato le relazioni tra gli uomini e le donne, dando valore all’amore e alla fedeltà reciproca come mai era stato fatto prima. Il legame del matrimonio consente sia agli uomini sia alle donne di prosperare in comunione. La maggior parte dei sacrifici che compiamo sono a vantaggio dei nostri coniugi e dei nostri figli. Anche questo spirito di donazione di sé è un altro contributo cristiano all’Europa che amiamo.

11. Le radici classiche incoraggiano l'eccellenza. L’Europa vera trae ispirazione altresì dalla tradizione classica. Noi ci riconosciamo nella letteratura della Grecia e di Roma antiche. Da europei, ci sforziamo per raggiungere la magnificenza, gemma sulla corona delle virtù classiche. A volte questo ha condotto alla competizione violenta per la supremazia. Ma al suo meglio è l’aspirazione all’eccellenza che ispira gli uomini e le donne dell’Europa a creare opere musicali e artistiche d’ineguagliata bellezza o a compiere svolte straordinarie nella scienza e nella tecnologia. Le virtù profonde dei Romani che sapevano come dominare se stessi, nonché l’orgoglio nel partecipare alla vita civica e lo spirito dell’indagine filosofica dei Greci non sono mai stati dimenticati nell’Europa vera. Anche queste eredità sono nostre.

12. L'Europa è un progetto condivisoL’Europa vera non è mai stata perfetta. I fautori dell’Europa falsa non sbagliano nel proporre sviluppi e riforme, e tra il 1945 e il 1989 molte di apprezzabile e di onorevole è stato fatto. La nostra vita condivisa è un progetto che continua, non un’eredità sclerotizzata. Ma il futuro dell’Europa riposa in una lealtà rinnovata verso le nostre tradizioni migliori, non un universalismo spurio che impone la perdita della memoria e il ripudio di sé. L’Europa non è iniziata con l’Illuminismo. La nostra amata casa non troverà realizzazione di sé nell’Unione Europea. L’Europa vera è, e sempre sarà, una comunità di nazioni a volte chiuse, e talvolta ostinatamente tali, eppure unite da un’eredità spirituale che, assieme, discutiamo, sviluppiamo, condividiamo e, sì, amiamo.

13. Stiamo perdendo la nostra casa.  L’Europa vera è a rischio. I risultati ottenuti dalla sovranità popolare, dalla resistenza all’impero, dal cosmopolitismo capace di amore civico, il retaggio cristiano di una vita autenticamente umana e dignitosa, l’impegno vivo nei confronti della nostra eredità classica stanno tutti scemando. I padrini dell’Europa falsa costruiscono la loro fasulla Cristianità di diritti umani universali e noi perdiamo la nostra casa.

14. Sta prevalendo una libertà falsa. L’Europa falsa si gloria di un impegno senza precedenti a favore della libertà umana. Questa libertà, però, è assolutamente a senso unico. Viene vista come la liberazione da ogni freno: libertà sessuale, libertà di espressione di sé, libertà di “essere se stessi”. La generazione del 1968 considera queste libertà come vittorie preziose su quello che un tempo era un regime culturale onnipotente e oppressivo. I sessantottini si considerano grandi liberatori, e le loro trasgressioni vengono acclamate come nobili conquiste morali per le quali il mondo intero dovrebbe essere loro grato.

15. L’individualismo, l’isolamento e l’astuzia sono diffusi.  Per le generazioni europee più giovani, invece, la realtà è molto meno dorata. L’edonismo libertino conduce spesso alla noia e a un profondo senso d’inutilità. Il vincolo matrimoniale si è indebolito. Nel mare torbido della libertà sessuale, il desiderio profondo dei giovani di sposarsi e di formare famiglie viene spesso frustrato. Una libertà che frustra le ambizioni più profonde del nostro cuore diventa una maledizione. Sembra che le nostre società stiano cadendo nell’individualismo, nell’isolamento e nell’inanità. Al posto della libertà, siamo condannati al vuoto conformismo di una cultura guidata dai consumi e dai media. È quindi nostro dovere dire la verità: la generazione del 1968 ha distrutto, ma non ha costruito. Ha creato un vuoto ora riempito dai social media, dal turismo di massa e dalla pornografia.

