venerdì 31 marzo 2017

Domenica di Passione

DOMENICA DI PASSIONE

Oggi, se udirete la voce del Signore, non indurite i vostri cuori.


L’insegnamento della Liturgia.
La santa Chiesa comincia oggi il Mattutino con queste gravi parole del Re Profeta. Una volta i fedeli si facevano un dovere d’assistere all’ufficiatura notturna, per lo meno le Domeniche e le Feste, perché ci tenevano a non perdere nessun insegnamento della Liturgia. Ma dopo tanti secoli la casa di Dio non fu più frequentata con quell’assiduità che formava la gioia dei nostri padri; e un po’ alla volta anche il clero cessò di celebrare pubblicamente gli uffici che non erano più seguiti. All’infuori dei Capitoli e dei Monasteri, non si sente più risuonare il coro così armonioso della lode divina, e le meraviglie della Liturgia non sono più conosciute dal popolo cristiano che in una maniera imperfetta.

Lamento del Signore.
Questo è un motivo per noi di presentare all’attenzione dei lettori alcuni tratti dell’Ufficio, che altrimenti sarebbero per loro come se non esistessero. Che cosa c’è oggi di più adatto a commuoverli dell’avvertimento che la Chiesa prende da David per rivolgerlo a noi, e che ripeterà ogni mattina fino al giorno della Cena del Signore? Peccatori, ci dice, oggi che cominciate a sentire la voce gemebonda del Redentore, non siate così nemici di voi stessi da lasciare i vostri cuori nell’ostinazione. Il Figlio di Dio sta per darvi l’ultima e più viva dimostrazione di quell’amore che lo portò dal cielo sulla terra; s’avvicina la sua morte; è pronto il legno per l’immolazione del nuovo Isacco; rientrate in voi stessi e non permettete che il vostro cuore, emozionato forse per un istante, ritorni alla sua consueta durezza. Sarebbe il più grande pericolo. Questi anniversari hanno l’efficacia di rinnovare le anime, le quali cooperano con la loro fedeltà alla grazia che ricevono; ma aumentano l’insensibilità di coloro che li lasciano passare senza convertirsi. “Se oggi dunque udrete la voce del Signore non indurite i vostri cuori” (Sal. 94, 8).

639
Ultimi giorni della vita pubblica di Gesù.
Durante le precedenti settimane abbiamo visto crescere ogni giorno più la malizia dei nemici del Salvatore. Li irrita la sua presenza e la sua stessa vista; si ha quasi la sensazione che l’odio ch’essi comprimono nei loro cuori non aspetti che il momento per esplodere. La bontà e la dolcezza di Gesù continuano ad avvicinare a lui le anime semplici e rette; mentre l’umiltà della sua vita e l’inflessibile purezza della sua dottrina allontanano sempre più il Giudeo superbo che sogna un Messia conquistatore, ed il Fariseo che non teme di travisare la legge per farla strumento delle sue passioni. Tuttavia Gesù continua l’opera dei miracoli; i suoi discorsi sono impressi di nuova forza; con le profezie minaccia la città ed il famoso tempio del quale non rimarrà pietra su pietra. I dottori della legge, almeno, potrebbero riflettere, esaminare queste opere meravigliose che rendono testimonianza al Figlio di David, e rileggere tanti oracoli divini che si compirono in lui fino a questo momento con la massima fedeltà. Ahimé! anche questi oracoli stanno per compiersi fino all’ultimo iota. David ed Isaia non predissero un apice delle umiliazioni e dei dolori del Messia, che questi uomini accecati non s’affrettassero a realizzare.

Ostinazione della sinagoga e del peccatore.
In essi dunque si compì il detto: “Chi avrà sparlato contro il Figlio dell’Uomo sarà perdonato, ma chi avrà sparlato contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato né in questa vita né in quella futura” (Mt. 12, 32). La sinagoga corre verso la maledizione. Ostinata nel suo errore, non vuole ascoltare né vedere più niente; ha falsificato a suo piacimento la propria sentenza, ha spento in sé la luce dello Spirito Santo; e la vedremo scendere, di gradino in gradino, sulla china dell’aberrazione, fino all’abisso. Triste spettacolo al quale assistiamo spesso, anche ai nostri giorni, nei peccatori che, a forza di resistere alla luce di Dio, finiscono per assopirsi nelle tenebre! E non ci stupisce di ravvisare in altri uomini i tratti che osserviamo negli autori del dramma che sta per compiersi. La storia della Passione del Figlio, di Dio ci fornirà più d’una lezione sui segreti del cuore umano e delle sue passioni. Né potrebbe essere altrimenti: perché ciò che avviene a Gerusalemme si rinnova nel cuore dell’uomo peccatore. Questo cuore è un Calvario, sul quale, secondo

640
l’espressione dell’Apostolo, Gesù Cristo è molte volte crocifisso. La stessa ingratitudine, lo stesso acciecamento, la stessa follia; con la differenza che il peccatore, quando è schiarito dai lumi della fede, sa chi mette in croce; mentre i Giudei, come dice anche San Paolo, non conoscevano come noi questo Re di gloria (I Cor. 2, 8) che fu confitto in croce. Seguendo perciò la narrazione dei fatti evangelici che giorno per giorno ci verranno messi sotto gli occhi, la nostra indignazione contro i Giudei si rivolga anche contro noi stessi e i nostri peccati. Piangiamo sui dolori della vittima, noi, che con le nostre colpe abbiamo reso necessario un tal sacrificio.

Il ritiro di Gesù.
In questo momento, tutto c’invita alla tristezza. Perfino la croce sull’altare è nascosta dietro un velo, e le immagini dei Santi sono coperte; “la Chiesa è in attesa della più grande sciagura. Non attira più la nostra attenzione sulla penitenza dell’Uomo-Dio; solo trema al pensiero dei pericoli che lo circondano. Leggeremo fra poco nel Vangelo che il Figlio di Dio stava per essere lapidato come un bestemmiatore; ma non essendo ancora giunta l’ora sua, dovette fuggire e nascondersi. Un Dio nascondersi, per evitare la collera degli uomini! Quale capovolgimento! È forse debolezza, o timore della morte? Sarebbe una bestemmia il solo pensarlo, mentre presto lo vedremo manifestarsi apertamente dinanzi ai suoi nemici. Si sottrasse in quel momento alla rabbia dei Giudei, perché non s’era ancora adempiuto in lui tutto ciò ch’era stato predetto. Del resto, non è sotto una pioggia di pietre ch’egli dovrà spirare, ma sull’albero della maledizione, che d’ora in poi diventerà l’albero della vita.

Adamo e Gesù.
Umiliamoci nel vedere il Creatore del cielo e della terra sottrarsi alla vista degli uomini per non incorrere nella loro rabbia. Pensiamo al giorno del primo peccato, quando Adamo ed Eva colpevoli pure si nascosero nel vedersi nudi. Gesù è venuto per garantire loro il perdono; ed ecco che anche lui si nasconde, non perché sia nudo, Lui che per i Santi è la veste della santità e dell’immortalità, ma perché s’è fatto debole, per dare a noi la forza. I nostri progenitori si sottrassero agli sguardi di Dio; Gesù si nasconde agli occhi degli uomini; ma non sarà sempre così. Verrà il giorno in cui i

641
peccatori, nel vedere chi oggi sembra fuggire, rivolgeranno le loro implorazioni alle rocce e alle montagne e le supplicheranno di cadere sopra di loro per scomparire dalla sua vista; ma questa loro brama rimarrà sterile, e loro malgrado “vedranno il Figlio dell’uomo venir sulle nubi del cielo con gran potenza e gloria” (Mt. 24, 30).
Questa Domenica è chiamata Domenica di Passione, perché oggi la Chiesa comincia ad occuparsi espressamente dei patimenti del Redentore. È detta anche Domenica Judica, dalla prima parola dell’Introito della Messa; e infine della Neomenia, cioè della nuova luna, perché la Pasqua cade sempre dopo la luna nuova, la quale serve a fissare tale festa.
Nella Chiesa greca questa Domenica non ha altro nome che quello di Quinta Domenica dei santi digiuni.
La Stazione, a Roma, è nella Basilica di S. Pietro. L’importanza di tale Domenica, che non cedeva a nessuna festa, per quanto solenne, esigeva che la funzione avesse luogo nel più augusto tempio della città eterna.

