mercoledì 30 novembre 2016

ALBRECHT DÜRER: L’ADORAZIONE DEI MAGI (1504) a Milano


A partire dallo scorso MARTEDÌ 22 NOVEMBRE 2016
IL MUSEO DIOCESANO DI MILANO FESTEGGIA I SUOI PRIMI 15 ANNI DI STORIA CON    L’ADORAZIONE DEI MAGI    DI ALBRECHT DÜRER
PROVENIENTE DALLE GALLERIE DEGLI UFFIZI

L’iniziativa, che segna la nascita del complesso dei Chiostri di Sant’Eustorgio, si completerà con l’esposizione delle reliquie dei Magi nella basilica di Sant’Eustorgio.

Per l’occasione, sarà inaugurato il nuovo complesso Museale dei Chiostri di Sant’Eustorgio che unisce, in una sola entità, il Museo Diocesano, il Museo di Sant’Eustorgio con la Cappella Portinari e la Basilica di Sant’Eustorgio.

Il fulcro delle celebrazioni sarà l’esposizione, in programma fino al 5 febbraio 2017, de L’Adorazione dei Magi, il capolavoro di Albrecht Dürer (Norimberga, 1471-1528), straordinario protagonista del Rinascimento tedesco ed europeo, proveniente dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze. 

Il percorso di visita si concluderà nella basilica di Sant’Eustorgio con l’esposizione del reliquiario, espressione del gusto dell’oreficeria lombarda di inizio Novecento, che conserva le reliquie dei Magi.

Infatti, proprio nella basilica di Sant’Eustorgio sono custodite le reliquie dei re Magi, che la tradizione vuole siano state donate nel IV secolo dall’imperatore di Costantinopoli allo stesso Eustorgio, vescovo di Milano. Le reliquie vennero poi trafugate dagli uomini di Federico Barbarossa nel XII secolo e vennero portate a Colonia, ma il cardinal Ferrari, all’inizio del XX secolo, riuscì a farne restituire una parte: esse si trovano ancora oggi conservate in un bellissimo reliquiario dentro l’altare dei Magi, nella cappella ad essi dedicata, che si trova nel transetto destro della basilica. Nella stessa cappella vi è anche il grande sarcofago che, secondo la tradizione, avrebbe conservato i corpi dei Magi durante il trasporto dall’Oriente a Milano.

L’Adorazione dei Magi (tavola, cm 99,5 x 113,5) è stata realizzata da Albrecht Dürer alla soglia del suo secondo viaggio in Italia. L’artista infatti tra il 1494 il 1495 si spostò da Norimberga e intraprese un percorso tra vari centri della produzione artistica italiana (forse Padova, Mantova e Venezia) entrando in contatto diretto con la cultura umanistica. Alla metà del primo decennio del Cinquecento compie il secondo viaggio, desideroso di aggiornarsi sulle ultime novità proposte dai grandi maestri del Rinascimento italiano di cui era venuto a conoscenza anche attraverso la circolazione di stampe di riproduzione.

Non si conosce con certezza la destinazione originaria dell’Adorazione. È stato ipotizzato che la tavola costituisse lo scomparto centrale di un grande polittico dipinto da Dürer per Federico il Saggio, destinato alla cappella palatina della residenza di Wittenberg. In ogni caso, le imponenti dimensioni e la grandiosa impostazione suggeriscono che si tratti di un’opera richiesta da un committente di prestigio.

L’Adorazione riprende uno schema iconografico abbastanza tradizionale: la Vergine mostra il bambino ai tre Magi, che portano in dono oro incenso e mirra; i Magi sono raffigurati di etnie diverse e con tre differenti età. Il maestro tedesco interpreta la scena con fantasia e raffinatezza, mostrando grande originalità sia nella resa espressiva e negli atteggiamenti dei personaggi sia nella definizione degli abiti, degli oggetti e dello sfondo.

L’opera è datata “1504” e firmata con il caratteristico monogramma “AD”; firma e data che l’artista pone sulla pietra grigia collocata in primo piano vicino alla Madonna.
Come nelle altre opere eseguite tra il primo e il secondo soggiorno italiano, anche in questa tavola Dürer dimostra una grande attenzione alle rovine classiche, raffigurate in secondo piano, ma anche una predilezione per il paesaggio italiano, visibile sullo sfondo in lontananza. La soluzione dello sfondo, in particolare, sembra anche tener conto dell’Adorazione dei Magi di Leonardo (Firenze, Uffizi), che forse l’artista aveva avuto modo di conoscere durante il suo primo soggiorno italiano.

La formazione dell’artista avvenuta nella bottega del padre orefice, morto nel 1502, si riscontra nell’incredibile attenzione posta nella riproduzione dei contenitori che racchiudono i doni dei Magi, veri e propri capolavori di oreficeria rinascimentale.
Nell’album degli schizzi dell’artista, del resto, si trovano disegni del tutto simili agli oggetti dipinti sulla pala.
Dürer si ritrae nella figura del Re al centro della scena, con barba e lunghi capelli, vestito con abiti sontuosamente decorati. La sua fisionomia è riconoscibile grazie al bellissimo Autoritratto con guanti conservato al Museo del Prado di Madrid o dall’Autoritratto con pelliccia dell’Alte Pinakothek di Monaco, nei quali pure si presenta in abiti eleganti e alla moda.

L’Adorazione dei Magi segna il ritorno di Un capolavoro per Milano, l’iniziativa che dal 2002 ha offerto alla città la possibilità di ammirare un’opera valorizzata nel suo aspetto storico, artistico e spirituale.
L’esposizione sarà accompagnata da visite guidate per adulti e bambini, laboratori didattici e da un ricco calendario di iniziative collaterali.

Catalogo: Silvana Editoriale.


L’ADORAZIONE DEI MAGI DI ALBRECHT DÜRER
Milano, Complesso Museale “Chiostri di Sant’Eustorgio”
ingresso da piazza Sant’Eustorgio 3 e corso di Porta Ticinese 95
22 novembre 2016 - 5 febbraio 2017
Orari:    da martedì a domenica dalle 10 alle 18. Chiuso lunedì
Durante le funzioni liturgiche, è sospesa la visita alla Cappella dei Magi
La biglietteria chiude alle ore 17.30
Tutti i giovedì, dal 24 novembre al 22 dicembre, il Museo Diocesano rimarrà aperto fino alle 22.00
Biglietti (Museo Diocesano + Museo di Sant’Eustorgio e Cappella Portinari)Intero: 8 euro
Ridotto individuale: 6 euro
Ridotto gruppi adulti (parrocchie incluse, almeno 15 persone): 6 euro
Ridotto scuole e oratori: 3 euro.
Informazioni:    tel. 02.89420019; info.biglietteria@museodiocesano.
Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
| Anna Defrancesco | tel. 02 36 755 700 | anna.defrancesco@clponline.it | www.clponline.it

da "Dogma" di Kevin Smith, e la presente realtà ecclesiale

Il filmato che potete vedere di seguito è tratto dal film "Dogma" di Kevin Smith (1999).
All'uscita, il film destò scalpore e polemiche sia presso cattolici sia protestanti, per via del poco rispetto mostrato per NS Gesù Cristo.