16. Siamo regolati e gestiti. E mentre ascoltiamo i vanti di questa libertà senza precedenti, la vita dell’Europa si fa sempre più globalmente regolamentata. Ci sono regole ‒ spesso predisposte da tecnocrati senza volto legati a interessi forti ‒ che governano le nostre relazioni professionali, le nostre decisioni nel campo degli affari, i nostri titoli di studio, i nostri mezzi d’informazione e d’intrattenimento, la nostra stampa. E ora l’Europa cerca di restringere ancora di più la libertà di parola, una libertà che è stata europea sin dal principio e che equivale alla manifestazione della libertà di coscienza. Ma gli obiettivi di queste restrizioni non sono l’oscenità e le altre aggressioni alla decenza nella vita pubblica. Al contrario, la classe dirigente europea vuole manifestamente restringere la libertà di parola. Gli esponenti politici che danno voce a certe verità sconvenienti sull’islam e sull’immigrazione vengono trascinati in tribunale. La correttezza politica impone tabù così forti da squalificare in partenza qualsiasi tentativo di sfidare lo status quo. In realtà, l’Europa falsa non incoraggia la cultura della libertà. Promuove una cultura dell’omogeneità guidata da criteri mercantili e della conformità imposta da logiche politiche.

17. Il Multiculturalismo è impraticabile. L’Europa falsa si vanta pure di un impegno senza precedenti a favore dell’eguaglianza. Pretende di promuovere la non-discriminazione e l’inclusione di tutte le razze, di tutte le religioni e di tutte le identità. In questo campo sono stati effettivamente compiuti progressi veri, ma il distacco utopistico dalla realtà ha preso il sopravvento. Negli ultimi decenni, l’Europa ha perseguito un grandioso progetto multiculturalista. Chiedere o figuriamoci promuovere l’assimilazione dei nuovi arrivati musulmani alle nostre usanze e ai nostri costumi, peggio ancora alla nostra religione, è stata giudicata un’ingiustizia triviale. L’impegno egualitario, ci è stato detto, impone che noi abiuriamo anche la più piccola pretesa di ritenere superiore la nostra cultura. Paradossalmente, l’impresa multiculturale europea, che nega le radici cristiane dell’Europa, vive in modo esagerato e insopportabile alle spalle dell’ideale cristiano di carità universale. Dai popoli europei pretende un grado di abnegazione da santi. Denunciamo quindi il tentativo di fare della completa colonizzazione delle nostre patrie e della rovina della nostra cultura il traguardo glorioso dell’Europa nel secolo XXI, da raggiungere attraverso il sacrificio collettivo di sé in nome di una nuova comunità globale di pace e di prosperità che sta per nascere.

18. Cresce la fede falsa. In quest’idea c’è una grande misura di malafede. La maggior parte degli esponenti dei nostri mondi politici è senza dubbio convinta che la cultura europea sia superiore, ma non lo può dire in pubblico perché offenderebbe gl’immigrati. Stante questa superiorità, pensano che l’assimilazione avverrà in modo naturale e rapido. Riecheggiando ironicamente l’antica idea imperialista, le classi dirigenti europee presumono infatti che, in qualche modo, in obbedienza alle leggi della natura o della storia, “loro” diventeranno necessariamente come “noi”; e non concepiscono che possa accadere invece l’inverso. Nel frattempo, s’impiega la dottrina multiculturalista ufficiale come strumento terapeutico per gestire le incresciose ma “temporanee” tensioni culturali.