MESSA
EPISTOLA (Ebr. 9, 11-15). Fratelli; Cristo venuto come pontefice dei beni futuri, attraversando un tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d’uomo, cioè non di questa creazione, non col sangue dei capri e dei vitelli, ma col proprio sangue entrò una volta per sempre nel Santuario, dopo aver ottenuta la redenzione eterna. Or se il sangue dei capri e dei tori e la cenere di vacca, aspergendo gl’immondi, li santifica quanto alla purità della carne, quanto più il sangue di Cristo che per lo Spirito Santo ha offerto se stesso immacolato a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, per servire a Dio vivo? E per questo Egli è mediatore d’una nuova alleanza, affinché, interposta la sua morte per redimere le prevaricazioni avvenute sotto la prima alleanza, i chiamati ricevano la promessa dell’eterna eredità di Gesù Cristo nostro Signore.

La salvezza nel sangue d’un Dio.
Solo col sangue l’uomo può essere riscattato. La divina maestà offesa non si placherà che per lo sterminio della creatura ribelle, il cui sangue sparso sulla terra con la propria vita renderà testimonianza del suo pentimento della sua profonda umiliazione dinanzi a colui contro il quale s’è ribellata. Altrimenti la giustizia di Dio dovrà essere compensata con l’eterno supplizio del peccatore. Tutti i popoli lo hanno compreso, dal sangue degli agnelli di Abele fino a quello che colava a fiotti nelle ecatombi della Grecia e nelle innumerevoli

642
immolazioni con le quali Salomone inaugurò la dedicazione del suo tempio. Nondimeno Dio disse: “Ascolta, o popolo mio, che vò, parlarti, o Israele, che ti ho da avvertire: Io sono Dio, il tuo Dio. Non ti rimprovererò per i tuoi sacrifici: i tuoi olocausti mi stan sempre davanti. Non ho bisogno di prendere i vitelli della tua casa, né dal tuo gregge i capri, perché mie son le fiere dei boschi, il bestiame che pascola sui monti e i bovi. Conosco tutti gli uccelli dell’aria, e la bellezza dei campi è la mia disposizione. Dato che avessi fame, non verrei a dirlo a te, perché mio è l’universo e tutto ciò che contiene. Mangerò forse carni di tori e berrò sangue di capri?” (Sal. 49, 7-13). Così Dio ordina sacrifici cruenti, ma dichiara che non sono niente ai suoi occhi. Vi è forse una contraddizione? No: Dio vuole che l’uomo comprenda che non può essere riscattato che col sangue, e che nello stesso tempo il sangue degli animali è troppo grossolano per operare un tale riscatto. Sarà allora il sangue dell’uomo a placare la divina giustizia? Non basta: perché il sangue dell’uomo è impuro e macchiato; ed anche se fosse puro, sarebbe impotente a risarcire l’oltraggio fatto a un Dio. Occorre il sangue d’un Dio; e Gesù viene a spargere il suo.
In lui sta per realizzarsi la più grande figura dell’antica legge. Una volta l’anno, infatti, il pontefice entrava nel Santo dei Santi ad intercedere per il popolo. Penetrava oltre il velo, e si trovava al cospetto dell’Arca santa; ma gli era concesso tale favore solo a condizione d’entrare in quel sacro asilo recando fra le mani il sangue della vittima da lui immolata. In questi giorni il Figlio di Dio, il Pontefice per eccellenza, sta per fare ingresso in cielo, e noi pure vi entreremo dietro a lui; ma per far questo dovrà presentarsi col sangue nelle mani, e questo sangue non può essere che il suo. Così lo vedremo adempiere questa divina volontà. Apriamo dunque le nostre anime, affinché questo sangue, come ci ha detto l’Apostolo, “purifichi la nostra coscienza dalle opere di morte, per servire a Dio vivo”.

VANGELO (Gv. 8, 46-59). In quel tempo: Gesù diceva alla turba dei Giudei: Chi di voi mi potrà convincere di peccato? Se io dico la verità perché non mi credete? Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio. Replicarono i Giudei: Non diciamo con ragione che tu sei un Samaritano e indemoniato? Gesù rispose: Io non sono indemoniato, ma onoro il Padre mio e voi mi vituperate. Ma io non cerco la mia gloria, c’è chi ne prende cura e ne giudica. In verità, vi dico: chi osserva i miei comandamenti non vedrà morte in eterno. Gli dissero allora i Giudei: Ora vediamo bene che tu sei posseduto da un demonio. Abramo è morto, così pure tutti i profeti e tu dici: Chi osserva i miei comandamenti non vedrà morte in eterno.

643
Sei forse tu da più del padre nostro Abramo, il quale è morto? Ed anche i Profeti sono morti. Chi credi mai tu di essere? Gesù rispose: Se io glorifico me stesso, la mia gloria è nulla: vi è a glorificarmi il Padre mio, il quale voi dite che è il vostro Dio; ma non lo avete conosciuto. Io sì che lo conosco, e se dicessi che non lo conosco, sarei, come voi, bugiardo. Ma io lo conosco ed osservo le sue parole. Abramo, vostro padre, sospirò di vedere il mio giorno: lo vide e ne tripudiò. Gli opposero i Giudei: Non hai ancora cinquant’anni e hai veduto Abramo? Gesù rispose loro: In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse nato, io sono. Dettero allora di piglio alle pietre per tirarle contro di lui, ma Gesù si nascose, ed uscì dal tempio.

Indurimento dei Giudei.
Come si vede, la rabbia dei Giudei è giunta al colmo, e Gesù è costretto a dileguarsi davanti a loro. Fra poco lo faranno morire; ma come è differente la loro sorte dalla sua! Per obbedienza ai decreti del Padre celeste, e per amore degli uomini, egli si darà nelle loro mani, ed essi lo metteranno a morte; ma uscirà vittorioso dalla tomba, salirà al cielo e andrà a sedersi alla destra del Padre. Essi invece, sfogata la loro rabbia, s’addormenteranno senza rimorso fino al terribile risveglio che sarà loro preparato. Naturalmente è fatale la condanna di questi uomini. Guardate con quale severità parla loro Gesù: “Voi non ascoltate la parola di Dio, perché non siete da Dio”. Ma vi fu un tempo ch’essi erano da Dio: perché il Signore dà a tutti la sua grazia; ma essi frustrarono questa grazia, ed ora si agitano fra le tenebre, e non vedranno più la luce che hanno disprezzata.
“Voi dite che il Padre è vostro Dio; ma non lo avete conosciuto”. Misconoscendo il Messia, la sinagoga è arrivata al punto di non conoscere più lo stesso Dio unico e sovrano, del cui culto andava così fiera; se infatti conoscesse il Padre, non rigetterebbe il Figlio. Mosè, i Salmi, i Profeti sono per lei lettera morta; perciò questi libri divini passeranno presto nelle mani d’altri popoli, che sapranno leggerli e comprenderli. “Se dicessi di non conoscere il Padre, sarei, come voi, bugiardo”. Nella durezza del linguaggio di Gesù s’intravide già l’ira del giudice che verrà nell’ultimo giorno a fracassare a terra la testa dei peccatori. Gerusalemme non ha conosciuto il tempo della sua visita; il Figlio di Dio è venuto da lei, ed essa osa dirlo “posseduto dal demonio”. Rinfaccia al Figlio di Dio, al Verbo eterno che dimostra la sua origine divina coi più strepitosi miracoli, che Abramo ed i Profeti sono da più di lui. Incredibile accecamento che proviene dalla superbia e dalla durezza del cuore! Venuta la Pasqua, questi uomini mangeranno religiosamente l’agnello figura-

644
tivo; e sanno che quest’agnello è simbolo che si deve realizzare. Il vero agnello sarà immolato proprio dalle loro mani sacrileghe, e non lo riconosceranno; il sangue sparso per loro perciò non li salverà. La loro sventura ci porta col pensiero a tanti peccatori induriti, per i quali la Pasqua di quest’anno sarà sterile di conversione come quella degli anni precedenti. Raddoppiarne le nostre preghiere per loro e domandiamo che il sangue divino ch’essi mettono sotto i piedi non gridi un giorno contro di loro dinanzi al trono del Padre celeste.