Il film in realtà è una satira contro la Chiesa e contro la fede.
Riproponiamo questo estratto per 2 motivi:

1) perchè c'è chi ha preso sul serio, evidentemente, questo spezzone e l'ha riproposto su vasta scala dentro la Chiesa, rendendolo realtà quotidiana;

2) per domandare a parroci, e a tutta la gerarchia di cessare, specie nel periodo d'Avvento, pagliacciate di questo genere che sono ormai all'ordine del giorno nelle chiese, rendendo la realtà più grave della stessa fantasia cinematografica.




Questo era un film satirico e provocatorio, non un indirizzo e un augurio.
Chi ha orecchie per intendere, intenda!

lunedì 28 novembre 2016

Prima Domenica d'Avvento - dom Prosper Guéranger


 
PRIMA DOMENICA
DI AVVENTO

Questa Domenica, la prima dell'Anno Ecclesiastico, è chiamata, nelle cronache e negli scritti del medioevo, la Domenica Ad te levavi, dalle prime parole dell'Introito, oppure anche la Domenica Aspiciens a longe, dalle prime parole d'uno dei Responsori del Mattutino.
La Stazione [1] è a S. Maria Maggiore. È sotto gli auspici di Maria, nell'augusta Basilica che onora la Culla di Betlemme, e che perciò è chiamata negli antichi monumenti S. Maria ad Praesepe, che la Chiesa Romana ricomincia ogni anno il Ciclo sacro. Non era possibile scegliere un luogo più conveniente per salutare l'avvicinarsi della divina Nascita che deve finalmente allietare il cielo e la terra, e mostrare il sublime prodigio della fecondità d'una Vergine. Trasportiamoci con il pensiero in quell'augusto Tempio, e uniamoci alle preghiere che vi risuonano; sono le stesse preghiere che verranno esposte qui.
All'Ufficio notturno, la Chiesa comincia oggi la lettura del Profeta Isaia (VIII secolo a. C.), colui fra tutti che ha predetto con maggiore evidenza i caratteri del Messia, e continua tale lettura fino al giorno di Natale compreso. Sforziamoci di gustare gl'insegnamenti del santo Profeta, e l'occhio della nostra fede sappia scoprire con amore il Salvatore promesso, sotto i segni ora graziosi, ora terribili, con i quali Isaia ce lo dipinge.
Le prime parole della Chiesa, nel cuore della notte, sono le seguenti:
Il Re che sta per venire, il Signore, venite, adoriamolo!
Dopo aver compiuto questo supremo dovere di adorazione, ascoltiamo l'oracolo di Isaia che ci viene trasmesso dalla santa Chiesa.
Qui comincia il libro del Profeta Isaia [2].
Visione ch'ebbe Isaia, figlio di Amos, intorno a Giuda e Gerusalemme ai tempi di Ozia, Iotam, Achaz ed Ezechia, re di Giuda.
Udite, o cieli, ascolta, o terra,  
che parla il Signore:
"Dei figli ho ingranditi ed innalzati,  
ed essi mi sono ribelli.
Conosce il bue il suo padrone  
e l'asino la greppia del suo possessore [3];
ma Israele non ha conoscenza,  
il mio popolo non intende".
Ah! gente traviata,  
popolo carico di colpe,  
genia di malfattori,  
figli snaturati,
che avete abbandonato il Signore,  
spregiato il Santo d'Israele;  
tralignaste a ritroso!
Perché attirarvi nuovi colpi  
persistendo nella rivolta?
Tutto piagato è il capo  
e tutto languido il cuore.
Dalla pianta dei piedi sino alla testa  
non c'è parte intatta [4],
ma contusione e lividura e fresca piaga,  
non compresse né fasciate, né lenite con olio.
(Is 1,1-6)
 Queste parole del santo Profeta, o meglio di Dio che parla per bocca sua, debbono destare una viva impressione nei figli della Chiesa, all'inizio del sacro periodo dell'Avvento. Chi non tremerebbe sentendo il grido del Signore misconosciuto, il giorno in cui è venuto a visitare il suo popolo? Egli ha deposto il suo splendore per non atterrire gli uomini; ad essi, lungi dal sentire la divina forza di Colui che si abbassa così per amore, non l'hanno conosciuto e la mangiatoia che egli ha scelto per riposarvi dopo la nascita non è stata visitata che da due animali senza ragione. Sentite, o cristiani, quanto amari sono i lamenti del vostro Dio? quanto il suo amore disprezzato soffre della vostra indifferenza? Egli prende a testimoni il cielo e la terra, scaglia l'anatema alla nazione perversa, ai figli ingrati. Riconosciamo sinceramente che fino ad ora non abbiamo compreso tutto il valore della visita del Signore, che abbiamo imitato troppo l'insensibilità dei Giudei, i quali non si commossero affatto quando egli apparve in mezzo alle loro tenebre. Invano gli Angeli cantarono nel cuore della notte, e i pastori furono chiamati ad adorarlo e a riconoscerlo; invano i Magi vennero dall'Oriente per chiedere dove fosse nato. Gerusalemme fu turbata un istante, è vero, alla notizia che le era nato un Re; ma ricadde tosto nella sua indifferenza, e non si occupò nemmeno del grande annunzio.
È così, o Salvatore! Tu vieni nelle tenebre, e le tenebre non ti comprendono. Oh! fa che le nostre tenebre comprendano la luce e la desiderino! Verrà il giorno in cui lacererai le tenebre insensibili e volontarie, con la terribile folgore della tua giustizia. Gloria a te in quel giorno, o Giudice supremo! Ma salvaci dalla tua ira, durante i giorni di questa vita mortale! Perché attirarvi nuovi colpi? - dici - Il mio popolo non è ormai più che una piaga. Sii dunque Salvatore, o Gesù! nella Venuta che noi aspettiamo. Tutto piagato è il capo e tutto languido è il cuore. Vieni a risollevare le fronti che la confusione e troppo spesso anche vili attaccamenti curvano verso la terra. Vieni a consolare e ristorare i cuori timidi e abbattuti. E se le nostre piaghe sono gravi e indurite, vieni, tu che sei il caritatevole Samaritano, a effondere su di esse l'olio che fa sparire il dolore e ridona la salute.
Il mondo intero ti attende, o Redentore! Vieni e rivelati ad esso, salvandolo. La Chiesa, tua Sposa, comincia in questo momento un nuovo anno; il suo primo grido è un grido di angoscia verso di te; la sua prima parola è: Vieni! Le nostre anime, o Gesù, non vogliono più camminare senza di te nel deserto di questa vita. Si fa tardi: la sera s'avvicina, le ombre sono scese. Levati, o Sole divino; vieni a guidare i nostri passi, e salvaci dalla morte.
MESSA
EPISTOLA (Rm 13,11-14). - Fratelli, riflettiamo che è già l'ora di svegliarsi dal sonno; perché la nostra salvezza è più vicina ora di quanto credemmo. La notte è inoltrata e il giorno si avvicina: gettiam dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Viviamo onestamente, come di giorno; non nelle crapule e nelle ubriachezze; non nelle mollezze e nell'impudicizia; non nella discordia e nella gelosia; ma rivestiti del Signore Gesù Cristo.
Il Salvatore che aspettiamo è dunque la veste che coprirà la nostra nudità. Ammiriamo in questo la bontà del nostro Dio il quale, ricordandosi che l'uomo si era nascosto dopo il peccato, perché si sentiva nudo, vuole egli stesso servirgli di velo, e coprire tanta miseria con il manto della sua divinità. Siamo dunque preparati al giorno e all'ora in cui egli verrà, e guardiamoci dal lasciarci cogliere dal sonno dell'abitudine e della mollezza. La luce risplenderà presto; facciamo sì che i suoi primi raggi rischiarino la nostra giustizia, o almeno il nostro pentimento. Se il Salvatore viene a coprire i nostri peccati affinché non appaiano più, noi almeno distruggiamo nei nostri cuori ogni affetto a quegli stessi peccati; e non sia mai detto che abbiamo rifiutato la salvezza. Le ultime parole di quest'Epistola caddero sotto gli occhi di sant'Agostino quando egli, spinto da lungo tempo dalla grazia divina a consacrarsi a Dio, volle obbedire alla voce che gli diceva: Tolle, lege; prendi e leggi. Esse decisero la sua conversione; egli risolse d'un tratto di romperla con la vita dei sensi e di rivestirsi di Gesù Cristo. Imitiamo il suo esempio in questo giorno: sospiriamo ardentemente la cara e gloriosa divisa che presto sarà messa sulle nostre spalle dalla misericordia del nostro Padre celeste, e ripetiamo con la Chiesa le commoventi suppliche con le quali non dobbiamo temere di affaticare l'orecchio del nostro Dio.
VANGELO (Lc 21,25-33). - In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: Vi saranno dei segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra costernazione delle genti spaventate dal rimbombo del mare e dei flutti; gli uomini tramortiranno dalla paura nell'aspettazione delle cose imminenti a tutta la terra; perché le potenze dei cieli saranno sconvolte. E allora vedranno il Figlio dell'uomo venire con grande potenza e gloria sopra le nubi. Or quando cominceranno ad avvenire queste cose, alzate il vostro capo e guardate in alto, perché la redenzione vostra è vicina. E disse loro una similitudine: Osservate il fico e tutte le altre piante. Quando le vedete germogliare, voi sapete che l'estate è vicina. Così pure quando vedrete accadere tali cose sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico, che non passerà questa generazione avanti che tutto ciò s'adempia. Cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Dobbiamo dunque aspettarci di veder giungere d'improvviso la tua terribile Venuta, o Gesù! Presto tu verrai nella tua misericordia per coprire le nostre nudità, come veste di gloria e d'immortalità; ma tornerai un giorno, e con sì terrificante maestà che gli uomini saranno annientati dallo spavento. O Cristo, non perdermi in quel giorno d'incenerimento universale. Visitami prima nel tuo amore. Voglio prepararti la mia anima. Voglio che tu nasca in essa, affinché il giorno in cui le convulsioni della natura annunceranno il tuo avvicinarsi, possa levare il capo, come i tuoi fedeli discepoli che, portandoti già nel cuore, non temevano affatto la tua ira.
PREGHIAMO
Risveglia, Signore, la tua potenza e vieni; affinché meritiamo d'essere sottratti colla tua protezione e salvati col tuo aiuto dai pericoli che ci sovrastano a causa dei nostri peccati.