19. Aumenta la tirannia tecnologica.  Ma vi è una malafede ancora maggiore, di un genere più oscuro. Negli ultimi decenni, una parte sempre più ampia della nostra classe dirigente ha riposto i propri interessi nell’accelerazione della globalizzazione. I suoi esponenti mirano a dar vita a istituzioni sovranazionali che possano controllare senza l’inconveniente della sovranità popolare. È sempre più chiaro che il “deficit di democrazia” di cui soffre l’Unione Europea non è solo un problema tecnico che si può risolvere con mezzi tecnici, ma un impegno basilare difeso con zelo. Legittimati da presunte necessità economiche o attraverso l’elaborazione autonoma di una nuova legislazione internazionale dei diritti umani, i mandarini sovranazionali delle istituzioni comunitarie europee confiscano la vita politica dell’Europa, rispondendo alle sfide in modo tecnocratico: non esiste alternativa. È questa la tirannia morbida ma concreta che abbiamo oggi di fronte.

20. L'Europa falsa è fragile e impotente. Nonostante i migliori sforzi profusi dai suoi partigiani per cercare di tenere in piedi un castello d’illusioni confortanti, l’arroganza dell’Europa falsa sta però ora diventando del tutto evidente. Soprattutto, l’Europa falsa si sta rivelando più debole di quanto chiunque avrebbe mai immaginato. L’intrattenimento popolare e il consumo materiale non alimentano la vita civica. Depauperate d’ideali nobili e inibite dall’ideologia multiculturalista a esprimere orgoglio patriottico, le nostre società hanno difficoltà a trovare la volontà di difendersi. In più, non sono certo la retorica dell’inclusione o l’impersonalità di un sistema economico dominato da gigantesche società internazionali per azioni a poter ridare vigore al senso civico e alla coesione sociale. Dobbiamo essere franchi ancora una volta: le società europee si stanno sfilacciando malamente. Se non apriremo gli occhi, assisteremo a un uso sempre maggiore del potere statalista, dell’ingegneria sociale e dell’indottrinamento culturale. Non è solo il terrorismo islamico a portare soldati pesantemente armati nelle nostre strade. Per domare le contestazioni antisistema e persino le folle ubriache dei tifosi di calcio oggi sono necessari poliziotti in tenuta antisommossa. Il fanatismo delle tifoserie sportive è un segno disperato nel bisogno profondamente umano di solidarietà, un bisogno che d’altra parte l’Europa falsa disattende.

21. Si è sviluppata una cultura del ripudio. In Europa, i ceti intellettuali sono, purtroppo, fra i principali partigiani ideologici della boria dell’Europa falsa. Senza dubbio, le nostre università sono una delle glorie della civiltà europea. Ma laddove un tempo esse cercavano di trasmettere a ogni nuova generazione la sapienza delle epoche passate, oggi per i più il pensiero critico equivale alla semplicistica ricusazione del passato. La stella polare dello spirito europeo è stata la rigorosa disciplina dell’onestà e dell’obiettività intellettuali. Ma da due generazioni questo nobile ideale è stato trasformato. L’ascetismo che un tempo cercava di liberare la mente dalla tirannia dell’opinione dominante si è mutata in un’animosità spesso compiaciuta e irriflessiva contro tutto ciò che ci appartiene. Questo atteggiamento di ripudio culturale è un modo semplice e a buon mercato per atteggiarsi a “critici”. Negli ultimi decenni, è stato sperimentato nelle sale da convegno, diventando una dottrina, un dogma. E l’unirsi a questo credo viene preso come segno di elezione spirituale da “illuminati”. Di conseguenza, le nostre università sono diventate agenti attivi della distruzione culturale.

22. Le élites esibiscono in modo arrogante le loro virtù. Le nostri classi dirigenti promuovono i diritti umani. Combattono i cambiamenti climatici. Progettano una economia di mercato più globalmente integrata e l’armonizzazione delle politiche fiscali. Supervisionano i passi compiuti verso l’eguaglianza di genere. Fanno così tanto per noi! Che importa dunque dei meccanismi con cui sono arrivati ai loro posti? Che importa se i popoli europei sono sempre più scettici delle loro gestioni?