PREGHIAMO
Riguarda propizio, o Dio onnipotente, la tua famiglia; affinché sia sostenuta nel corpo per tua bontà e sia custodita nell’anima per la tua grazia.

da: P. GUÉRANGER, L’anno liturgico. - I. Avvento. Natale. Quaresima. Passione, trad. it. P. GRAZIANI, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 638-644.

sabato 25 marzo 2017

Se anche i laici cominciano a rimpiangere quell'integralista di San Pio V


Visione di Pio V della vittoria di Lepanto
Leggo su "Il Resto del Carlino" di oggi la rubrica "Il commento", tenuta dallo scrittore e giornalista non certo cattolico, per cui oscurantista, medievale, intollerante e compagnia, Roberto Pazzi, che desidero condividere con voi:

 MA CHI CI DIFENDE? 
Dove sono i nostri difensori davanti all'invasione dei migranti? Un governo imbelle che balbetta provvedimenti legalitari e chiama l'Europa invano in soccorso, mentre accoglie ogni giorno migliaia di disperati che non possiamo più mantenere? Un'opposizione di incompetenti narcisi, come quella dei grillini, che si scatena per l'abolizione dei vitalizi invece di contribuire alla nostra difesa, unita al governo? Anche nel 1453, mentre il turco Maometto II, avo di Erdogna, prendeva Costantinopoli, i bizantini-grillini discettavano sul sesso degli angeli. E il Papa? Perchè non mostra il suo amore cristiano anche a noi? Lo invoca per i disperati che vengono dal mare, sul quale getta corone di fiori. Ma non meritiamo anche noi italiani di essere compresi nell'abbraccio del Cristo dal suo vicario? Noi non vogliamo attaccare, ma solo difendere la patria dei nostri padri. Quel che abbiamo, quel che siamo, ce lo siamo guadagnati con tanta fatica. Dove sono i Pio V, che seppero armare la difesa contro i Turchi, fermandoli a Lepanto nel 1571? Taccio di Giulio II, che al grido di "fuori i barbari", armò le sue forze contro gli spagnoli. Dove sono i Giovanni Sobieski, che arrestarono alle porte di Vienna, nel 1683, le armate musulmane, superando il particolarismo polacco per amore dell'Europa cristiana? E fino a quando sopporteremo il cinismo di Erdogan, che rivela il disegno dell'Islam di distruggere l'Occidente, facendo figliare ad ogni famiglia almeno cinque bambini? E noi europei paghiamo quest'uomo, come gli ultimi imperatori romani pagavano il tributo al re dei barbari. A completare il quadro, un politico olandese, di quel Nord Europa devoto al culto della divina bottiglia, ci rimprovera di essere inclini alla gozzoviglia ed ai piaceri di Venere.... Deus amentat quos vult perdere - Dio toglie il senno a chi ha deciso che si perda- E l'immobilità decisionale del nostro governo è anche il frutto avvelenato della sconfitta di un referendum, che consentiva invece la necessaria governabilità. perchè quando la casa brucia, non si può perdere tempo per paura di essere fuori dalla Costituzione: bisogna agire, e agire subito.


Al netto di qualche distinguo, e mi riferisco soprattutto alle considerazioni circa il referendum, cui unisco la consapevolezza che siamo ancora lontani dal prendere coscienza con umiltà che o si torna a Cristo o siamo finiti; tralasciando che sono proprio i signori come lo scrivente che, colonizzando la cultura dal dopoguerra in poi, hanno contribuito a portarci dove siamo arrivati, espellendo il cristianesimo per fare posto a cumuli di deleterie truffe superomistiche; sorvolando sul fatto che i Giovanni Sobieski, San Pio V e tutti gli altri soldati di Cristo che nei secoli passati ci hanno difesi ed ai quali dovremmo essere grati in eterno, sono frutto di una civitas cristiana che oggi, in occidente, è quantomeno agonizzante, e che gli stessi, ai nostri giorni, per molto meno verrebbero immediatamente fatti fuori e seppelliti sotto montagne di ignominia (Benedetto XVI docet); ecco, a parte tutto ciò, prendo atto con gioia e preoccupazione che anche il mondo cosiddetto laico comincia a capire che forse, in fondo, un Papa che faccia il Papa dei cristiani non sarebbe poi così malvagio, che la scomparsa del vir christianus per l'homo voluptati deditus, al di là dei consumi, non può contribuire. Con gioia, perchè mi illudo che, davanti all'incombere del pericolo sempre più stringente, le menti di coloro che pilotano le masse cambino parole d'ordine; con preoccupazione, perchè se perfino un Pazzi arriva ad invocare quell'integralista di San Pio V, uno degli innominati dei cattolici à la page, vuol proprio dire che forse il punto di non ritorno è già stato abbondantemente superato.


          Miserere nobis, Domine, miserere nobis, et ab omnibus hostibus libera nos.

venerdì 24 marzo 2017

QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA




QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA

La Domenica della gioia.
Questa Domenica chiamata Laetare, dalla prima parola dell'Introito della Messa, è una delle più celebri dell'anno. In questo giorno la Chiesa sospende le tristezze della Quaresima; i canti della Messa non parlano che di gioia e di consolazione; si fa risentire l'organo, rimasto muto nelle tre Domeniche precedenti; il diacono riveste la dalmatica e il suddiacono la tunicella; è consentito sostituire i paramenti violacei coi paramenti rosa. Gli stessi riti li abbiamo visti praticare durante l'Avvento, nella terza Domenica chiamata Gaudete. Manifestando oggi la Chiesa la sua allegrezza nella Liturgia, vuole felicitarsi dello zelo dei suoi figli; avendo essi già percorso la metà della santa quaresima, vuole stimolare il loro ardore a proseguire fino alla fine [1].

La Stazione.
La Stazione è, a Roma, nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme, una delle sette principali chiese della città eterna. Disposta nel IV secolo nel palazzo Sessoriano, per cui venne pure chiamata Basilica Sessoriana, essa fu arricchita delle più preziose reliquie da sant'Elena, la quale voleva farne come la Gerusalemme di Roma. Con questo proposito, ella vi fece trasportare una grande quantità di terra prelevata sul Monte Calvario, e depositò in questo tempio, insieme ad altri cimeli della Passione, l'iscrizione sovrapposta sulla testa del Salvatore mentre spirava sulla Croce; tale scritta ivi ancora si venera sotto il nome del Titolo della Croce. Il nome di Gerusalemme legato a questa Basilica ravviva tutte le speranze del cristiano. perché gli ricorda la patria celeste, la vera Gerusalemme dalla quale siamo ancora esiliati. Per questo fin dall'antichità i sovrani Pontefici pensarono di sceglierla per l'odierna Stazione. Fino all'epoca della residenza dei Papi in Avignone veniva benedetta fra le sue mura la rosa d'oro, cerimonia che ai nostri giorni ha luogo nel palazzo dove il Papa ha la sua attuale residenza.

La Rosa d'oro.
La benedizione della Rosa è dunque ancora oggi uno dei particolari riti della quarta Domenica di Quaresima, per la quale ragione viene anche chiamata la Domenica della Rosa. I graziosi pensieri che ispira questo fiore sono in armonia coi sentimenti che oggi la Chiesa vuole infondere nei suoi figli, ai quali la gioiosa Pasqua presto aprirà una primavera spirituale, in confronto della quale la primavera della natura non è che una pallida idea. Anche questa istituzione risale ai secoli più lontani. La fondò san Leone IX, nel 1049, nell'abbazia di S. Croce di Woffenheim; e ci resta un sermone sulla Rosa d'oro, che Innocenzo III pronunciò quel giorno nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme (PL 217, 393). Nel Medio Evo, quando il Papa risiedeva ancora al Laterano, dopo aver benedetta la Rosa, seguiva in corteo tutto il sacro Collegio, verso .a chiesa della Stazione, portando in testa la mitra e in mano questo fiore simbolico. Giunto nella Basilica, pronunciava un discorso sui misteri rappresentati dalla Rosa per la sua bellezza, il suo colore e il suo profumo. Quindi si celebrava la Messa; terminata la quale, i1 Pontefice ritornava al palazzo Lateranense, attraversando la pianura che separa le due Basiliche, sempre con la Rosa in mano. Arrivato alla soglia del palazzo, se nel corteo era presente un principe, toccava lui reggere la staffa ed aiutare il pontefice a smontare dal cavallo; in ricompensa della sua cortesia riceveva la Rosa, oggetto di tanto onore.
Ai nostri giorni la funzione non è più così imponente; ma ne ha conservati tutti i principali riti. Il Papa benedice la Rosa d'oro nella Sala dei Paramenti, la unge col sacro Crisma e sopra vi spande una polvere profumata, conforme il rito d'un tempo; e quando arriva il momento della Messa solenne, entra nella Cappella del palazzo, tenendo il fiore fra le mani. Durante il santo Sacrificio la rosa viene posta sull'altare e fissata sopra un rosaio d'oro fatto a questo scopo; finalmente, terminata la Messa, la si porta al Pontefice, il quale all'uscire dalla Cappella la tiene sempre fra le mani fino alla Sala dei Paramenti. Molto spesso il Papa suole inviare la Rosa a qualche principe o principessa che intende onorare; altre volte è una città oppure una Chiesa che vien fatta oggetto di una tale distinzione.