[1] Le Stazioni segnate nel Messale romano per alcuni giorni dell'anno, designavano un tempo le chiese in cui il Papa, accompagnato dal clero e da tutto il popolo, si recava in processione per celebrarvi la messa solenne. Questa usanza risale senza dubbio al IV secolo; esiste ancora oggi in certa misura e le Stazioni vi si continuano a tenere, benché con minor pompa e minor concorso di popolo, in tutti i giorni segnati nel Messale.
[2] La traduzione dei brani tratti da Isaia è quella eseguita sul testo originale ebraico a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma (Salani, Firenze, 1953), riprodotta per gentile concessione dell'Editore.
[3] "Israele ha meno intelletto degli animali senza ragione. Questi conoscono il loro padrone. Israele non riconosce il proprio Dio e Benefattore. Questo versetto è spesso usato per descrivere l'accecamento dei Giudei che hanno respinto il loro Messia. D'altra parte esso ha contribuito a creare l'antica tradizione della nascita di Gesù tra due animali, il bue e l'asino" (Tobac, Les Prophètes d'Israel, 2, 16).
[4] "Il Profeta descrive lo stato di Giuda colpito dal castigo: egli è simile a un ferito tutto coperto di piaghe. La Chiesa applica questo versetto al Messia, 'trafitto a causa dei nostri delitti', Is 53,5" (ivi, 17).


da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 36-40

venerdì 25 novembre 2016

Anima Christi

 

Anima Christi, sanctifica me.
Corpus Christi, salva me.
Sanguis Christi, inebria me.
Aqua lateris Christi, lava me.
Passio Christi, conforta me.
O bone Jesu, exaudi me.
Intra vulnera tua absconde me.
Ne permittas a Te me separari.
Ab hoste maligno defende me.
In hora mortis meae voca me,
Et jube me venire ad Te,
Ut cum Sanctis tuis laudem Te
In saecula saeculorum.
Amen.

(Traduzione)

Anima di Cristo, santificami,
Corpo di Cristo, salvami.
Sangue di Cristo, inebriami,
Acqua del costato di Cristo, lavami.
Passione di Cristo, fortificami.
Oh buon Gesù, esaudiscimi.
Nelle tue piaghe, nascondimi.
Non permettere che io sia separato da Te.
Dal nemico difendimi.
Nell'ora della mia morte chiamami,
e comandami di venire a Te,
Perché con i tuoi Santi ti lodi,
nei secoli dei secoli.
Amen.

 
E' preghiera della tradizione cattolica dedicata a Gesù Crocifisso, da recitarsi dopo la Comunione Eucaristica.
E' stata composta nella prima metà del XIV secolo da autore sconosciuto, in seguito arricchita di indulgenze da papa Giovanni XXII nel 1330.

L'innologo britannico James Mearns la rinvenne in un manoscritto del British Museum datato al 1370; ma un'iscrizione a testimoniare la diffusione della sequenza è stata anche ritrovata su uno dei portoni dell'Alcázar di Siviglia, risalente all'epoca di Pietro il Crudele.

Alcuni attribuiscono, erroneamente, la preghiera Anima Christi a sant'Ignazio di Loyola, che visse nel XVI secolo, che in effetti è contenuta all'inizio dei suoi Esercizi spirituali.