23. Un'alternativa c'è. Lo scetticismo crescente è pienamente giustificato. Oggi l’Europa è dominata da un materialismo privo di obiettivi incapace di motivare gli uomini e le donne a generare figli e a formare famiglie. La cultura del ripudio defrauda le generazioni future del senso d’identità. In alcuni dei nostri Paesi vi sono zone intere in cui i musulmani vivono informalmente autonomi rispetto alle leggi vigenti, quasi fossero dei coloni invece che dei nostri connazionali. L’individualismo ci isola gli uni dagli altri. La globalizzazione trasforma le prospettive di vita di milioni di persone. Quando le si sfida, le nostre classi dirigenti dicono che la loro è semplicemente la gestione dell’inevitabile e la sistemazione delle necessità più impellenti. Nessun’altra strada è possibile, e resistere è irrazionale. Le cose non possono andare altrimenti. Chi si oppone, soffre di nostalgia, e per questo merita di essere moralmente condannato come razzista e fascista. Man mano che le divisioni sociali e la sfiducia civica si fanno evidenti, la vita pubblica europea diviene più rabbiosa, più rancorosa, e nessuno sa dove questo potrà condurre. Dobbiamo smettere di camminare lungo questa strada. Dobbiamo liberarci della tirannia dell’Europa falsa. Un’alternativa c’è.

24. Dobbiamo rifiutare i surrogati della religione. L’opera di rinnovamento inizia con l’autocoscienza teologica. Le pretese universaliste e multiculturaliste dell’Europa falsa si rivelano essere surrogati della religione, con tanto di impegni di fede e pure di anatemi. È l’oppio potente che paralizza politicamente l’Europa. Noi dobbiamo quindi sottolineare che le aspirazioni religiose appartengono al mondo della religione, non a quello della politica, meno ancora a quello dell’amministrazione burocratica. Per recuperare la nostra capacità di agire nella politica e nella storia, è imperativo risecolarizzare la vita politica dell’Europa.

25. Dobbiamo ripristinare un vero e proprio liberalismo.  Quest’impresa esigerà che ognuno di noi rinunci al linguaggio bugiardo che evita le responsabilità e che favorisce la manipolazione ideologica. I discorsi sulla diversità, sull’inclusione e sul multiculturalismo sono vuoti. Spesso è un linguaggio utilizzato per travestire i nostri fallimenti da conquiste: la dissoluzione della solidarietà sociale viene “in realtà” presa come un segnale di benvenuto, di tolleranza e d’inclusione. Ma questo è linguaggio da marketing, inteso a oscurare la realtà invece che a illuminarla. Dobbiamo allora recuperare il rispetto profondo per la realtà. Il linguaggio è uno strumento delicato, e usandolo come un randello lo si degrada. Dobbiamo farci fautori del decoro linguistico. Il ricorso alla denuncia è il segno della decadenza che ha aggredito il nostro tempo. Non dobbiamo tollerare l’intimidazione verbale, men che meno le minacce di morte. Dobbiamo proteggere chi parla in modo ragionevole anche quando pensiamo che sbagli. Il futuro dell’Europa dev’essere liberale nel senso migliore del termine, ovvero garante di discussioni pubbliche appassionate, libere da ogni minaccia di violenza e di coercizione.

26. Abbiamo bisogno di statisti responsabili. Rompere l’incantesimo dell’Europa falsa e della sua utopistica crociata pseudo-religiosa votata a costruire un mondo senza confini significa incoraggiare una nuova arte del governo e un nuovo tipo di uomini di governo. Un uomo politico di valore salvaguarda il bene comune di un determinato popolo. Un valido uomo di governo considera la nostra comune eredità europea e le nostre specifiche tradizioni nazionali doni magnifici e vivificanti, ma al contempo fragili. Quindi né le ricusa né rischia di smarrirle per inseguire sogni utopici. Gli uomini politici così desiderano sinceramente gli onori conferiti loro dalle proprie genti, non bramano l’approvazione di quella “comunità internazionale” che di fatto è solo la cerchia di relazioni pubbliche di una oligarchia.