Benedizione della Rosa d'oro.
Daremo qui la traduzione della bella preghiera con la quale il sovrano Pontefice benedice la Rosa d'oro: essa aiuterà i nostri lettori a meglio penetrare il mistero di questa cerimonia, che aggiunge tanto splendore alla quarta Domenica di Quaresima: "O Dio, che tutto hai creato con la tua parola e la tua potenza, e che ogni cosa governi con la tua volontà, tu che sei la gioia e l'allegrezza di tutti i fedeli; supplichiamo la tua maestà a voler benedire e santificare questa Rosa dall'aspetto e dal profumo così gradevoli, che noi dobbiamo oggi portare fra le mani, in segno di gioia spirituale: affinché il popolo a te consacrato, strappato al giogo della schiavitù di Babilonia con la grazia del tuo Figliolo unigenito, gloria ed allegrezza d'Israele, esprima con sincero cuore le gioie della Gerusalemme di lassù, nostra madre. E come la tua Chiesa, alla vista di questo simbolo, sussulta di felicità per la gloria del Nome tuo, concedigli, o Signore, un appagamento vero e perfetto. Gradisci la sua devozione, rimetti i suoi peccati, aumentane la fede; abbatti i suoi ostacoli ed accordagli ogni bene: affinché la medesima Chiesa ti offra il frutto delle sue buone opere, camminando dietro ai profumi di questo Fiore, il quale, uscito dalla pianta di Gesse, è misticamente chiamato il fiore dei campi e il giglio delle convalli; e ch'esso meriti di godere un giorno la gioia senza fine in seno alla celeste gloria, in compagnia di tutti i Santi, col Fiore divino che vive e regna teco, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen".

La moltiplicazione dei pani.
Veniamo ora a parlare d'un altro appellativo che si da alla quarta Domenica di Quaresima, e che si riferisce alla lettura del Vangelo che la Chiesa oggi ci presenta. Questa Domenica infatti, in parecchi antichi documenti, è indicata col nome di Domenica dei cinque pani; il miracolo ricordato da questo titolo, mentre completa il ciclo delle istruzioni quaresimali, aumenta anche la gioia di questo giorno. Dimentichiamo per un istante la Passione imminente del Figlio di Dio, per occuparci del più grande dei suoi benefici: perché sotto la figura di questi pani materiali moltiplicati dalla potenza di Gesù. la nostra fede scopra quel "pane di vita disceso dal cielo che dà al mondo la vita" (Gv 6,33). La Pasqua s'avvicina, dice il Vangelo, e fra pochi giorni lo stesso Salvatore ci dirà: "Ho desiderato ardentemente di mangiare con voi questa Pasqua" (Lc 22,15). Prima di lasciare questo mondo per il Padre, egli vuole sfamare la folla che segue i suoi passi, e per questo si appella a tutta la sua potenza. Con ragione voi rimanete ammirati davanti a questo potere creatore, cui bastano cinque pani e due pesci per dar da mangiare a cinque mila uomini, così che dopo il pasto ne avanza da riempire dodici sporte. Un sì strepitoso prodigio basta senza dubbio a dimostrare la missione di Gesù; ma voi vi vedete solo un saggio della sua potenza, solo una figura di ciò che sta per fare, non una o due volte solamente, ma tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli; e non in favore di cinque mila persone, ma di una moltitudine innumerevole di fedeli. Contate sulla faccia della terra i milioni di cristiani che prenderanno posto al banchetto pasquale; colui che abbiamo visto nascere in Betlemme, la Casa del pane, sta per dare se stesso in loro alimento; e questo cibo divino mai si esaurirà. Sarete saziati come furono saziati i vostri padri; e le generazioni che verranno dopo di voi saranno, come voi, chiamate a "gustare e a vedere quanto è soave il Signore" (Sal 33,9).
È nel deserto che Gesù sfama questi uomini, figura dei cristiani. Tutto un popolo ha lasciato il chiasso della città per seguirlo; bramando d'udire la sua parola, non ha temuto né la fame, né la stanchezza; ed il suo coraggio è stato ricompensato. Similmente il Signore coronerà le fatiche del nostro digiuno e della nostra astinenza al termine di questo periodo, di cui abbiamo già passato la metà. Rallegriamoci, dunque, e passiamo questa giornata confidando nel prossimo nostro arrivo alla mèta. Sta per arrivare il momento in cui l'anima nostra, saziata di Dio, non si lamenterà più delle fatiche del corpo; perché, insieme alla compunzione del cuore, queste le avranno meritato un posto d'onore nell'immortale banchetto.

L'Eucarestia.
La Chiesa primitiva non mancava di presentare ai fedeli il miracolo della moltiplicazione dei pani come l'emblema dell'inesauribile alimento eucaristico: ed anche nelle pitture delle Catacombe e sui bassorilievi degli antichi sarcofaghi cristiani lo si riscontra frequentemente. I pesci dati a mangiare insieme ai pani, pure apparivano in questi antichi monumenti della nostra fede, essendo soliti i primi cristiani figurare Gesù Cristo sotto il simbolo del Pesce, perché in greco la parola Pesce è formata di cinque lettere, ognuna delle quali è la prima delle parole: Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore.
In questo giorno, ultimo della settimana Mesonèstima, i Greci onorano san Giovanni Climaco, celebre Abate del monastero del Monte Sinai, del VI secolo.

MESSA
EPISTOLA (Gal 4,22-31). - Fratelli: Sta scritto che Abramo ebbe due figlioli: uno dalla schiava e uno dalla libera; e mentre quello della schiava nacque secondo la carne, quello della libera nacque in virtù della promessa. Queste cose hanno un senso allegorico. Rappresentano le due alleanze: una del monte Sinai che genera schiavi, e sarebbe Agar: infatti il Sinai è un monte dell'Arabia, ed ha molta relazione con la Gerusalemme attuale, che è schiava coi suoi figlioli. Ma la Gerusalemme superiore è libera, essa è la nostra madre; sta scritto infatti: Rallegrati, o sterile che non partorisci, prorompi in grida di gioia, tu che non divieni madre, perché molti sono i figlioli dell'abbandonata, e più numerosi di quelli di colei che ha marito. Quanto a noi, o fratelli, siamo come Isacco, figlioli della promessa, e come allora quello nato secondo la carne perseguitava colui che era nato secondo lo spirito, così pure succede ora. Ma che dice la Scrittura? Caccia la schiava e il suo figliolo, perché non dev'essere il figlio della schiava erede col figlio della libera. Pertanto, o fratelli, noi non siamo figli della schiava, ma della libera, per quella libertà con la quale Cristo ci ha liberati.

La vera libertà.
Rallegriamoci, figli di Gerusalemme e non più del Sinai ! La madre che ci ha generati, la santa Chiesa, non è schiava, ma libera; ed è per la libertà che ci ha dati alla luce. Israele serviva Dio nel timore; il suo cuore, sempre inclinato all'idolatria, aveva bisogno d'essere incessantemente frenato, con un giogo che doveva pungolare le sue spalle. Ma noi, più fortunati, lo serviamo nell'amore; e per noi "il suo giogo è soave, e leggero il suo carico" (Mt 11,30). Noi non siamo cittadini della terra: solo l'attraversiamo; la nostra unica patria è la Gerusalemme di lassù. Lasciamo quella di quaggiù al Giudeo, che non gusta se non le cose terrene, e nella bassezza delle sue speranze, misconoscendo il Cristo, si prepara a crocifiggerlo. Troppo tempo abbiamo strisciato con lui sulla terra, schiavi del peccato; ma più le catene della sua schiavitù si appesantivano sopra di noi, più aspiravamo d'esserne liberi. Arrivato il tempo favorevole ed i giorni della salvezza, docili alla voce della Chiesa, abbiamo avuto la sorte di entrare nei sentimenti e nelle pratiche delle santa Quarantena. Oggi il peccato ci sembra come il giogo più pesante, la carne come un peso pericoloso, il mondo come un crudele tiranno; cominciamo a respirare, e l'attesa della prossima liberazione c'infonde una viva contentezza. Ringraziarne con effusione il nostro liberatore, che, togliendoci dalla schiavitù di Agar, ci risparmia i terrori del Sinai, e sostituendoci all'antico popolo, ci apre col suo sangue le porte della celeste Gerusalemme.