Ancor prima della composizione della preghiera, san Tommaso d'Aquino aveva affermato nella sua Summa Theologiae che la grazia divina risiede nell'anima di Cristo.
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Chi prega domanda a Gesù Cristo di santificarlo, salvarlo, inebriarlo, lavarlo, fortificarlo, esaudirlo, nasconderlo, di rimanere sempre con lui, difenderlo dal diavolo e di potergli andare incontro.

Un gruppo di termini sono ripresi dalla Liturgia Eucaristica: Anima, Corpo, Sangue, Divinità, Acqua, Passione. Contiene richiami biblici ed evangelici:

« Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. »
(1 Ts 5,23)

Il Catechismo afferma dell'anima che essa è unita al corpo al punto da formare con questo un tutt'uno in ogni sua parte.

Non tutti sanno che ne esiste una versione musicata e cantata, ad opera di Marco Frisina:




martedì 22 novembre 2016

Montale su Teilhard de Chardin



(nell'immagine, Eugenio Montale con "l'upupa"; il rapporto col mondo naturale trasfigurato compare spesso nelle sue poesie) 

Teilhard de Chardin suscitò (anche) da parte di Eugenio Montale critiche dai toni beffardi che si trovano disseminate sia nella sua produzione pubblicistica sia nell'opera poetica più tarda.
Sottolineate dal consueto giudizio penetrante e dalla capacità di concentrazione di molteplici concetti in una tela di taglienti e rarefatte parole.


in  Satura, 39: 

A UN GESUITA MODERNO

Paleontologo e prete, ad abundantiam 
uomo di mondo, se vuoi farci credere 
che un sentore di noi si stacchi dalla crosta
di quaggiù, meno crosta che paniccia, 
per allogarsi poi nella noosfera
che avvolge le altre sfere o è in condominio
e sta nel tempo (!), 
ti dirò che la pelle mi si aggriccia
quando ti ascolto. 

(...)




 (Pierre Teilhard de Chardin)

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Per chi vuole approfondire,
Consigliamo 


dalla Casa Editrice Effedieffe, l'ottimo testo di 
Mons. Pier Carlo Landucci, "Pierre Teilhard de Chardin: Aberrazioni ideologiche e dottrinali".


Un breve estratto:

«Tale aberrazione ideologica è tanto più sorprendente se si considera la maturità intellettuale, anche filosofica e teologica, che il Teilhard avrebbe dovuto attingere dai suoi antecedenti regolari studi di ottimo religioso. Non lo scusa d’altra parte la sua volontà costantemente ripetuta di restare sul piano puramente fisico e fenomenico, perché tali sue concezioni esorbitano invece nettamente da tale piano. Non lo scusa la voluta originalità, novità e oscurità delle espressioni, perché nel suo insieme il pensiero purtroppo apparisce chiaro. Non lo scusa infine il desiderio di gettare un ponte al materialismo moderno, perché non è ammissibile di fondarlo sull’errore. Il mio studio abbastanza curato mi ha condotto a rilevare quanto radicale distacco vi sia tra quella lirica religiosa che affascina, e le tesi obiettive che distruggono, in sostanza, la verità cattolica e i punti essenziali stessi del Dio personale e di Gesù storico».


lunedì 21 novembre 2016

1 Corinzi 13

 

1 Corinzi 13, 1-13

"1 Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.  

2 E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.

3 E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.  

4 La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, 

5 non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 
6 non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. 

7 Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 

8 La carità non avrà mai fine.
Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. 

9 La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. 

10 Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 

11 Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. 

12 Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.  

13 Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!"

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Papa Benedetto XV, in una delle sue lettere apostoliche, scrisse : "La responsabilità del nostro Ufficio Apostolico ci spinge a promuovere lo studio della Sacra Scrittura, uniformandoci, in questo, agli insegnamenti dei nostri predecessori Leone XIII e Pio X... "

Non cesseremo mai di raccomandare ai fedeli di leggere tutti i giorni i Vangeli, gli Atti e le Lettere degli apostoli, come per raccogliere cibo per le loro anime... Ignoranza della Bibbia significa ignoranza di Cristo ».

Le parole di San Pio X: « Più si legge il Vangelo, più la fede s'irrobustisce »

mercoledì 16 novembre 2016

Oltre la vulgata; I. Appunti di storia: il Medioevo con l'uomo al centro.

La  Creazione, miniatura francese, metà XIII sec.
" Il Medioevo era teocentrico; l'Umanesimo e l'età moderna, invece, antropocentrici".

Chiunque abbia frequentato una qualsiasi scuola superiore si è sentito ripetere questo ritornello/assioma dal prof. di storia e poi da quello di italiano, l'ha letto e riletto sul libro di testo di storiografia e poi su quello di letteratura, l'ha dovuto ripetere, imparare e studiare per l'interrogazione di entrambe le materie al punto che, ancora oggi, magari a distanza di lustri, per molti, l'unica reminiscenza circa quel passaggio della civiltà occidentale si compendia e si sedimenta in questa lapidaria sentenza.

Che, per la cronaca, è storicamente falsa, dolosamente manipolatoria e smaccatamente ideologica.
Le radici di una tale fuorviante lettura risalgono alla fine del Medioevo stesso, intorno al Quattrocento.

Riassumendo e semplificando il più possibile:
come è noto, furono proprio gli intellettuali del XV sec. a coniare, con un'accezione volutamente dispregiativa, la parola Medioevo.

Età di mezzo. In mezzo a quella antica, segnatamente latina, culmine dell'umana civiltà e modello ineguagliato estetico e culturale da imitare, e la loro, del risveglio, della rifioritura, della rinascita, appunto l'età del Rinascimento.

Se per gli Umanisti il disprezzo ed il misconoscimento dei mille anni alle loro spalle origina da un piano estetico ed approda a quello filosofico, nell'anelito di un utopico recupero del mondo classico, con il Settecento la critica si fa più strutturale e la demolizione è totale. Il secolo dei Lumi, infatti, vede nel Medioevo la summa di ogni male, incarnazione della superstizione e dell'ignoranza, del predominio politico e culturale della Chiesa Cattolica tanto odiata, del dogma sulla libera analisi dell'intelletto, delle tenebre della religione sulla luce della ragione, dell'ordine dato sulla rivoluzione, eliminato il quale l'umanità, finalmente affrancata dalle pastoie oscurantiste, avrebbe felicemente veleggiato verso le "magnifiche sorti e progressive" di leopardiana memoria.

Da lì ai nostri giorni il passo è breve. La gnoseologia contemporanea poggia su basi illuministiche, portate alle estreme conclusioni e conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Per confutare uno strafalcione di queste dimensioni, ricorrerò a due immagini, seguendo l'esempio del prof. Franco Nembrini, esperto divulgatore della "Divina Commedia".

Qui a fianco vi è il celeberrimo Uomo Vitruviano, di Leonardo da Vinci, che è assurto ad immagine simbolo dell'età moderna.