27. Dobbiamo ritrovare l’unità nazionale e la solidarietà. Riconoscendo il carattere particolare dei Paesi europei, e la loro impronta cristiana, non dobbiamo lasciarci confondere dalle affermazioni pretestuose dei multiculturalisti. L’immigrazione senza l’assimilazione è solo una colonizzazione, e dev’essere respinta. Ci attendiamo giustamente che chi migra nelle nostre terre divenga parte dei nostri Paesi, adottando le nostre usanze. Quest’aspettativa deve però essere sostenuta da una politica solida. Il linguaggio del multiculturalismo è stato importato dagli Stati Uniti d’America. Ma l’età d’oro dell’immigrazione negli Stati Uniti è stata all’inizio del secolo XX, un periodo di crescita economica notevolmente rapida in un Paese sostanzialmente privo di Welfare State e caratterizzato da un forte senso d’identità nazionale che ci si attendeva gl’immigrati assimilassero. Dopo avere accolto numeri enormi d’immigrati, gli Stati Uniti hanno poi praticamente sigillato le porte per due generazioni. L’Europa deve imparare da quell’esperienza americana invece che adottare le ideologie americane contemporanee. Quell’esperienza dice che il lavoro è un potente forza di assimilazione, che un Welfare State indulgente può invece impedire l’assimilazione e che a volte la prudenza politica impone di ridurre le cifre dell’immigrazione, anche in modo drastico. Non dobbiamo permettere che l’ideologia multiculturalista deformi la nostra capacità di valutare in sede politica quale sia il modo migliore per servire il bene comune, cosa che peraltro esige che comunità nazionali sufficientemente unite e solidali considerino il proprio bene come comune.

28. Solo gli imperi sono multiculturali.   Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa Occidentale ha saputo far crescere sistemi democratici vitali. Dopo il crollo dell’impero sovietico, i Paesi dell’Europa Centrale hanno recuperato la propria vitalità civica. Sono due delle conquiste più preziose cui l’Europa sia mai giunta. Ma andranno perdute se non affrontiamo il nodo dell’immigrazione e dei cambiamenti demografici in atto nei nostri Paesi. Solo gl’imperi possono essere multiculturali, ed è esattamente un impero ciò che l’Unione Europea diventerà se non riusciremo a fare di una nuova unità civica solidale il criterio per valutare le politiche sull’immigrazione e le strategie per l’assimilazione.

29. Una giusta gerarchia nutre il benessere sociale. Molti pensano erroneamente che l’Europa sia scossa solo dalle controversie sull’immigrazione. In verità, la questione dell’immigrazione è solo uno degli aspetti di un processo di disfacimento sociale più generale che dev’essere invertito. Dobbiamo ripristinare la dignità sociale che hanno i ruoli specifici. I genitori, gl’insegnanti e i professori hanno il dovere di formare coloro che sono affidati alle loro cure. Dobbiamo resistere al culto della competenza che s’impone a spese della sapienza, del garbo e della ricerca di una vita colta. L’Europa non conoscerà alcun rinnovamento senza il rifiuto deciso dell’egualitarismo esagerato e della riduzione del sapere a conoscenza tecnica. Noi abbracciamo con favore le conquiste politiche dell’età moderna. Ogni uomo e ogni donna debbono avere parità di voto. I diritti fondamentali debbono essere protetti. Ma una democrazia sana esige gerarchie sociali e culturali che incoraggino il perseguimento dell’eccellenza e che rendano onore a coloro che servono il bene comune. Dobbiamo restaurare il senso della grandezza spirituale e onorarlo in modo che la nostra civiltà possa contrastare il potere crescente della mera ricchezza da un lato e dell’intrattenimento triviale dall’altro.

