Qualche giorno fa, in una serie di riflessioni e commenti sul blog amico Chiesa e PostConcilio, qualcuno ha richiamato alla memoria una frase che andava di moda tempo fa. Si tratta di un aforisma attribuito a Montini:
"Oggi non è più tempo di maestri, bensì di testimoni".
Al di là del fatto che ci manca il contesto, e la certezza dell'attribuzione, si tratta di una frase poetica e merita qualche riflessione. E' fuori dubbio che alla fede, alla Chiesa, servano i "testimoni": chi sono infatti questi, se non credenti santi che incarnano il Vangelo e lo vivono fino a testimoniarlo con la propria vita?
D'altro canto il rischio è che in questo concetto si celi anche qualcos'altro di meno corretto. Perchè non ci sarebbe più bisogno di maestri nella fede?
E' tutto il mondo così formato e colmo di sapienza nelle cose della fede? Non pare proprio, visti i frutti e i comportamenti, nemmeno riguardo ai credenti, sempre esposti al rischio, in mancanza di un'adeguata istruzione nelle cose sacre, di formarsi un "Dio-fai-da-te" modellato sulle proprie voglie (cfr. 2 Timoteo 4,3), di cadere in proiezioni di sè e nel proprio psichismo.
E se fosse vero che non c'è più nulla da insegnare nè da imparare, si sarà allora testimoni di che cosa? di ciò che il cuore "ci ditta dentro"?
Spesso si dibatte tra il fatto che il Cattolicesimo sia l'unica vera Religione, cosa che crediamo, ma è anche vero che Gesù prima di essere "religione" è una Persona Vivente.
Ma come è vero che il cattolicesimo non è solo una Dottrina ma anche la Persona di Cristo, è altrettanto vero che la Chiesa ha di fatto ricevuto da Gesù Cristo ANCHE una dottrina e che, per fronteggiare gli attacchi degli eretici e dei distruttori esterni ed interni, ha dovuto definire la dottrina in modo sempre più preciso, come quello espresso nelle formule dogmatiche.
Non per essere “specialisti del Logos” ma per non andare fuori strada.
Infatti, in 2 S. Pietro, 1,
16 Infatti, non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. 17 Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». 18 Questa voce noi l'abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. 19 E così abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione, come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori. 20 Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, 21 poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio.
Lo stesso Gesù Cristo afferma: “La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato” (Gv. 7, 16).
In realtà il Santo Vangelo è la Buona Notizia portata da Gesù Cristo,
che Dio si è incarnato in Cristo una volta per tutte, è Via, Verità,
Vita, ha indicato la via testimoniandocela, ha espiato, ha patito, è
morto ed è risorto una volta per tutte, offrendo anche a noi la
salvezza. Quindi in sé il Vangelo non è un processo, ma la buona notizia
di una cosa avvenuta, che noi possiamo accogliere come un'àncora gettataci dal Cielo.Per esempio, Romano Amerio (il sottovalutato teologo autore di "Iota Unum"; "Stat Veritas") si riferiva ad un atteggiamento simile a quello della frase di partenza sopra, quando parlava de "La dislocazione della Divina Monotriade" (ovvero la dislocazione delle Persone della Trinità).
Riaffermava infatti, partendo dal Vangelo stesso, che "in Principio era il Verbo" (incipit S. Giovanni) non "l'Amore". Ma in che senso? Dio è Verità e Amore.
Sull'interessante tematica si vedano i brevi articoli di Sandro Magister qui e lo studio di Enrico Maria Radaelli "Romano Amerio: della verità dell'amore".
Negli ultimi anni si assiste proprio alla « variazione delle essenze », dove l’amore (parola che risuona ormai come una moneta consunta, tra l'altro) prende il posto del Verbo, la libertà e la volontà del singolo prendono il posto della Verità Rivelata, il valore da dare alla comunità dei cristiani e all'assemblea prendono il posto da dare all’adorazione di Dio. E così in questa ottica si dice che si ha necessità di testimoni e non più di maestri.
Quindi si sostiene che questo sarebbe il (presunto) primato dello Spirito Santo (l'Amore) sul Verbo. Cioè, come dire che l'amore conta più della conoscenza, della sapienza e del Logos. Ma lo Spirito Santo, come perfettamente definito dal Credo, procede dal Padre e dal Figlio, e non prescinde certo da Essi.
E ancora del vero Spirito Santo, Gesù stesso dice che "Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà." (cfr. Giovanni 16). Insostenibile quindi l'idea di una funzione dello Spirito Santo slegato dal Padre e dal Figlio, o che sia solo un generico "amore" che travalichi e oltrepassi le Verità di Fede, i Comandamenti stessi, fino a negarli per generare sempre altro, magari in conflitto con le altre Persone della Trinità.
Inutile dire che questo clima degli equivoci si è diffuso in tutto il postconcilio, o se si preferisce, nel modo di pensare del mondo.
Ma come si fa ad amare (idea travisata dello SS.) ciò che non si conosce (il Logos/Cristo ricordato dei maestri, di cui non ci sarebbe più bisogno) (amore che oltrepassa la dottrina, cioè il dato Rivelato?!)? E si potrà dire mai che nell'etica cattolica "basta che ci sia l'amore" e si lascia passare ogni cosa? Non è certo così che il Magistero Perenne nè Gesù Cristo insegnano.
Quante distruzioni della modernità sembrano allora essere contenute in questo slittamento di significati. Di questo passo, col principio della desistenza da ogni insegnamento ("non è più tempo di maestri") si assiste alla vittoria della filosofia del divenire storicista dell'idea cangiante di Dio e della Rivelazione che muterebbe sempre, su quella dell'Essere. Ma Dio stesso è, come dai Suoi nomi Santi, "Colui che E' ", l' "Io sono".