VANGELO (Gv. 6,1-15). In quel tempo: Gesù andò al di là del mare di Galilea, cioè di Tiberiade; e lo seguiva gran folla, perché vedeva i prodigi fatti da lui sugl'infermi. Salì pertanto Gesù sopra un monte ed ivi si pose i sedere con i suoi discepoli. Ed era vicina la Pasqua, la solennità dei Giudei. Or avendo Gesù alzati gli occhi e vedendo la gran turba che veniva a lui, disse a Filippo: Dove compreremo il pane per sfamare questa gente? Ma ciò diceva per metterlo alla prova; egli però sapeva quanto stava per fare. Gli rispose Filippo: Duecento danari di pane non bastano neanche a darne un pezzetto per uno. Gli disse uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che è questo per tanta gente? Ma Gesù disse: Fateli mettere a sedere. C'era lì molta erba. Si misero pertanto a sedere in numero di circa cinque mila. Allora Gesù prese i pani, e, rese le grazie, li distribuì alla gente seduta; e così pure fece dei pesci, finché ne vollero. E, saziati che furono, disse ai suoi discepoli: Raccogliete gli avanzi, che non vadano a male. Li raccolsero adunque; e riempirono dodici canestri dei pezzi che erano avanzati a coloro che avevan mangiato di quei cinque pani d'orzo. Or quegli uomini, visto il prodigio fatto da Gesù, dicevano: Questo è davvero il profeta che deve venire al mondo. Ma Gesù, accortosi che stavano per venire a rapirlo per farlo re, fuggì di nuovo solo sul monte.

Regalità spirituale del Cristo.
Questi uomini che il Salvatore aveva sfamati tanto amorosamente e con una potenza così miracolosa, hanno un solo pensiero: proclamarlo loro re. Una tale potenza e bontà riunite in Gesù lo fanno giudicare degno di regnare sopra di loro. Che faremo allora noi cristiani, che abbiamo sperimentato questo doppio attributo del Salvatore incomparabilmente meglio dei poveri Giudei? Perciò invochiamolo che presto il suo regno venga dentro di noi. Abbiamo visto nell'Epistola ch'egli venne a portarci la libertà, col liberarci dai nostri nemici. Ora tale libertà non la possiamo conservare, se non entro la legge. Gesù non è un tiranno, come il mondo e la carne; l'impero suo è dolce e pacifico, e noi siamo più figli suoi che sudditi. Alla corte di questo gran re, servire è regnare. Veniamo quindi ai suoi piedi a dimenticare tutte le passate schiavitù; e se c'impediscono ancora delle catene, affrettiamoci a romperle; la Pasqua è infatti la festa della liberazione, e già l'alba di questo giorno spunta all'orizzonte. Camminiamo decisi verso la mèta; Gesù ce ne darà il riposo e ci farà ristorare sull'erbetta, come fece alla moltitudine del Vangelo; e il Pane che ci avrà preparato ci farà subito dimenticare ogni fatica sostenuta durante il cammino.

PREGHIAMO
Fa', o Dio onnipotente, che noi, giustamente afflitti a causa delle nostre colpe, respiriamo per l'abbondanza della tua grazia.


[1] Siccome anticamente la Quaresima non cominciava il Mercoledì delle Ceneri, ma la prima Domenica di Quaresima, ne seguiva che la quarta Domenica segnava esattamente metà del periodo quaresimale. Era la Domenica di Metà-Quaresima. Più tardi si anticipò la Quaresima di quattro giorni, e la Metà-Quaresima venne trasportata dalla Domenica al Giovedì. Ma niente di tutto ciò figurava nei testi liturgici.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 586-592

domenica 19 marzo 2017

TERZA DOMENICA DI QUARESIMA


 
TERZA DOMENICA DI QUARESIMA

La Quaresima: tempo di riflessione.
La santa Chiesa che nella prima Domenica di Quaresima, ci propose la tentazione di Gesù a soggetto delle nostre meditazioni, per illuminarci sulla natura delle nostre tentazioni ed insegnarci la maniera per trionfarne, oggi ci fa leggere un passo del Vangelo di san Luca, la cui dottrina viene a completare la nostra istruzione circa la potenza e le manovre dei nostri invisibili nemici. Durante la Quaresima il cristiano deve riparare il passato e garantirsi l'avvenire, poiché non potrebbe fare assegnamento sul primo né difendere efficacemente il secondo, senza avere delle sane idee sull'entità dei pericoli che lo fecero soccombere e su quelli che ancora lo minacciano. Ben a ragione quindi gli antichi liturgisti riconobbero un tratto di materna saggezza nel discernimento con cui oggi la Chiesa presenta ai suoi figli questa nuova lettura, la quale costituisce il fulcro degli odierni insegnamenti.

L'esistenza del demonio.
Noi certo saremmo gli uomini più ciechi e più infelici, se, circondati come siamo da nemici così accaniti della nostra perdizione e molto superiori a noi in forza e in destrezza, non pensassimo di frequente alla loro esistenza, o non ci riflettessimo mai. Purtroppo è la condizione in cui vive un numero stragrande di cristiani dei giorni nostri: talmente "le verità son venute meno tra i figli degli uomini" (Sal 11,2). È talmente diffuso questo stato d'apatia e di smemoratezza sopra una verità che le sante Scritture ci ricordano ad ogni pagina, che non è raro incontrare persone, agli occhi delle quali l'incessante attività dei demoni che ci circondano non è altro che una medievale e popolana credenza, la quale non ha nulla a che vedere coi dogmi della religione; di modo che, secondo loro, tutto ciò che si narra nella storia della Chiesa e nella vita dei santi è come non esistesse; secondo loro, Satana non è che una pura astrazione che personifica il male.
Quando si vuol spiegare il peccato in essi o negli altri, mettono avanti la tendenza che abbiamo al male ed il cattivo uso che facciamo della libertà, senza voler osservare che l'insegnamento cristiano, nella nostra prevaricazione, ci rivela oltre a questo, l'intervento d'un agente malefico, la cui potenza è pari all'odio che ci porta. Eppure sanno che fu il diavolo a trascinare i nostri progenitori al peccato; credono ch'egli tentò il Figlio di Dio incarnato e lo trasportò in aria fin sul pinnacolo del tempio, e di là sopra un'alta montagna. Leggono anche nel Vangelo, e credono che uno degl'infelici indemoniati liberato da Gesù era assediato da un'intera legione di spiriti infernali, i quali, avutone il permesso. furono visti assalire una mandria di porci e precipitarli nel lago di Genezaret. Questi e mille altri fatti sono pure l'oggetto della loro fede; tuttavia, ciò che sentono dire dell'esistenza delle operazioni e della scaltrezza dei demoni a sedurre le anime, tutto loro sembra una favola. Sono cristiani, o hanno perduto il senno? Veramente non sappiamo che dire, specialmente quando si vedono persone che ai nostri giorni si dedicano a sacrileghe consultazioni del demonio, ricorrendo a mezzi mutuati dai secoli pagani, senza dar segno di ricordarsi, e nemmeno di sapere che così facendo commettono un reato che nell'antica legge Dio castigava con la morte, e la legislazione di tutti i popoli cristiani di moltissimi secoli soleva colpire col massimo dei supplizi.