30. Dobbiamo ripristinare la cultura moraleLa dignità umana è più del diritto a essere lasciati in pace e le dottrine dei diritti umani internazionali non esauriscono la sete di giustizia, meno ancora la sete del bene. L’Europa deve riorganizzare il consenso attorno alla cultura morale di modo che le gente possa essere guidata all’obiettivo di una vita virtuosa. Non possiamo consentire che una falsa idea di libertà impedisca l’uso prudente del diritto per scoraggiare il vizio. Dobbiamo perdonare la debolezza umana, ma l’Europa non può prosperare senza restaurare l’aspirazione comune alla rettitudine e all’eccellenza umana. La cultura della dignità sgorga dal decoro e dall’adempimento dei doveri che competono al nostro stato sociale. Dobbiamo ricuperare il rispetto reciproco fra le classi sociali che caratterizza una società che dà valore ai contributi di tutti.

31. I mercati devono essere ordinati verso fini sociali. Mentre riconosciamo gli aspetti positivi delle economie di libero mercato, dobbiamo resistere alle ideologie che cercano di rendere totalizzante la logica del mercato. Non possiamo permettere che tutto sia in vendita. I mercati che funzionano bene esigono che sia il diritto a precedere e a presiedere (rule of law) e il nostro diritto che tutto precede e presiede deve puntare più in alto della mera efficienza economica. Del resto i mercati funzionano meglio quando sono inseriti in istituzioni sociali forti organizzate sui princìpi autonomi non mercantili. La crescita economica, benché benefica, non è il bene sommo. I mercati debbono essere orientati a fini sociali. Oggi il gigantismo aziendale minaccia persino la sovranità politica. I Paesi debbono cooperare per dominare l’arroganza e l’irragionevolezza delle forze economiche globali. Noi ci riconosciamo quindi in un uso prudente del potere esercitato dai governi per sostenere beni sociali non economici.

32. L'istruzione deve essere riformata. Noi crediamo che l’Europa abbia una storia e una cultura degne di essere difese. Troppo spesso, però, le nostre università tradiscono la nostra eredità culturale. Dobbiamo riformare i programmi scolastici per incoraggiare la trasmissione della nostra cultura comune invece che indottrinare i giovani con una cultura del ripudio. Gl’insegnanti e i mentori di ogni livello hanno il dovere della memoria. Dovrebbero essere orgogliosi del ruolo di ponte fra le generazioni passate e future che hanno. Dobbiamo recuperare anche il senso della cultura europea alta, usando il Bello e il Sublime come norma comune e rigettando la degradazione delle arti a una fattispecie della propaganda politica. Questo esigerà che si allevi una nuova generazione di mecenati. Le società per azioni e le burocrazie si sono rivelate essere custodi davvero poveri delle arti.

33. Il Matrimonio e la famiglia sono essenziali. Il matrimonio è il fondamento della società civile e la base dell’armonia fra gli uomini e le donne. È il legame intimo tra un uomo e una donna che si organizza per il sostentamento della famiglia e per la crescita dei figli. Noi affermiamo che i ruoli più fondamentali che abbiamo sia nella società sia in quanto esseri umani sono quelli di padri e di madri. Il matrimonio e i figli sono parte integrante di qualsiasi prospettiva di prosperità umana. A coloro che li hanno generati al mondo i figli richiedono sacrificio. È un sacrificio nobile cui deve essere reso onore. Noi pertanto auspichiamo politiche sociali prudenti che incoraggino e rafforzino il matrimonio, la maternità e l’educazione dei figli. Una società che non accoglie i figli non ha futuro.

34. Il populismo dovrebbe essere "impegnato". L’Europa di oggi è attraversato da grande preoccupazione per il sorgere di quello che viene chiamato “populismo”, anche se il significato del termine non viene mai definito ed è usato per lo più solo come invettiva. Sul tema abbiamo le nostre riserve. L’Europa deve attingere alla sapienza profonda delle proprie tradizioni piuttosto che affidarsi a slogan semplicistici e a richiami emotivi divisivi. Eppure ci rendiamo conto che molti elementi di questo nuovo fenomeno politico possono rappresentare una sana ribellione contro la tirannia dell’Europa falsa, che etichetta come “antidemocratica” qualsiasi realtà ne minacci il monopolio della legittimità morale. Il cosiddetto “populismo” sfida la dittatura dello status quo, il “fanatismo del centro”, e lo fa giustamente. È un segno che persino nel mezzo della nostra cultura politica degradata e impoverita è possibile ridare vita all’agire storico dei popoli europei.