Lo studio architettonico che ne è alla base, infatti, pone una figura umana, nella sua realistica corporeità, al centro di un quadrato e di un cerchio, figure geometriche attraverso le quali è strutturato il mondo fisico, e ne costituisce la misura e la cifra. In una quantità impressionante di libri di testo, viene descritta la portata rivoluzionaria della nuova visione del mondo e dell'uomo che ad essa è sottesa, marcando l'antitesi irriducibile con il Medioevo, concentrato sul trascendente e l'aldilà, che sprezza, svilisce e disdegna la corporeità e la materia, nei suoi bisogni e finalità, mentre esalta e privilegia esclusivamente lo spirito (e il sottofondo borbotta dall'alto della propria superiorità: o cielo, quale orrore!).



Sugli stessi libri è pressoché impossibile, però, trovare quest'altra immagine, che fa scricchiolare tutta l'impalcatura.

Miniatura tratta dal "Liber divinorum operum", XIII sec.
Il bellissimo disegno, che rappresenta la visione dell'universo, è stato vergato da Santa Hildegarda di Bingen, monaca benedettina (e tra le altre: musicista, filosofa, consigliera di pontefici, naturalista, scrittrice), nata da nobile famiglia nella regione dell'Alsazia-Renania nel 1098, proclamata Dottore della Chiesa da Sua Santità Benedetto XVI il 7 ottobre 2012, su ordine del suo direttore spirituale, che riteneva giunto il momento in cui ella dovesse mettere per iscritto e rappresentare le visioni che l'accompagnavano dall'età di cinque anni.
Siamo in pieno Medioevo, senza ombra di dubbio, eppure, contrariamente a quanto indefessamente propinato ad intere generazioni di scolari, anche qui, come nel disegno di Leonardo, al centro vi è una figura umana, peraltro ben rappresentata nella sua fisicità.

Nessuna differenza, dunque? Al contrario! Santa Hildegarda, infatti, ci parla di un uomo non solo in posizione centrale, ma anche intimamente ed inscindibilmente collegato con l'universo nel suo insieme (si notino le acque, i venti, le stelle), che è a sua volta compreso ed abbracciato dal Dio Uno e Trino che conferisce ordine, misura e significato all'intera opera della creazione, di cui l'uomo stesso è insieme compimento e custode.

Ecco la siderale distanza, Qui c'è centralità nella relazione, armonia ed equilibrio. 
L'Uomo vitruviano, al contrario, proprio nella sua maestosa centralità è desolatamente solo, prefigurazione del delirio di sostituzione, hybris antica in salsa moderna, che da lì a poco spiccherà quel suo  folle volo di cui ben conosciamo gli effetti.

lunedì 14 novembre 2016

Alcune nozioni sulla S. Messa, Antonio Royo Marin OP

 

«Una sola Messa glorifica più Dio di quanto lo glorifichino in cielo tutti gli angeli, i santi e Maria»


I. Nozioni preliminari
Alcune nozioni dogmatiche:
La Messa è sostanzialmente lo stesso sacrificio della croce. E' diverso solo il modo dell'offerta (Denz. 940). Essendo un vero sacrificio la Messa ne realizza in modo proprio le finalità: adorazione, ringraziamento, riparazione e petizione (Denz. 948 e 950).
Il valore della Messa è in se stesso rigorosamente infinito. Però i suoi effetti in quanto dipendono da noi non ci vengono applicati se non nella misura delle nostre interne disposizioni.
II. Finalità ed effetti della Santa Messa
La Messa ha gli stessi fini e produce gli stessi effetti del sacrificio della croce, che sono quelli del sacrificio in generale come atto supremo di religione, però di grado infinitamente superiore.
Adorazione
Il sacrificio della Messa rende a Dio un'adorazione degna di Lui, rigorosamente infinita. Questo effetto è prodotto infallibilmente ex opere operato, anche se celebra un sacerdote in peccato mortale, perché questo valore latreutico o di adorazione dipende dalla dignità infinita del Sacerdote principale che lo offre e dal valore della Vittima offerta.
Con la Messa possiamo dare a Dio tutto l'onore che Gli è dovuto in riconoscimento della Sua infinita maestà e del Suo supremo dominio, nella maniera più perfetta possibile e in grado rigorosamente infinito. Una sola Messa glorifica più Iddio di quanto lo glorificheranno in cielo, per tutta l'eternità, tutti gli angeli, i santi e i beati insieme, compresa Maria Santissima.
Dio risponde a questa incomparabile glorificazione curvandosi amorosamente verso le Sue creature. Di qui l'immenso valore di santificazione che racchiude per noi il santo sacrificio della Messa.
Ringraziamento
Gli immensi benefici di ordine naturale e soprannaturale che abbiamo ricevuto da Dio ci hanno fatto contrarre verso di Lui un debito infinito di gratitudine che possiamo saldare soltanto con la Messa. Infatti per mezzo di essa offriamo al Padre un sacrificio eucaristico, cioè di ringraziamento,  che supera infinitamente il nostro debito; perché è Cristo stesso che, immolandosi per noi, ringrazia Iddio per i benefici che ci concede. A sua volta il ringraziamento è fonte di nuove grazie perché al benefattore piace la gratitudine. Questo effetto eucaristico è sempre prodotto infallibilmente ex opere operato indipendentemente dalle nostre disposizioni.
Riparazione
Dopo l'adorazione e il ringraziamento non c'è dovere più urgente verso il Creatore che la riparazione delle offese che da noi ha ricevuto. Anche sotto questo aspetto il valore della Messa è assolutamente incomparabile, giacché con essa offriamo al Padre l'infinita riparazione di Cristo con tutta la sua efficacia redentrice.
Questo effetto non ci viene applicato in tutta la sua pienezza - basterebbe infatti una sola Messa per riparare tutti i peccati del mondo e liberare dalle loro pene tutte le anime del Purgatorio - ma ci viene applicato in grado limitato secondo le nostre disposizioni.
Tuttavia:
a. ci ottiene, per sé ex opere operato, se non incontra ostacoli, la grazia attuale necessaria per il pentimento dei nostri peccati. Lo insegna il Concilio di Trento: «Hujus quippe oblatione placatus Dominus, gratiam et donum paenitentiae concedens, crimina et peccata etiam ingentia dimittit» (Denz. 940).
b. rimette sempre, infallibilmente se non incontra ostacoli, almeno la parte della pena temporale che si deve pagare per i peccati in questo mondo o nell'altro. La Messa è quindi utile anche alle anime del Purgatorio (Denz. 940 e 950). Il grado e la misura di questa remissione dipende dalle nostre disposizioni.
Petizione
Gesù Cristo si offre al Padre nella Messa per ottenerci con il merito della Sua infinita oblazione tutte le grazie di cui abbiamo bisogno. «Semper vivens ad interpelladum pro nobis» (Ebr. 7, 25), e valorizza le nostre suppliche con i Suoi meriti infiniti. La Messa di per sé, ex opere operato, muove infallibilmente Dio a concedere agli uomini tutte le grazie di cui hanno bisogno, ma il dono effettivo di queste grazie dipende dalle nostre disposizioni, la mancanza delle quali può impedire completamente che queste grazie giungano fino a noi.
III. Disposizioni per il Santo Sacrificio della Santa Messa 
Le disposizioni principali per la Santa Messa sono di due specie: esterne ed interne.
Disposizioni esterne
Il sacerdote che celebra dovrà osservare le rubriche e le cerimonie stabilite dalla Chiesa come se quella fosse la prima, l'ultima e l'unica Messa della sua vita.
Il semplice fedele assisterà alla Messa in silenzio, con rispetto e attenzione.
Disposizioni interne
La migliore disposizione interna è quella di identificarsi con Gesù Cristo che si immola sull'altare, offrendoLo al Padre ed offrendosi con Lui, in Lui e per Lui. ChiediamoGli che converta anche noi in pane per essere così a completa disposizione dei nostri fratelli mediante la carità. Uniamoci intimamente con Maria ai piedi della croce, con San Giovanni il discepolo prediletto, col sacerdote celebrante, nuovo Cristo in terra.Uniamoci a tutte le Messe che si celebrano nel mondo intero. La santa Messa celebrata o ascoltata con queste disposizioni è indubbiamente tra i principali strumenti di santificazione.