L'ossessione diabolica.
Ma se c'è un periodo dell'anno in cui i fedeli devono meditare ciò che la fede e l'esperienza insegna intorno all'esistenza ed alle operazioni degli spiriti delle tenebre, questo è certamente il tempo in cui siamo, nel quale dobbiamo riflettere sulle cause dei nostri peccati, sui pericoli dell'anima e sui mezzi per premunirla contro nuove cadute e nuovi assalti. Ascoltiamo dunque il santo Vangelo. Esso anzi tutto c'informa che il demonio si era impossessato d'un uomo, che a causa di questa ossessione era diventato muto. Gesù lo libera, e subito l'infelice riprende l'uso della parola, toltagli dal nemico. Apprendiamo da ciò, che l'ossessione diabolica non è soltanto un segno eloquente dell'impenetrabile giustizia di Dio, ma può anche produrre effetti fisici in coloro che ne sono le vittime. L'espulsione dello spirito maligno restituisce l'uso della lingua a chi gemeva nella rete dei suoi lacci. Non intendiamo qui insistere sulla malignità dei nemici di Gesù, i quali volevano attribuire il suo potere sui demoni all'intervento di un principe della milizia infernale: vogliamo solamente costatare il potere degli spiriti delle tenebre sui corpi, e confondere col sacro testo il razionalismo di certi cristiani. Ch'essi dunque imparino a conoscere la potenza dei nostri avversari ed a guardarsi dal divenire loro esca per la superbia della ragione.
Dopo la promulgazione del Vangelo, il potere di Satana sui corpi, per virtù della Croce, è stato molto ridotto nei paesi cristiani; ma ciò non toglie che si possa di nuovo estendere, se verranno a diminuire la fede e le opere della pietà cristiana. Per questo, tutti quei diabolici orrori che si commettono, specie nell'ombra, sotto diversi nomi più o meno scientifici, sono accettati in qualche maniera da gente onesta, e porterebbero al capovolgimento della società, se Dio e la sua Chiesa non vi mettessero un argine. Ricordatevi, o cristiani dei nostri giorni, che rinunciaste a Satana: attenti dunque, che la vostra colpevole ignoranza non vi trascini all'apostasia. Non rinunciaste, al fonte battesimale ad un essere astratto; ma ad un essere reale e formidabile, del quale Gesù Cristo affermò che fu omicida fin da principio (Gv 8,44).

La lotta contro Satana.
Ma se dobbiamo spaventarci del terribile potere che può esercitare sui corpi, ed evitare ogni rapporto col demonio, mediante pratiche alle quali egli presiede, e che sono il culto al quale aspira, dobbiamo anche temere il suo influsso sulle nostre anime. Considerate la lotta che ha dovuto sostenere la grazia di Dio per strappargli la vostra anima ! In questi giorni la Chiesa ci offre tutti i mezzi a sua disposizione per trionfare di lui: il digiuno unito alla preghiera ed all'elemosina. Arriverete alla pace; i vostri cuori, i vostri petti purificati torneranno ad essere il tempio di Dio; ma non crediate che il vostro nemico sia annientato: egli è irritato, perché la penitenza lo ha cacciato dal suo dominio, ed ha giurato che farà di tutto per rientrarvi. Quindi, temete di ricadere nel peccato mortale; e per rafforzare in voi questo salutare timore, meditate le parole che seguono nel Vangelo.
Il Salvatore ci dice che, quando lo spirito immondo è cacciato da un'anima, va errando per luoghi aridi e deserti, dove divora la sua umiliazione e più risente le torture dell'inferno che ovunque porta con sé; se lo potesse, vorrebbe affogarle nell'uccisione delle anime che Gesù Cristo ha riscattate. Fin nell'Antico Testamento vediamo i demoni sconfitti e costretti a fuggire in lontane solitudini; è così che l'Arcangelo san Raffaele relegò nei deserti dell'Egitto superiore lo spirito infernale che aveva fatto morire i sette mariti di Sara (Tb 8,3). Ma il nemico dell'uomo non si può rassegnare a restare sempre così lontano dalla preda che brama fare sua. Spinto dall'odio che ci porta fin dal principio del mondo, egli dice a se stesso: "Bisogna che ritorni a casa mia da cui sono uscito". Ma non tornerà solo; vuole trionfare e perciò condurrà seco, se sarà necessario, altri sette demoni più perversi di lui. Quale conflitto si prepara allora per la povera anima, se non la troverà vigilante ed agguerrita, e se le pace che Dio le ha ridata non sarà una pace armata! Il nemico ne saggia il terreno; nella sua perspicacia, esamina i mutamenti che si sono operati durante la sua assenza: e che cosa scorge nell'anima dove fino a poco fa si era assuefatto ad abitare? Nostro Signore ce lo dice: il demonio la trova indifesa e a disposta riceverlo ancora senz'armi spianate; pare quasi che l'anima stia di nuovo ad aspettarlo. Allora il nemico, per essere più sicuro della sua conquista, va a cercare rinforzi. Movendo all'assalto, non incontra resistenza alcuna; e la povera anima, invece d'ospitare un solo abitatore infernale, ben presto ne albergherà un esercito: "E, aggiunge Gesù, l'ultima condizione di quell'uomo è peggiore della prima".
Cerchiamo di ben comprendere l'avvertimento che oggi ci dà la santa Chiesa, facendoci leggere questo brano evangelico. Dappertutto si preparano ritorni a Dio; in molte coscienze si va operando la riconciliazione; e il Signore è sempre disposto a perdonare: ma persevereranno tutti? Quando fra un anno la Quaresima tornerà a chiamare i cristiani alla penitenza, tutti quelli che in questi giorni saranno strappati alla potenza di Satana, avranno custodita la loro anima libera dal suo giogo? Una triste esperienza non permette alla Chiesa di sperarlo. Molti ricadranno nei lacci del peccato, anche poco tempo dopo la loro liberazione: oh, se in questa condizione fossero colpiti dalla giustizia di Dio! Tuttavia, questa sarà la sorte di molti, e forse di moltissimi. Temiamo quindi ogni ricaduta, e, per garantirci la perseveranza, senza la quale ci sarebbe valso poco rientrare solo per qualche giorno nella grazia di Dio, vegliamo, preghiamo e difendiamo sempre le trincee dell'anima nostra, resistendo nel combattimento; e così il nemico, sconcertato dalla nostra risolutezza, se ne andrà altrove a sfogare la sua vergogna e la sua rabbia.

La Domenica degli Scrutini.
La terza Domenica di Quaresima è chiamata Oculi, dalla prima parola dell'Introito della Messa; ma la Chiesa dei primi tempi la chiamava Domenica degli scrutini, perché in questo giorno si cominciava l'esame dei Catecumeni, che dovevano essere ammessi al santo Battesimo la notte di Pasqua. Tutti i fedeli erano invitati a presentarsi in chiesa per testimoniare della vita e dei costumi di coloro che aspiravano alla milizia cristiana. A Roma tali esami, cui si dava il nome di Scrutini, si svolgevano in sette sessioni, a causa della moltitudine degli aspiranti al Battesimo; ma lo scrutinio più importante avveniva il Mercoledì della quarta settimana. Ne riparleremo più avanti.
Il Sacramentario Romano di san Gelasio riporta la formula della convocazione dei fedeli per tali assemblee, concepita in questi termini: "Fratelli carissimi, voi sapete che s'avvicina il giorno dello Scrutinio, nel quale i nostri eletti dovranno ricevere la divina istruzione; vogliate perciò riunirvi con zelo in quel giorno della settimana, all'ora di Sesta, affinché siamo in grado, con l'aiuto di Dio, d'adempire rettamente il mistero celeste che apre la porta del regno dei cieli ed annienta il diavolo con tutte le sue pompe". Tale invito era ripetuto, all'occorrenza, anche nelle Domeniche seguenti. In quella che oggi celebriamo, se lo Scrutinio aveva già fatta l'ammissione d'un certo numero di candidati, i loro nomi s'inserivano nei dittici dell'altare, insieme a quelli dei padrini e delle madrine, e si recitavano nel Canone della Messa.

MESSA
La Stazione aveva luogo, come anche adesso, nella Basilica di S. Lorenzo fuori le Mura, volendosi con ciò risvegliare il ricordo del più celebre Martire di Roma, e far presente ai Catecumeni quali sacrifici potrebbe richiedere da loro la fede che stavano per abbracciare.
Nella Chiesa greca questa Domenica è famosa per la solenne adorazione della Croce che precede la settimana chiamata Mesonestima, cioè metà del digiuno.

EPISTOLA (Ef 5,1-9). - Fratelli: Siate imitatori di Dio come figlioli eletti, e vivete nell'amore, come Cristo che ci ha amati e ha dato per noi se stesso a Dio in olocausto come ostia di soave odore. La fornicazione, l'impurità di qualsiasi sorta, l'avarizia non si senta neppur nominare tra voi, come a santi si conviene. Non oscenità, non discorsi sciocchi, non buffonerie, tutte cose indecenti; ma piuttosto il rendimento di grazie. Perché, sappiatelo bene, nessuno che sia fornicatore, o impudico, o avaro (che è un idolatra) ha l'eredità nel regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi seduca con vani discorsi, perché a causa di questi viene l'ira di Dio sugl'increduli. Dunque non vi associate con loro. Una volta eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Vivete come figli della luce. Or frutto della luce è tutto ciò ch'è buono, giusto e vero.