35. Il nostro futuro è l'Europa vera. Rifiutiamo perché falsa la pretesa di dire che non esiste alternativa responsabile alla solidarietà artificiale e senz’anima di un mercato unificato, di una burocrazia transnazionale e di un intrattenimento dozzinale. L’alternativa responsabile è l’Europa vera.

36. Dobbiamo assumerci la responsabilità. In questo momento, chiediamo a tutti gli europei di unirsi a noi per respingere le fantasie utopistiche di un mondo multiculturale senza frontiere. Amiamo a buon diritto le nostre patrie e cerchiamo di trasmettere ai nostri figli ogni elemento nobile che noi stessi abbiamo ricevuto in dote. Da europei, condividiamo anche una eredità comune e questa eredità ci chiede di vivere assieme in pace in una Europa delle nazioni. Ripristiniamo la sovranità nazionale e ricuperiamo la dignità di una responsabilità politica condivisa per il futuro dell’Europa.



Philippe Bénéton (France)
Rémi Brague (France)
Chantal Delsol (France)
Roman Joch (Česko)
Lánczi András (Magyarország)
Ryszard Legutko (Polska) 
Pierre Manent (France)
Matthias Storme (België)
Janne Haaland Matlary (Norge)
Dalmacio Negro Pavón (España)
Roger Scruton (United Kingdom)
Robert Spaemann (Deutschland)
Bart Jan Spruyt (Nederland)

 https://thetrueeurope.eu/uneuropa-in-cui-possiamo-credere/

grazie a  http://sauraplesio.blogspot.it/

domenica 7 gennaio 2018

I Cristiani e gli animali. Le storie II

San Benedetto ed il corvo

La cesta piena di pani dolci, dall'aspetto soffice e fragrante, che il prete Fiorenzo aveva fatto recapitare al monastero di San Clemente, a Subiaco, come offerta di amicizia nel Signore, era stata
accolta con piacere e gratitudine dall'abate Benedetto e dagli altri dodici monaci.

Benedetto, colui che passerà alla storia come il padre del monachesimo occidentale e che Paolo VI proclamerà patrono d'Europa, nel giro di pochi anni aveva fondato nella zona di Subiaco circa una dozzina di monasteri ognuno abitato da dodici monaci guidati da un abate, per un totale di tredici uomini, sul modello del Signore Gesù e degli apostoli.
La fama di santità che aleggiava attorno a Benedetto aveva varcato i confini della regione sublacense per giungere fino a Roma, la città da cui, svariati anni prima, lo stesso era scappato, nauseato dalla corruzione che vi regnava, così che arrivavano ai suoi monasteri giovani dell'aristocrazia romana, anch'essi consapevoli che ciò che conta nella vita non sono tanto le glorie effimere che si possono conquistare in questo mondo, ma trovare Dio, o quantomeno, cercarLo e tentare di porsi alla Sua sequela.
La notorietà e la benevolenza di cui era circondato, però, come spesso accade, accese d'invidia non poche persone, che vedevano nella sua purezza lo specchio della loro lordura interiore.
Una di queste era il prete Fiorenzo, un sacerdote di quelli come mai dovrebbero esserne ordinati, un impostore che usava il suo abito per avere assicurata una buona posizione sociale ed economica senza dover fare troppa fatica, ma che viveva in modo completamente dissoluto e lascivo, addirittura, sembra, dilettandosi di magia e carezzando i culti pagani. Ebbene, costui fu preso da un'ira tale nei confronti di Benedetto che si sarebbe potuta estinguere solo con la sua scomparsa, in quanto tra le tante anime che il sant'uomo attraeva a lui si annoveravano anche quelle che fino a poco prima costituivano quello che si potrebbe definire un buon giro d'affari per Fiorenzo, che vedeva nei sacramenti nient'altro che un ottimo mezzo di guadagno facile.
E così, dopo tanto pensare, il prete scellerato prese l'altrettanto scellerata decisione di togliere di mezzo l'ignaro ostacolo alla prosperità della sua borsa avvelenando il pane dolce destinato all'abate, quello più grande.