da 


sabato 12 novembre 2016

S. Alfonso Maria de' Liguori: INGANNI CHE 'L DEMONIO METTE IN MENTE A' PECCATORI




Da "Apparecchio alla morte - Inganni che 'l demonio mette in mente a' peccatori":

«Dice:  “Dio è di misericordia”. 
Ecco il terzo inganno comune de' peccatori, per cui moltissimi si dannano.  
Scrive un dotto autore che ne manda più all'inferno la misericordia di Dio, che non ne manda la giustizia; 
perché questi miserabili, confidano temerariamente alla misericordia, non lasciano di peccare, e così si perdono. 

Iddio è di misericordia, chi lo nega; 
ma ciò non ostante, quanti ogni giorno Dio ne manda all'inferno! 
Egli è misericordioso, ma è ancora giusto, e perciò è obbligato a castigare chi l'offende. Egli usa misericordia, ma a chi? A chi lo teme. 
“Misericordia sua super timentes se... Misertus est Dominus timentibus se” (Ps. 102. 11. 13). 

Ma con chi lo disprezza e si abusa della sua misericordia per più disprezzarlo, Egli usa giustizia. 
E con ragione; Dio perdona il peccato, ma non può perdonare la volontà di peccare. 

Dice S. Agostino che chi pecca col pensiero di pentirsene dopo d'aver peccato, egli non è penitente, ma è uno schernitore di Dio
“Irrisor est, non poenitens”. 

Ma all'incontro ci fa sapere l'Apostolo che Dio non si fa burlare: “Nolite errare, Deus non irridetur” (Gal. 6. 7). Sarebbe un burlare Dio offenderlo come piace, e quanto piace, e poi pretendere il paradiso». 

testo completo a disposizione su Intratext

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Chi ha orecchi per intendere, intenda, specie ora,
a dispetto della pubblicizzazione di una "misericordia" infondata,
che mai domandi pentimento, ravvedimento e santificazione alle persone

venerdì 11 novembre 2016

S. Martino di Tours - 11 Novembre


Nel tempo dell’Arianesimo visse un uomo di Dio che tutti ricordano per il suo gesto: alle porte di Amiens incontrò un povero pieno di freddo e con la spada divise il suo mantello per offrirgliene metà.

Tuttavia la vita del Vescovo e monaco Martino di Tours è ben più di questo gesto e, oltre ad essere costellata di scelte evangeliche e di azioni taumaturgiche, venne anche perseguitato dalla Chiesa divenuta perlopiù ariana.

Nacque nel 316 0 317 a Sabaria, nella provincia romana di Pannonia (oggi Ungheria), dove il padre serviva l’Impero, dapprima come soldato, poi come tribuno militare. Trascorse l’infanzia nell’Italia del Nord, a Pavia, nuova guarnigione paterna. Benché i suoi genitori fossero pagani, a dieci anni volle diventare cristiano e a 12 desiderò di vivere nel deserto, imitando gli asceti orientali.
Ma fu costretto ad abbracciare la carriera militare, in virtù della legge che assoggettava allora in via ereditaria i cittadini dell’Impero alla loro condizione di nascita. Tuttavia, pur vivendo in quel contesto, Martino continuò a seguire i precetti evangelici. All’età di 18 anni, quando donò metà del suo mantello al povero di Amiens, la notte seguente, Cristo gli apparve rivestito di quello stesso mantello: fu allora che decise di farsi battezzare. Terminato il periodo obbligatorio di servizio militare, a 25 anni lasciò l’esercito e si recò a Poitiers dal Vescovo Ilario.
Una scelta fatta non a caso: Martino scelse di andare da un Vescovo antiariano, organizzatore straordinario dell’opposizione all’eresia che entrò e rimase nella Chiesa dal IV (iniziò in Egitto) al VII secolo (gli ultimi residui rimasero fra i germani cristiani). Il Vescovo di Poitiers, colpito da una condanna all’esilio per aver osato opporsi alla politica arianista dell’imperatore Costanzo II, dovette stabilirsi in Asia, mentre Martino raggiunse le regioni centrali dell’Illirico per convertire la madre al cristianesimo, ma fu esposto ai duri maltrattamenti che i vescovi della regione, acquistati all’Arianesimo, gli inflissero.
Ritornò in Italia e organizzò un eremo a Milano, dove fu presto allontanato dal Vescovo Aussenzio, anch’egli eretico. Non appena apprese il ritorno di Ilario dall’esilio, nel 360 si diresse nuovamente a Poitiers, dove il Vescovo gli diede l’approvazione per realizzare la sua vocazione e ritirarsi in un eremo a 8 chilometri dalla città, a Ligugé. Alcuni seguaci lo raggiunsero, formando così, sotto la sua direzione, la prima comunità monastica attestata in Francia. Qui trascorse 15 anni, approfondendo la Sacra Scrittura, facendo apostolato nelle campagne e seminando miracoli al suo passare. «Colui che tutti già reputavano santo fu così anche reputato uomo potente e veramente degno degli Apostoli», scrisse Sulpicio Severo (360 ca.- 420 ca.) nella biografia a lui dedicata.