Imitare Dio.
Indirizzandosi ai fedeli di Efeso, l'Apostolo ricorda che una volta erano tenebre, ed ora sono divenuti luce nel Signore. Che gioia, saper che la medesima sorte è riservata ai nostri Catecumeni! Fino a questo momento essi sono vissuti nella depravazione del paganesimo, ma ora con l'ammissione al Battesimo hanno nelle loro mani la caparra della santità. Fino a poco fa erano asserviti ai falsi dèi, che ne alimentavano il culto del vizio; oggi sentono dalla Chiesa esortare i suoi figli ad imitare la santità del Dio dei cristiani; e la grazia che li renderà capaci d'aspirare a riprodurre in sé le perfezioni divine sta per essere loro comunicata. Ma dovranno combattere per mantenersi in questa elevazione. Due nemici, soprattutto, cercheranno di rivalersi: l'impurità e l'avarizia. Il primo di questi vizi, l'Apostolo non vuole che neppure più si nomini; il secondo lo bolla paragonandolo al culto degl'idoli che gli eletti stanno per rinnegare. Questi gl'insegnamenti che prodiga la Chiesa ai suoi futuri figli. E noi, santificati fin dall'entrata in questo mondo, siamo rimasti fedeli al nostro Battesimo? Eravamo luce: perché ora siamo tenebre? dove sono i segni della rassomiglianza divina ch'era stata impressa in noi? Premuriamoci di farli rivivere, tornando a rinunziare a Satana ed ai suoi idoli, e facendo in modo che la penitenza ci riporti nello stato di luce, il cui frutto consiste in ogni sorta di bontà, di giustizia e di verità.

VANGELO (Lc 11,14-28). - In quel tempo: Gesù stava scacciando un demonio ch'era muto. E, cacciato il demonio, il muto parlò, e ne stupirono le turbe. Ma alcuni dissero: Egli scaccia i demoni in nome di Beelzebub, principe dei demoni. Ed altri, per metterlo alla prova, gli chiedevano un segno dal cielo. Ma egli, conosciuti i loro pensieri, disse loro: Ogni regno in se stesso diviso andrà in rovina e una casa cadrà sull'altra. Or, siccome dite che scaccio i demoni in nome di Beelzebub, se anche Satana è discorde in se stesso, come reggerà il suo regno? E se io scaccio i demoni per Beelzebub, in nome di chi li scacciano i vostri figli? Per questo i medesimi saranno i vostri giudici. Ma se col dito di Dio io scaccio i demoni, certo il regno di Dio è giunto fino a voi. Quando il forte guarda in armi l'atrio, è in sicuro tutto quanto possiede. Ma se viene uno più forte di lui e lo vince, gli toglie tutte le armi nelle quali confidava e ne divide le spoglie. Chi non è con me è contro di me e chi non raccoglie meco disperde. Quando lo spirito immondo, è uscito da un uomo, va per luoghi aridi cercando riposo, e, non trovandolo, dice: Ritornerò a casa mia da cui sono uscito. Quando vi giunge, la trova spazzata e adorna. Allora va e prende seco altri sette spiriti peggiori di lui, ed entrati, ci si stabiliscono. E l'ultima condizione di quell'uomo è peggiore della prima. Or avvenne che, mentre egli diceva queste cose, una donna, alzando la voce, in mezzo alla folla, gli disse: Beato il seno che t'ha portato e il petto che hai succhiato. Ed egli aggiunse: Beati piuttosto quelli che ascoltano e mettono in pratica la parola di Dio.

Demoni muti.
Il demonio dal quale Gesù liberò l'ossesso del Vangelo rendeva quest'uomo muto; ma appena ne uscì lo spirito delle tenebre, che lo vessava, la lingua di quel poveretto si sciolse. È un fatto che ci dà l'immagine del peccatore divenuto schiavo del terribile vincitore che lo rese muto. Se questo peccatore parlasse per confessare le sue colpe e domandare la grazia, sarebbe salvo. Quanti demoni muti, sparsi ovunque, impediscono gli uomini di fare questa salutare confessione che li salverebbe ! La santa Quarantena procede e i giorni della grazia passano: approfittiamo del tempo favorevole, e, se siamo nell'amicizia di Dio, preghiamo insistentemente per i peccatori, affinché muovano la lingua, si accusino e siano perdonati.

Potenza dei demoni.
Ascoltiamo ora ciò che il Salvatore ci dice sui nostri invisibili nemici. Con la loro potenza e scaltrezza, coi loro mezzi di nuocerci, chi potrebbe resistere loro, se Dio non ci sostenesse e non avesse incaricato i suoi Angeli a vegliare su di noi e a combattere a nostro fianco? Ma intanto col peccato, noi c'eravamo consegnati nelle mani di quest'immondi e odiosi spinti, ed avevamo preferito il loro tirannico dominio al giogo tanto soave e leggero del nostro compassionevole Redentore. Ora che ce ne siamo liberati, o stiamo per farlo, ringraziamo il nostro liberatore, e stiamo ben attenti a non ricadere mai più in mano a questi abitatori infernali. Gesù ci avverte del pericolo che incombe. Essi torneranno a forzare la dimora dell'anima nostra santificata dall'Agnello della Pasqua: se saremo vigilanti e fedeli, si ritireranno confusi; ma se saremo tiepidi e fiacchi, e perderemo di vista il dono della grazia e gli obblighi che ci legano a colui che ci ha salvati, la nostra rovina sarà certa; e, secondo la terribile parola di Gesù, "l'ultima condizione sarà peggiore della prima".

Essere con Cristo.
Vogliamo evitare una sì grande disgrazia? meditiamo quell'altra parola di Gesù nel Vangelo: "Chi non è con me è contro di me". Ciò che ci fa ricadere nei lacci del demonio, facendoci dimenticare tutto ciò che dobbiamo al nostro liberatore, è che non ci schieriamo sinceramente da parte di Gesù Cristo, di fronte alle occasioni nelle quali il cristiano deve saper pronunciarsi con fermezza. Si nicchia, si temporeggia: e intanto l'energia dell'anima s'affievolisce; Dio non elargisce più con l'abbondanza di prima le sue grazie, e la ricaduta è imminente. Camminiamo dunque con passo fermo e sicuro, e ricordiamoci che il soldato di Gesù Cristo deve sempre onorarsi del suo Capo.

PREGHIAMO
Accogli, te ne preghiamo, o Dio onnipotente, i voti degli umili e stendi a potenza della tua maestà a nostra difesa.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 557-565

Tu puoi





Dio si rivolge a Caino:

Genesi 4,7

"Se agisci bene, non dovrai forse tenere (il volto) alto?
Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo (lett. PUOI DOMINARLO, LO DOMINERAI)."

Questo testo contiene una trattazione teologica già valida oltre l'episodio. Al di là del peccato particolare di Caino verso Abele, il discorso chiarisce una metodologia di Dio nell'avvertire l'uomo sul peccato.


Prima l'uomo prova una reazione di bruciore, di colpa, che fa abbassare la testa...cosa dice? 

Il problema è dentro di te:
se tu agisci bene, la testa puoi tenerla alta. Ti manca qualcosa, ti manca la
mia approvazione divina, ti manca il mio sguardo sulla tua
offerta, ti manca la comunione con me? Tu vuoi andare a testa alta, ma se non
agisci bene, stai attento, perché il peccato è accovacciato alla tua porta. 



Lo Spirito Santo fa sentire all'uomo un peso, un'insoddisfazione, cioè che non è in regola con Dio.
Questo affinchè l'uomo confessi la sua colpa, smetta di commetterla e se ne emendi chiedendo perdono.

In questo racconto, il peccato è "accovacciato alla tua porta"; terminologia animale. 


Come una belva accucciata davanti alla porta, il serpente è lì, sull’uscio di casa. Il termine tradotto con “accovacciato” è un participio che in ebraico suona
"robéts" (participio maschile – riferito al «peccato»
che è sostantivo femminile – di un verbo che vuol dire “essere accovacciato”). E' termine tecnico che fa riferimento all’immagine del peccato come un animale feroce nell’attimo che precede il balzo aggressivo. 