Dunque, quella stessa sera, dopo cena, furono portati i pani nel refettorio e vennero distribuiti tra i monaci. Benedetto si alzò per impartire la benedizione su di essi, quando un'ombra passò sul suo viso ed egli si arrestò, la mano a mezz'aria e lo sguardo fisso su quel pane fragrante ed invitante che lo attendeva per ucciderlo. Egli conobbe tutto, d'un tratto, come gli capitava a volte. E ne fu rattristato immensamente, anche perché era la seconda volta che degli uomini consacrati a Dio tentavano di dargli la morte con del veleno a causa della sua fedeltà alla parola del Signore Gesù. Con un sospiro, chiamò il corvo che zampettava alle sue spalle, come ogni sera.
L'animale aveva, infatti, preso l'abitudine, da qualche tempo, di presentarsi alla finestra del refettorio all'ora di cena e di aspettare lì pazientemente, finché l'abate, terminato il pasto, non gli dava il permesso di entrare e di mangiare le briciole che rimanevano sulla tovaglia.
Quella volta, però, era ben altro il motivo per cui Benedetto l'aveva interpellato. Tra lo stupore degli altri monaci, egli parlò al corvo, certo che lo potesse comprendere, e gli disse: "Prendi questo pane e gettalo lontano, in un luogo talmente impervio che nessuno potrà mai trovarlo e mangiarne". Ma il corvo, che evidentemente sapeva, Dio solo sa come, cosa vi si nascondesse dentro, invece di obbedire, si mise a gracchiare e saltellare tutt'intorno, manifestando la sua contrarietà. L'abate, allora lo tranquillizzò: "Tu ora sei uno strumento che l'Onnipotente usa per evitare che questo pane possa nuocere. Puoi prenderlo, dunque, nel becco senza alcun timore:  il veleno non ti farà del male". Fidandosi completamente di queste parole, il corvo all'istante afferrò il pane ben saldo col becco e volò fuori.
Sebbene San Gregorio Magno, autore dei Dialoghi, una delle poche fonti dalle quali noi attingiamo ancora oggi, dopo mille e cinquecento anni, per conoscere la vita di San Benedetto, non ci informi sul luogo in cui quel pane sia stato gettato o se poi, in seguito, nessun malcapitato gli abbia dato un morso, non c'è motivo di dubitare che il corvo, in missione per conto di Dio, avrà adempiuto egregiamente al suo compito e che, al suo ritorno, sia stato lautamente ricompensato con tante, grosse, appetitose briciole tutte per lui. Fatto sta che, da quella sera, l'uccello non abbandonò più Benedetto, quasi come un'ombra protettiva che vegliava discretamente ma costantemente su quel santo così tanto assalito dall'antico nemico.
Non lo lasciò neppure quando, poco dopo, Benedetto, in seguito ad un ulteriore attacco del solito prete, particolarmente subdolo ed infido, mirato a colpire lui attraverso la perdizione dei suoi monaci, risolse di lasciare Subiaco.
Ma poiché, come è noto, Dio scrive dritto anche sulle righe storte, fu proprio grazie a quest'ultima insidia se egli, con pochi monaci al seguito ed il fedele corvo che gli svolazzava attorno, arrivato in quel di Cassino, fondò il monastero sulla cima del monte il cui bosco, ancora nel VI sec, era sacro ad Apollo; monastero nel quale scrisse quella Regola da cui, nel modo mirabile e sorprendente in cui è solita operare la Provvidenza, trasse forma la nostra Europa.

Che poi, oggi, la stessa si vergogni e misconosca tanto padre, beh, come si suol dire, è un'altra triste storia...
La statua di San Benedetto a Norcia, unico monumento rimasto integro del terremoto dell'ottobre 2016.