(San Martino Vescovo, in meditazione - affresco di Simone Martini)

Contro la sua volontà gli elettori riuniti a Tours, clero e fedeli, lo eleggono Vescovo nel 371. Martino assolve le funzioni episcopali con autorità e prestigio, senza però abbandonare le scelte monacali. Va a vivere in un eremo solitario, a tre chilometri dalla città. In questo ritiro, dove è ben presto raggiunto da numerosi seguaci, crea un monastero, Marmoutier, di cui è Abate e in cui impone a se stesso e ai fratelli una regola di povertà, di mortificazione e di preghiera. Qui fiorisce la sua eccezionale vita spirituale, nell’umile capanna in mezzo al bosco, che funge da cella e dove, respingendo le apparizioni diaboliche, conversa familiarmente con i santi e con gli angeli.
Se da un lato rifiuta il lusso e l’apparato di un dignitario della Chiesa, dall’altra Martino non trascura le funzioni episcopali. A Tours, dove si reca per celebrare l’officio divino nella cattedrale, respinge le visite di carattere mondano. Intanto si occupa dei prigionieri, dei condannati a morte; dei malati e dei morti, che guarisce e resuscita. Al suo intervento anche i fenomeni naturali gli obbediscono. Per san Martino, amico stretto dei poveri, la povertà non è un’ideologia, ma una realtà da vivere nel soccorso e nel voto. Marmoutier, al termine del suo episcopato, conta 80 monaci, quasi tutti provenienti dall’aristocrazia senatoria, che si erano piegati all’umiltà e alla mortificazione.
San Martino morì l’8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace fra il clero locale. Ai suoi funerali assistettero migliaia di monaci e monache. I nobili san Paolino (355-431) e Sulpicio Severo, suoi discepoli, vendettero i loro beni per i poveri: il primo si ritirò a Nola, dove divenne Vescovo, il secondo si consacrò alla preghiera.
Martino è uno fra i primi santi non martiri proclamati dalla Chiesa e divenne il santo francese per eccellenza, modello per i cristiani amanti della perfezione. Il suo culto si estese in tutta Europa e l’11 novembre (sua festa liturgica) ricorda il giorno della sua sepoltura. L’«apostolo delle Gallie», patrono dei sovrani di Francia, fu enormemente venerato dal popolo: in lui si associavano la generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica e l’attività missionaria. Quasi 500 paesi (Saint-Martin, Martigny…) e quasi 4000 parrocchie in territorio francese portano il suo nome.


 (S. Martino, nell'episodio del mantello, in un dipinto di Simone Martini) 

I re merovingi e poi carolingi custodivano nel loro oratorio privato il mantello di san Martino, chiamato cappella. Tale reliquia accompagnava i combattenti in guerra e in tempo di pace, sulla «cappa» di san Martino, si prestavano i giuramenti più solenni. Il termine cappella, usato dapprima per designare l’oratorio reale, sarà poi applicato a tutti gli oratori del mondo.

(Cristina Siccardi)

giovedì 10 novembre 2016

S. Leone Magno - 10 Novembre

Leone I, detto anche Leone Magno (di origine Toscana, nato verso il 390, e scomparso a Roma, il 10 novembre 461), è stato il 45° vescovo di Roma e Papa.  

Venerato come S. Leone Magno, Papa e Dottore della Chiesa, il suo pontificato si estese dal 29 settembre 440 fino alla sua morte, e fu tra i più importanti dell'antichità cristiana. In quegli anni si verificava il crollo dell'Impero romano d'Occidente; l'oriente era invece percorso da controversie dogmatiche.


Nei suoi 21 anni di pontificato si avvicendano 4 imperatori: uno cacciato subito (Avito), e gli altri uccisi: Valentiniano III, Petronio Massimo e Maggioriano. 

Con autorevolezza e la persuasione, Leone rafforza in Occidente l’autorità della Sede petrina, e affronta duri contrasti dottrinali: tra gli avversari, i seguaci di Pelagio, manichei e priscillianisti.
L’abate orientale Eutiche, influente a Costantinopoli, sostiene che in Cristo esiste una sola natura (monofisismo), contro la dottrina della Chiesa sulle due nature, distinte ma non separate, nella stessa persona. E ottiene che l’imperatore Teodosio convochi nel 449 un concilio a Efeso (Asia Minore). Ma qui parlano solo gli “eutichiani”, senza ascoltare i legati di Leone, e acquistando nuovi proseliti. 
Negando validità a questo concilio, il Papa persuade il nuovo imperatore Marciano a indirne un altro nel 451. E questo è il grande Concilio di Calcedonia (presso Bisanzio), quarto ecumenico, che approva solennemente la dottrina delle due nature.


Non tutti però ne accettano le decisioni, e ci sono gravi disordini, soprattutto in Palestina.
Intanto l’Occidente vive tempi di terrore.
 

L’Impero non ha più un vero esercito; e gli Unni di Attila, già battuti da Ezio nel 451, si riorganizzano in fretta, piombano sull’Alta Italia nel 452.
 

Lo Stato impotente chiede a papa Leone di andare da Attila con una delegazione del Senato. S’incontrano presso Mantova, e Leone convince il capo unno a lasciare l’Italia, anche col pagamento di un tributo (ma una visione celeste terrorizza Attila).



(nell'immagine, papa S. Leone Magno difende la città, il popolo e  

ferma i barbari,   

non li invita certo al saccheggio;
sarei curioso di sapere chi torcerebbe il naso oggi
per accusarlo di   "non aver costruito ponti,
ma muri"
)



Tre anni dopo, i Vandali d’Africa sono davanti a Roma col re Genserico.


A difendere gli inermi c’è solo Leone, che non può impedire il saccheggio; ma ottiene l’incolumità dei cittadini ed evita l’incendio dell’Urbe. E' un romano antico (forse anche di nascita) che ha incontrato Cristo, e che sente fortemente la responsabilità di successore di Pietro.

Arricchisce la Chiesa col suo insegnamento (specie sull’Incarnazione); chiede obbedienza ai vescovi, ma li sostiene col consiglio personale, li orienta nella retta dottrina, nello splendido latino dei suoi scritti, per "tenere con costanza la giustizia" e "offrire amorosamente la clemenza", poiché "senza Cristo non possiamo nulla, ma con Lui possiamo tutto".

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Alcuni estratti



"…Non hanno compreso, né dagli insegnamenti, né da ciò che è scritto, una verità evidentissima, che nella Chiesa santa di Dio tutti conoscono assai bene – neppure i più piccoli la ignorano – e cioè che la verità del Corpo e del Sangue di Cristo è uno dei Sacramenti che non va assolutamente taciuto, perché si abbia comunione nella fede.

Ecco la ragione: nel prendere quel pane celeste che si ha nei segni sacramentali (o mistici), è questo il corpo che è distribuito, è questo il corpo che si riceve in alimento dello spirito: e ciò al fine che coloro che ricevono la forza segreta del cibo celeste, diventino a poco a poco carne di colui che si è fatto della nostra carne."
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"…Carissimi,

il Figlio di Dio ha assunto la natura umana con una unione così intima da essere l'unico ed identico Cristo non soltanto in colui, che è il primogenito di ogni creatura, ma anche in tutti i suoi santi. E come non si può separare il Capo dalle membra, così le membra non si possono separare dal Capo.

E se è vero che, non è proprio di questa vita, ma di quella eterna, che Dio sia tutto in tutti, 
è anche vero che fin d'ora egli abita inseparabilmente il suo tempio, che è la Chiesa. 

Lo promise con le parole: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Tutto quello dunque che il Figlio di Dio ha fatto e ha insegnato per la riconciliazione del mondo, non lo conosciamo soltanto dalla storia delle sue azioni passate, ma lo sentiamo anche nell'efficacia di ciò che egli compie al presente.
E lui che, come è nato per opera dello Spirito Santo da una Vergine Madre, così rende feconda la Chiesa, sua Sposa illibata, con il soffio vitale dello stesso Spirito, perché mediante la rinascita del battesimo, venga generata una moltitudine innumerevole di figli di Dio.