Robéts indica, miticamente, proprio le belve che stanno sdraiate davanti alle porte dei templi; figure mitiche entrate anche nelle nostre raffigurazioni. 





(nell'immagine, leoni sotto la colonna, o meglio, leoni stilofori, Basilica di San Zeno Maggiore, Verona)

Come le sculture romaniche che reggono le colonne davanti ai portali di tante chiese. Il fatto che reggano la colonna significa che la colonna li blocca, li domina. Sono inchiodati lì, vinti: essendo immagini del male, sono bloccati in modo tale che non possano saltare addosso alla persona. 


(nell'immagine: leone stiloforo che divora una persona,
San Leonardo in Lama Volara presso Siponto)



Questo linguaggio antico viene legato alla condizione dell’uomo e viene detto espressamente che il peccato è un robéts... è una bestia accovacciata alla tua porta. Gesù in seguito dirà che è dal cuore, dal dentro, che vengono propositi malvagi, dalla parte irredenta di noi, quella che ancora non abbiamo affidato.


La porta è il punto di incontro tra il dentro e il fuori, è lo strumento di comunicazione, si intende il rapporto tra l’interno e l’esterno, ad esempio tra quello che pensi e quello che dici, fra le tue emozioni e le tue azioni. La porta della tua vita è il momento in cui tu passi dal pensare al dire, quando hai uno stato d’animo, un sentimento e poi passi all’azione. La belva – che è
il peccato – è lì accovacciato alla tua porta, verso di te è il suo istinto.

Dunque il peccato è una bestia feroce accovacciata alla porta;
quando tu esci da te, stai attento perché ti salta addosso e ti mangia. Il peccato ha un istinto... verso di te è il suo istinto, ma tu lo puoi dominare - dice Dio all'uomo.


Tu PUOI dominarlo. Mediante la forza spirituale che Dio ti da. 
Perchè lo spirito vince la carne, perchè Gesù ha già vinto risorgendo, vincendo per noi il peccato e la morte.

L’istinto del peccato è di aggredirti come fosse una cosa estranea. E'lì, ti suggerisce cose negative (nel senso di nemiche di Dio), ha un istinto (appetitus) verso di te, ma tu puoi dominarlo (cfr Gen. 3,16).

Dio ha dato all’uomo il potere su tutte le bestie. Dice infatti
un salmo: «Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi»
(Sal 91[90],13). Sono tutte immagini simboliche per richiamare queste idee; l’uomo deve continuamente combattere contro le forze del male e può vincere.

L’uomo non è vittima del peccato per una forza superiore, l’uomo può dominare il peccato anche se è aggredito da questa forza.

Adesso viene detto a Caino: “Il peccato ha l’istinto verso di te, ma tu lo
dominerai”. Caino ha ereditato dentro di sé il peccato.

La S. Scrittura incentra questa riflessione teologica sul fatto che l’uomo scopre in sé l’istinto del peccato, ma ha anche la possibilità di controllarlo. 


La maturità umana e spirituale sta (anche) nel diventare pastore della propria animalità e qui viene rappresentato questo compito di crescita dell’uomo. Ed eravamo ancora nel Vecchio Patto.


Nel NT, oltre alle cose dette, dopo la manifestazione completa di Gesù Cristo vincitore,
basti la spiegazione di S. Paolo in Ep. Romani cap 7 e 8....

"14 Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato. 15 Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. 16 Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; 17 quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 18 Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; 19 infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. 20 Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. 21 Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. 22 Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, 23 ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra.

24 Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? 


25 Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.

1 Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. 2 Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. 3 Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile:

mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, 4 perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito.


5 Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. 6 Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace. 7 Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero. 8 Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio.

9 Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 10 E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. 11 E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
12 Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; 13 poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete.
14 Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. 15 E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». 16 Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. 17 E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria."


(nell'immagine in alto, "Resurrezione" di Luca Giordano, 1665)

Telegrafiche cronache dall'Europa islamica



16 marzo 2017. Ministro esteri turco: "Presto inizieranno le guerre sante in Europa".

17 marzo 2017: Erdogan ai turchi viventi in Europa: "Fate cinque figli a testa ed il futuro è nostro".
 Parigi: islamico sgozza per strada padre e figlio urlando "Allah akbar".

18 marzo 2017: Orly, Parigi, aeroporto: islamico assale soldatessa e tenta strage.


Reazioni?
Politica: non creare panico, non alimentare "clima d'odio", fedeli ai nostri valori (?????), individui isolati un pò disturbati, integrazione soluzione di ogni male.
 Media: insabbiare, minimizzare, non analizzare e/o approfondire, supporto alla normalizzazione, martellare slogan e parole d'ordine ad hoc.
Popolo: anticipo serie A, i phone, cene tra amici, è sabato sera, che ci pozzo fà, tutte le religioni sono uguali.
Papa: silenzio, silenzio, silenzio + programma viaggio aprile in Egitto dall'imam Al Azhar. Contro TUTTI i fondamentalismi sui generis. 


Postilla alla posterità:

Cari discendenti, perdonate, se potete, questa generazione di individui imbelli e lobotomizzati, ladra di passato e di speranza, votata ad un allegro e spensierato suicidio.

E già che ci siamo, che ci perdoni anche e soprattutto Nostro Signore. 

Gesù salva Pietro

giovedì 16 marzo 2017

Altri aforismi di Nicolás Gómez Dávila






_Il culto dell'umanità si celebra con sacrifici umani.

_Tre figure, nel nostro tempo, detestano per professione il borghese:
*l'intellettuale - questo tipico rappresentante della borghesia;
*il comunista - questo zelante esecutore dei propositi e degli ideali borghesi;
*il prelato progressista - questo trionfo finale della mente borghese sull'anima cristiana.

_Quando un suo ministro sostiene che la liturgia ha per fine di agire non sugli déi, ma sui fedeli, il culto perde qualsiasi significato religioso e si tramuta in terapia di gruppo.

_Progressisti atei e progressisti cattolici hanno rinunciato, gli uni, alla blasfemia, gli altri, alla preghiera: per comunicarsi, gli uni con gli altri, nel medesimo culto delle fogne suburbane. 

_Se scompare la loro profondità religiosa, le cose si riducono a una superficie priva di spessore: dove si vede, in trasparenza, il nulla.

_Per il cristiano odierno la crocefissione fu un lacrimevole errore giudiziario.
La facoltà di percepire la misteriosa necessità del tremendo morì con il dramma greco e gli altari cristiani.

_Come non c'è tragedia, se non tra prìncipi e tra déi, così non c'è architettura, se non per prìncipi e per déi.
L'architettura moderna è un melodramma borghese.

_Poichè vive in un universo che la scienza rende ogni giorno più astratto,
tra tecniche che lo piegano a comportamenti sempre più astratti,
tra mucchi di individui che impongono relazioni più e più astratte,
l'uomo attuale cerca di scampare a tanta astrazione,
che gli trafuga il mondo e incartapecorisce l'anima, 
sognando il futuro - l'astrazione delle astrazioni.

_Dignità umana è ciò che si conquista lottando contro se stessi in nome di una norma.
Ciò che non risulta da un conflitto o è bestiale o è divino.

_L'affanno, ormai secolare, di 'democratizzare la cultura', non ha fatto sì che più persone ammirassero Shakespeare o Racine, ma solo che ce ne fossero di più a credere di ammirarli.

_E' più facile che i naufraghi perdonino il pilota scellerato responsabile dell'affondamento della nave, piuttosto che il passeggero profeta intelligente della sua deriva contro lo scoglio. 

_Fino a ieri, non c'era motivo di definire l'uomo 'animale razionale'.
L'appellativo era improprio fino a che egli si dava soprattutto all'invenzione di attitudini religiose e comportamenti etici, di opere estetiche e meditazioni filosofiche.
Oggi, invece, l'uomo è solo animale razionale.
Vale a dire: inventore di ricette pratiche al servizio della propria animalità.

_"Essere se stessi" è il presunto dovere con il quale cerchiamo di eludere i nostri doveri reali.
Il nostro dovere è non l'autenticità ontologica dell'animale, ma l'autenticità assiologica.

_Basta guardare chi ci insulta per saperci vendicati.

_Non si capisce se il giornalismo contemporaneo risponda a un cinico proposito di arricchirsi immeschinendo l'uomo, o sia un apostolato 'culturale' di menti irrimediabilmente incolte.

_Nostro fratello non è chi ci somiglia nel fisico, ma chi sfiora il medesimo nostro mistero.