Eraclito ed Hegel, ma anche Marx con le loro divinizzazioni del perenne divenire e della rivoluzione permanente
celebrano in quella frase il loro tragico trionfo sull'Ontologia di Aristotele, San Tommaso, la Tradizione, la S. Scrittura e il principio di non contraddizione enunciato da Cristo stesso.
Dio è ora presentato come un’Entità mutevole nel tempo e nei giudizi.
Sulla stessa falsariga giacciono espressioni come "il Vangelo è un processo", perciò un divenire, che ricordano l’idealismo
storicista di Hegel e Teilhard de Chardin.
Se il Vangelo è un processo in
divenire, allora la Rivelazione non sembrerebbe un qualcosa di dato una
volta per tutte, ma in continua trasformazione.
Queste concezioni secondo cui la realtà sarebbe un flusso dinamico
sempre in movimento, un processo dialettico (Hegel, Feuerbach, Trotszkij) genererebbero un progresso senza fine, in cui un'idea di Dio
come spirito si realizzerebbe in parte, ma senza mai attuarsi in pieno (viene negato l'Essere e dato spazio al perenne Divenire, mentre la Metafisica viene sostituita dalla Storia).
Ma Dio è Colui che é, per Sua stessa definizione, non è possibile negare l'Essere (eterno di Dio, l'immutabilità delle Sue Leggi) con la divinizzazione del divenire (e delle pretese umane).
Applicata alla fede, questa teoria (già in parte anche di Congar, de
Lubac) implica una concezione evoluzionistica anche della Rivelazione.
Dio, i dogmi, l’etica, la Chiesa, sarebbero solo tutte entità
provvisorie, in fase di perenne perfezionamento da reinterpretare con le
categorie della cultura dominante (con le categorie del mondo, che però giace nel peccato) e da
cambiare sempre.
Nulla sarebbe mai stato dato da Dio, ma “lo scopriremmo solo vivendo”
volta per volta. Non si tratta della stessa Verità che vieppiù si fa
intendere, ma di nuove "verità" geneticamente modificate.
Invece leggiamo in Efesini 3,
17Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, 18siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, 19e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.
Se S. Paolo crede alla ricerca di un approfondimento della fede ( l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza, la profondità, ma NON una mutazione OGM),
per i seguaci di una certa modernità la Rivelazione non si sarebbe
chiusa con la morte degli Apostoli, e il Credo e il Canone, ma sarebbe
tuttora in atto, non si sa dove vada a parare, si sviluppa e cresce
nella storia anche contraddicendosi più volte. Ma questo sarebbe proprio quel
modernismo condannato dalla Pascendi o la Nouvelle Theologie condannata dalla Humani generis.
La regola dello sviluppo nella Chiesa tra il concetto di Progresso e
Tradizione, la troviamo formulata fin dall’anno 434 in un’opera di S. Vincenzo
Lerinense, che scrive:
“Dirà forse qualcuno: non si dà, dunque, progresso alcuno della religione nella Chiesa di Cristo? Altroché se si dà, e grandissimo! Chi vorrà essere tanto ostile agli uomini e tanto odioso a Dio da tentare di impedire un simile progresso? Però avvenga in modo tale da esser veramente un progresso della fede e non un’alterazione. Progredire, infatti, significa che una cosa si amplifica rimanendo se stessa; mutamento, invece, significa che una cosa passa a diventare un’altra cosa.
Certamente vero che lo Spirito Santo “rinnova tutte le cose”: ma non nel senso di insegnare verità inedite, inaudite e nuove, e magari opposte alla Rivelazione già data, - non nova sed nove -, ma nel senso di conoscere sempre meglio e più approfonditamente, per viverle, quelle medesime Verità, quella medesima Parola che non passa e che lo Sposo ha affidato alla Sposa.È necessario, dunque, che crescano — e crescano molto gagliardamente — col passare delle generazioni e dei tempi l’intelligenza e la scienza e la sapienza della fede sia nel singolo sia presso la comunità, sia in ciascun cristiano sia in tutta la Chiesa: però la crescita della fede avvenga soltanto ferma restando la sua propria natura, cioè entro l’ambito dello stesso dogma, nel medesimo significato e nella medesima sentenza — in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eodem sensu eademque sententia” (Commonitorium, 23 -PL50,667)
Infatti, “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno”. (Ebrei 13,8)
(Χριστός Παντοκράτωρ, Cristo Pantocrator, -lett. "che tutto domina"-, mosaico del Duomo di Cefalù)
Aggiungo un commento di un nostro amico che le cose le dice in privato, ma su blog poi non scrive:-))
RispondiEliminaAnche Augusto Del Noce, di cui il nostro Mr. x è specialista,
ha sempre contrapposto la bontà della filosofia "platonica", come lui definiva il pensiero che contempla e ribadisce verità eterne, il piano dell'Essere e dell'Ontologia,
a quella filosofia del divenire "che si fa mondo", cioè alla filosofia che non è più speculativa e metafisica,
ma si crede diventi reale solo se agisce concretamente nella storia, come il marxismo, con l'appiattimento/annullamento conseguente del piano spirituale, soprannaturale, e la reductio ad unum, al solo materiale, dell'indagine.
Il cattolicesimo liberale e democratico, ovviamente, seguendo questa china, è stato risucchiato a sua volta nella sola teologia sociale (cattocomunisti, teologia della liberazione etc) riducendo tutto il portato etico, spirituale, soprannaturale e di giustizia sociale, azioni verticali e orizzontali, alla sola dimensione orizzontale, peggio riletta in chiave sindacalistica e basta, l'unica accettata in "società".