Di costoro è scritto: "Non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati" (Gv 1,13). È in lui che viene benedetta la discendenza di Abramo, e tutto il mondo riceve l'adozione divina. Il Patriarca diventa padre delle genti, ma i figli della promessa nascono dalla fede, non dalla carne.
È lui che, eliminando ogni discriminazione di popoli, e radunando tutti da ogni nazione, forma di tante pecorelle. un solo gregge santo. Così ogni giorno compie quanto aveva già promesso, dicendo: "E ho altre pecore, che non sono di questo ovile anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce, e diventeranno un solo gregge e un solo pastore" (Gv 10,16). Sebbene infatti egli dica particolarmente a Pietro: "Pasci le mie pecore" (Gv 21,17), nondimeno tutta l'attività dei pastori è guidata e sorretta da lui solo, il Signore. È lui che, con pascoli ubertosi e ridenti, nutre tutti coloro che vengono a questa Pietra.

Cosicché innumerevoli pecorelle, fortificate dalla sovrabbondanza dell'amore, non esitano ad affrontare la morte per la causa del loro Pastore, come egli, il buon Pastore, si è degnato di dare la propria vita per le stesse pecorelle.  
Partecipi della Sua Passione sono non solo i martiri forti e gloriosi, ma anche i fedeli che rinascono, e già nell'atto stesso della loro rigenerazione.

È questo il motivo per cui la Pasqua viene celebrata, secondo la Legge, negli azzimi della purezza e della verità: la nuova creatura, getta via il fermento della sua malvagità e si inebria e si nutre del Signore stesso. 

La nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che riceviamo, a farci rivestire in tutto, nel corpo e nello spirito, di colui nel quale siamo morti, siamo stati sepolti e siamo risuscitati..."
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"…Sempre, fratelli carissimi, della grazia del Signore è piena la terra (Sal 33, 5) e la stessa natura, che ci circonda, insegna a ciascun fedele a onorare Dio. Infatti il cielo e la terra, il mare e quanto si trova in essi proclamano la bontà e l'onnipotenza del loro Creatore.

E la meravigliosa bellezza degli elementi, messi a nostro servizio, non esige forse da noi, creature intelligenti, un doveroso ringraziamento? Ma ora ci viene chiesto un completo rinnovamento dello spirito: sono i giorni dei misteri della redenzione umana e che precedono più da vicino le feste pasquali.

È caratteristica infatti della festa di Pasqua, che la Chiesa tutta goda e si rallegri per il perdono dei peccati: perdono che non si concede solo ai neofiti, ma anche a coloro che già da lungo tempo sono annoverati tra i figli adottivi.
Certo è nel lavacro di rigenerazione che nascono gli uomini nuovi, ma tutti hanno il dovere del rinnovamento quotidiano: occorre liberarsi dalle incrostazioni proprie alla nostra condizione mortale. E poiché nel cammino della perfezione non c'è nessuno che non debba migliorare, dobbiamo tutti, senza eccezione, sforzarci perché nessuno nel giorno della redenzione si trovi ancora invischiato nei vizi dell'uomo vecchio.

Quanto ciascun cristiano è tenuto a fare in ogni tempo, deve ora praticarlo con maggior sollecitudine e devozione, perché si adempia la norma apostolica del digiuno quaresimale consistente nell'astinenza non solo dai cibi, ma anche e soprattutto dai peccati.
A questi doverosi e santi digiuni, poi, nessuna opera si può associare più utilmente dell'elemosina, la quale sotto il nome unico di «misericordia» abbraccia molte opere buone. In ciò i fedeli possono trovarsi uguali, nonostante le disuguaglianze dei beni. L'amore che dobbiamo ugualmente a Dio e all'uomo non è mai impedito al punto da toglierci la possibilità del bene. Gli angeli hanno cantato: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Ne segue che diventa felice e nella benevolenza e nella pace, chiunque partecipa alle sofferenze degli altri, di qualsiasi genere esse siano.
Immenso è il campo delle opere di misericordia. Non solo i ricchi e i facoltosi possono beneficare gli altri con l'elemosina, ma anche quelli di condizione modesta o povera. Così disuguali nei beni di fortuna, tutti possono essere pari nei sentimenti di pietà dell'anima."


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"…Miei cari, i giorni intercorsi tra la risurrezione del Signore e la sua ascensione non sono passati inutilmente, ma in essi sono stati confermati grandi misteri e sono state rivelate grandi verità.
Venne eliminato il timore di una morte crudele, e venne annunziata non solo l'immortalità dell'anima, ma anche quella del corpo.
Durante quei giorni, in virtù del soffio divino, venne effuso su tutti gli apostoli lo Spirito Santo, e a san Pietro apostolo, dopo la consegna delle chiavi del Regno, venne affidata la cura suprema del gregge del Signore. In questi giorni il Signore si unisce, come terzo, ai due discepoli lungo il cammino, e per dissipare in noi ogni ombra di incertezza, biasima la fede languida di quei due spaventati e trepidanti. Quei cuori da lui illuminati s'infiammano di fede e, mentre prima erano freddi, diventano ardenti, man mano che il Signore spiega loro le Scritture. Quando egli spezza il pane, anche lo sguardo di quei commensali si apre. Si aprono gli occhi dei due discepoli come quelli dei progenitori. Ma quanto più felicemente gli occhi dei due discepoli dinanzi alla glorificazione della propria natura, manifestata in Cristo, che gli occhi dei progenitori dinanzi alla vergogna della propria prevaricazione!
Perciò, o miei cari, durante tutto questo tempo trascorso tra la risurrezione del Signore e la sua ascensione, la divina Provvidenza questo ha avuto di mira, questo ha comunicato, questo ha voluto insinuare negli occhi e nei cuori dei suoi: la ferma certezza che il Signore Gesù Cristo era veramente risuscitato, come realmente era nato, realmente aveva patito ed era realmente morto.
Perciò i santi apostoli e tutti i discepoli che avevano trepidato per la tragedia della croce ed erano dubbiosi nel credere alla risurrezione, furono talmente rinfrancati dall'evidenza della verità, che, al momento in cui il Signore saliva nell'alto dei cieli, non solo non ne furono affatto rattristati, ma anzi furono ricolmi di grande gioia. Ed avevano davvero un grande e ineffabile motivo di rallegrarsi. Essi infatti, insieme a quella folla fortunata, contemplavano la natura umana mentre saliva ad una dignità superiore a quella delle creature celesti. Essa oltrepassava le gerarchie angeliche, per essere innalzata al di sopra della sublimità degli arcangeli, senza incontrare a nessun livello per. quanto alto, un limite alla sua ascesa. Infine, chiamata a prender posto presso l'eterno Padre, venne associata a lui nel trono della gloria, mentre era unita alla sua natura nella Persona del Figlio."

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Di seguito, Opere Disponibili online: