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NOVEMBRE
La festa della Chiesa trionfante.
Vidi una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, d'ogni nazione, d'ogni tribù, d'ogni lingua e stavano davanti al trono vestiti di bianco, con la palma in mano e cantavano con voce potente: Gloria al nostro Dio (Apoc. 7, 9-10). Il tempo è cessato e l'umanità si rivela agli occhi del profeta di Pathmos. La vita di battaglia e di sofferenza della terra (Giob. 7, 1) un giorno terminerà e l'umanità, per molto tempo smarrita, andrà ad accrescere i cori degli spiriti celesti, indeboliti già dalla rivolta di Satana, e si unirà nella riconoscenza ai redenti dell'Agnello e gli Angeli grideranno con noi: Ringraziamento, onore, potenza, per sempre al nostro Dio! (Apoc. 7, 11-14).
E sarà la fine, come dice l'Apostolo (I Cor. 15, 24), la fine della morte e della sofferenza, la fine della storia e delle sue rivoluzioni, ormai esaurite. Soltanto l'eterno nemico, respinto nell'abisso con tutti i suoi partigiani, esisterà per confessare la sua eterna sconfitta. Il Figlio dell'uomo, liberatore del mondo, avrà riconsegnato l'impero a Dio, suo Padre e, termine supremo di tutta la creazione e di tutta la redenzione, Dio sarà tutto in tutti (ibid. 24-28).
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Molto prima di san Giovanni, Isaia aveva cantato: Ho veduto il Signore seduto sopra un trono alto e sublime, le frange del suo vestito scendevano sotto di lui a riempire il tempio e i Serafini gridavano l'uno all'altro: Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti: tutta la terra è piena della tua gloria (Is. 6, 1-3).
Le frange del vestimento divino sono quaggiù gli eletti divenuti ornamento del Verbo, splendore del Padre (Ebr. 1, 3), perché, capo della nostra umanità, il Verbo l'ha sposata e la sposa è la sua gloria, come egli è la gloria di Dio (I Cor. 11, 7). Ma la sposa non ha altro ornamento che le virtù dei Santi (Apoc. 19, 8): fulgido ornamento, che con il suo completarsi segnerà la fine dei secoli. La festa di oggi è annunzio sempre più insistente delle nozze dell'eternità e ci fa di anno in anno celebrare il continuo progresso della preparazione della Sposa (Apoc. 19, 7).
Confidenza.
Beati gli invitati alle nozze dell'Agnello! (ibid. 9). Beati noi tutti che, come titolo al banchetto dei cieli, ricevemmo nel battesimo la veste nuziale della santa carità! Prepariamoci all'ineffabile destino che ci riserba l'amore, come si prepara la nostra Madre, la Chiesa. Le fatiche di quaggiù tendono a questo e lavoro, lotte, sofferenze per Dio adornano di splendenti gioielli la veste della grazia che fa gli eletti. Beati quelli che piangono! (Mt. 5, 5).
Piangevano quelli che il Salmista ci presentava intenti a scavare, prima di noi, il solco della loro carriera mortale (Sal. 125) e ora versano su di noi la loro gioia trionfante, proiettando un raggio di gloria sulla valle del pianto. La solennità, ormai incominciata, ci fa entrare, senza attendere che finisca la vita, nel luogo della luce ove i nostri padri hanno seguito Gesù, per mezzo della beata speranza. Davanti allo spettacolo della felicità eterna nella quale fioriscono le spine di un giorno, tutte le prove appariranno leggere. O lacrime versate sulle tombe che si aprono, la felicità dei cari scomparsi non mescolerà forse al vostro rammarico la dolcezza del cielo? Tendiamo l'orecchio ai canti di libertà che intonano coloro che, momentaneamente da noi separati, sono causa del nostro pianto. Piccoli o grandi (Apoc. 19, 5), questa è la loro festa e presto sarà pure la nostra. In questa stagione, in cui prevalgono brine e tenebre, la natura, lasciando cadere i suoi ultimi gioielli, pare voler preparare il mondo all'esodo verso la patria che non avrà fine.
Cantiamo anche noi con il salmista: "Mi sono rallegrato per quello
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che mi è stato detto: Noi andremo nella casa del Signore. O Gerusalemme, città della pace, che ti edifichi nella concordia e nell'amore, noi siamo ancora nei vestiboli, ma già vediamo i tuoi perenni sviluppi. L'ascesa delle tribù sante verso di te prosegue nella lode e i tuoi troni ancora liberi si riempiono. Tutti i tuoi beni siano per quelli che ti amano, o Gerusalemme, e nelle tue mura regnino la potenza e l'abbondanza. Io ho messo ormai in te le mie compiacenze, per gli amici e per i fratelli, che sono già tuoi abitanti e, per il Signore nostro Dio, che in te abita, in te ho posto il mio desiderio" (Sal. 121).
Storia della festa.
Troviamo prima in Oriente tracce di una festa in onore dei Martiri e san Giovanni Crisostomo pronunciò una omelia in loro onore nel IV secolo, mentre nel secolo precedente san Gregorio Nisseno aveva celebrato delle solennità presso le loro tombe. Nel 411 il Calendario siriaco ci parla di una Commemorazione dei Confessori nel sesto giorno della settimana pasquale e nel 539 a Odessa, il 13 maggio, si fa la "memoria dei martiri di tutta la terra".
In Occidente i Sacramentari del V e del VI secolo contengono varie messe in onore dei santi Martiri da celebrarsi senza giorno fisso. Il 13 maggio del 610, Papa Bonifacio IV dedicò il tempio pagano del Pantheon, vi fece trasportare delle reliquie e lo chiamò S. Maria ad Martyres. L'anniversario di tale dedicazione continuò ad essere festa con lo scopo di onorare in genere tutti i martiri, Gregorio III, a sua volta, nel secolo seguente, consacrò un oratorio "al Salvatore, alla sua Santa Madre, a tutti gli Apostoli, martiri, confessori e a tutti i giusti dormienti del mondo intero".
Nell'anno 835, Gregorio IV, desiderando che la festa romana del 13 maggio fosse estesa a tutta la Chiesa, provocò un editto dell'imperatore Luigi il Buono, col quale essa veniva fissata al 1 novembre. La festa ebbe presto la sua vigilia e nel secolo XV Sisto IV la decorò di Ottava obbligatoria per tutta la Chiesa. Ora, sia la vigilia sia l'Ottava, sono soppresse.
MESSA
"Alle calende di novembre vi è la
stessa premura che vi è a Natale, per assistere al Sacrificio in onore dei
Santi", dicono vecchi documenti in relazione a questo giorno"
(Lectiones ant. Brev. Rom. ad hanc diem. Hittorp. Ordo Romanus). Per
quanto generale fosse1225
la festa, anzi in ragione della sua stessa universalità, non era forse la gioia speciale per tutti e l'onore delle famiglie cristiane? Le quali santamente fiere di coloro dei quali si trasmettevano le virtù di generazione in generazione e la gloria del cielo, si vedevano così nobilitate ai loro occhi, più che da tutti gli onori terreni.
Ma la fede viva di quei tempi vedeva anche nella festa l'occasione di riparare le negligenze volontarie o forzate commesse nel corso dell'anno riguardo al culto dei beati inscritti nel calendario pubblico.
EPISTOLA (Apoc. 7, 2-12). - In quei giorni: Io Giovanni vidi un altro Angelo che saliva da oriente ed aveva il sigillo di Dio vivo, e gridò con gran voce ai quattro Angeli, a cui era ordinato di danneggiare la terra e il mare e disse: Non danneggiate la terra, il mare e le piante, finché non abbiamo segnato nella loro fronte i servi del nostro Dio. E sentii il numero dei segnati, centoquarantaquattromila di tutte le tribù d'Israele: della tribù di Giuda dodici mila segnati; della tribù di Ruben dodici mila segnati; della tribù di Gad dodici mila segnati; della tribù di Aser dodici mila segnati; della tribù di Neftali dodici mila segnati; della tribù di Manasse dodici mila segnati; della tribù di Simeone dodici mila segnati; della tribù di Levi dodici mila segnati; della tribù di Issacar dodici mila segnati; della tribù di Zabulon dodici mila segnati; della tribù di Giuseppe dodici mila segnati; della tribù di Beniamino dodici mila segnati. Dopo queste cose vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, d'ogni tribù, d'ogni popolo e linguaggio. Essi stavano davanti al trono e dinanzi all'Agnello, in bianche vesti e con rami di palme nelle loro mani, e gridavano a gran voce e dicevano: La salute al nostro Dio che siede sul trono e all'Agnello! E tutti gli Angeli che stavano intorno al trono, ai vegliardi e ai quattro animali, si prostrarono bocconi dinanzi al trono, e adorarono Dio, dicendo: Amen! Benedizione e gloria e sapienza e ringraziamenti e onore e potenza e forza al nostro Dio, nei secoli dei secoli. Così sia.I due censimenti.
L'Uomo-Dio alla sua venuta sulla terra fece, per mezzo di Cesare Augusto, una prima volta il censimento della terra (Lc. 2, 1). Era opportuno che all'inizio della redenzione fosse rilevato ufficialmente lo stato del mondo. Ora è il momento di farne un secondo, che affiderà al libro della vita i risultati delle operazioni di salvezza.
"Perché questo censimento del mondo al momento della nascita del Signore, dice san Gregorio in una delle omelie di Natale, se non per farci comprendere che nella carne appariva Colui che doveva poi registrare gli eletti nella eternità?" (Lezione vii dell'Ufficio di Natale). Molti però, a causa dei peccati, si erano sottratti al beneficio del primo censimento, che comprendeva tutti gli uomini
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nel riscatto di Dio Salvatore, e ne era necessario un secondo che fosse definitivo ad eliminasse dall'universalità del primo i colpevoli. Siano cancellati dal libro dei vivi; il loro posto non è con i giusti (Sal. 68, 29). Le parole sono del re Profeta e il santo Papa qui le ricorda.
Nonostante questo, la Chiesa, tutta gioiosa, non
pensa oggi che agli eletti, come se di essi soli si trattasse nel solenne
censimento in cui abbiamo veduto terminare la vita dell'umanità. Infatti essi
soli contano davanti a Dio, i reprobi non sono che lo scarto di un mondo in
cui solo la santità risponde alla generosità del creatore e all'offerta di un
amore infinito.
Prestiamo le anime nostre
all'impronta che le deve "conformare all'immagine del Figlio unico"
(Rom. 8, 29) segnandoci come tesoro di Dio. Chi si sottrae all'impronta sacra
non eviterà l'impronta della bestia (Apoc. 13, 16) e, nel giorno in cui gli
Angeli chiuderanno il conto eterno, ogni moneta, che non potrà essere portata
all'attivo di Dio, se ne andrà da sé alla
fornace in cui bruceranno le scorie.
VANGELO (Mt. 5, 1-12). - In quel tempo: Gesù avendo veduto la folla, salì sul monte e, come si fu seduto, gli si accostarono i suoi discepoli. Allora egli aprì la sua bocca per ammaestrarli, dicendo: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati i mansueti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che piangono, perché saranno consolati. Beati i famelici e sitibondi di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati quelli che sono perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati sarete voi, quando vi oltraggeranno e perseguiteranno e, falsamente, diranno di voi ogni male per cagion mia. Rallegratevi (in quel giorno) ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Le Beatitudini.
La terra è oggi così vicina al cielo che uno stesso
pensiero di felicità riempie i cuori. L'Amico, lo Sposo ritorna in mezzo ai
suoi e parla di felicità. Venite a me voi tutti che avete tribolazioni e
sofferenze. Il versetto dell'Alleluia era con queste parole l'eco della
patria e tuttavia ci ricordava l'esilio, ma tosto nel Vangelo è apparsa la
grazia e la benignità del nostro Dio Salvatore (Tit. 2, 11; 3,4).
Ascoltiamolo, perché ci insegna le vie della beata speranza (ibid. 2,
12-13), le delizie sante, che sono ad un tempo garanzia ed anticipo della
perfetta felicità del cielo.
Sul Sinai, Dio teneva l'Ebreo a
distanza e dava soltanto precetti e minacce di morte, ma sulla vetta di
quest'altra montagna,
1227sulla quale è assiso il Figlio di Dio, in modo ben diverso si promulga la legge dell'amore! Le otto Beatitudini all'inizio del Nuovo Testamento hanno preso il posto tenuto nell'Antico dal Decalogo inciso sulla pietra.
Esse non sopprimono i comandamenti, ma la loro
giustizia sovrabbondante va oltre tutte le prescrizioni e Gesù le trae dal
suo Cuore per imprimerle, meglio che sulla pietra, nel cuore del suo popolo.
Sono il ritratto perfetto del Figlio dell'uomo e riassunto della sua vita
redentrice. Guardate dunque e agite secondo il modello che si rivela a voi
sulla montagna (Es. 25, 40; Ebr. 8, 5).
La povertà fu il primo contrassegno del Dio
di Betlemme e chi mai apparve più dolce del figlio di Maria? chi pianse
per causa più nobile, se egli già nella greppia espiava le nostre colpe e
pacificava il Padre? Gli affamati di giustizia, i misericordiosi,
i puri di cuore, i pacifici dove troveranno fuori di lui il
modello insuperato, mai raggiunto e sempre imitabile? E la sua morte lo fa
condottiero dei perseguitati per la giustizia! Suprema beatitudine
questa della quale più che di tutte le altre, la Sapienza incarnata si
compiace e vi ritorna sopra e la precisa e oggi con essa termina, come in un
canto d'estasi.
La Chiesa non ebbe mai altro ideale. Sulla scia
dello Sposo, la sua storia nelle varie epoche fu eco prolungata delle Beatitudini.
Cerchiamo di comprendere anche noi e, per la felicità della nostra vita in
terra, in attesa dell'eterna, seguiamo il Signore e la Chiesa.
Le Beatitudini evangeliche sollevano l'uomo oltre i
tormenti, oltre la morte, che non scuote la pace dei giusti, anzi la
perfeziona.
Discorso di san Beda [1].
"In cielo non vi sarà mai discordia, ma vi sarà accordo in tutto e conformità piena, perché la concordia tra i Santi non avrà variazioni; in cielo tutto è pace e gioia, tutto è tranquillità e riposo e vi è una luce perpetua assai diversa dalla luce di quaggiù, tanto più splendida quanto più bella. Leggiamo nella Scrittura che la città celeste non ha bisogno della luce del sole, perché 'il Signore onnipotente la illuminerà e l'Agnello ne è la fiaccola' (Apoc. 21, 23). 'I Santi brilleranno come stelle nell'eternità, e quelli che istruiscono le moltitudini saranno come lo splendore del firmamento'
1228
(Dan. 12, 3). Là, non notte, non tenebre, né ammassi di nubi; non rigore di freddo, né eccessivo calore, ma uno stato di cose così bene equilibrato che 'occhio non vide e orecchio non udì e il cuore dell'uomo nulla mai comprese' (I Cor. 2, 9) di simile. Lo conoscono quelli che sono trovati degni di goderne e 'i nomi dei quali sono scritti nel libro della vita' (Fil 4,3) che 'hanno lavato il loro vestito nel sangue dell'Agnello e stanno davanti al trono di Dio, servendolo notte e giorno' (Apoc. 7, 14). 'Là non c'è vecchiaia, né debolezze della vecchiaia, perché tutti sono giunti allo stato dell'uomo perfetto, nella misura dell'età del Cristo' (Ef. 4, 13).
Ma quello che tutto
sorpassa è l'essere associati ai cori degli Angeli, dei Troni e delle
Dominazioni, dei Principati e delle Potenze; il godere della compagnia di
tutte le Virtù della corte celeste; il contemplare i diversi ordini dei
Santi, più splendenti che gli astri; il considerare i Patriarchi
illuminati dalla loro fede, i Profeti radiosi di speranza e di gioia, gli
Apostoli preparati a giudicare le tribù di Israele e tutto l'universo; i
Martiri, cinti del diadema splendente della porpora della vittoria e infine
le Vergini con la fronte coronata di candidi fiori" (18 Discorso sui
Santi).
La Chiesa dopo averci mostrato la bellezza e la
gioia del cielo, dopo la seducente esposizione sulla eternità, avrebbe potuto
presentarci la questione che san Benedetto pose al postulante, che bussava
alla porta del monastero: Vuoi la vita? vuoi vedere giorni felici? (Prologo
alla Regola). Avremmo anche noi prontamente risposto: sì. E pare che davvero
la questione ce l'abbia silenziosamente posta e che abbia udito il nostro sì,
perché prosegue adesso esponendoci le condizioni, necessarie per entrare nel
regno dei cieli.
"La speranza di giungere alla ricompensa della
salvezza ci alletti, ci attiri, lottiamo volentieri e con tutto l'impegno
nello stadio della santità; mentre Dio e Cristo ci guardano. Dato che già
abbiamo cominciato ad elevarci sopra il mondo ed il secolo, stiamo attenti,
perché nessun desiderio terreno ci attardi. Se l'ultimo giorno ci trova
svincolati da ogni cosa, se ci trova in agile corsa nel cammino delle buone
opere, il Signore non potrà fare a meno di ricompensare i nostri meriti.
Colui che
dà, come prezzo della sofferenza, a quelli che hanno saputo vincere nella
persecuzione, una corona imporporata, darà
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pure, come prezzo delle opere di santità, una corona
bianca a coloro che avranno saputo vincere nella pace. Abramo, Isacco,
Giacobbe non furono messi a morte, ma sono stati tuttavia ritenuti degni dei
primi posti fra i Patriarchi, perché tale onore meritarono con la fede e le
opere di giustizia, e coloro che saranno trovati fedeli, giusti e degni di
lode siederanno al banchetto con questi grandi giusti. Bisogna ricordare però
che dobbiamo compiere la volontà di Dio e non la nostra, perché 'chi fa la
volontà di Dio vive eternamente' (Gv. 2, 17) come vive eternamente Dio
stesso.
Bisogna
dunque che con spirito puro, fede ferma, virtù robusta, carità perfetta,
siamo preparati a compiere tutta la volontà di Dio, osservando con coraggiosa
fedeltà i comandamenti del Signore, l'innocenza nella semplicità, l'unione
nella carità, la modestia nell'umiltà, l'esattezza nell'impiego, la diligenza
nell'assistenza degli afflitti, la misericordia nel sollevare i poveri, la
costanza nella difesa della verità, la discrezione nella severità della
disciplina e infine bisogna che non lasciamo di seguire o dare l'esempio
delle buone opere. Ecco la traccia che tutti i Santi, tornando alla patria,
ci hanno lasciata, perché, camminando sulle loro orme, possiamo giungere alle
gioie che essi hanno raggiunto" (Beda, 18 Discorso sui Santi).
È utile lodare i Santi.
Una esortazione per i suoi figli la Chiesa la chiede
a san Bernardo, e ci parla con la sua voce.
"Dato che celebriamo con una festa solenne il
ricordo di tutti i Santi, diceva ai suoi monaci l'abate di Chiaravalle, credo
utile parlarvi della loro felicità comune nella quale gioiscono di un beato
riposo e della futura consumazione che attendono. Certo, bisogna imitare la
condotta di quelli che con religioso culto onoriamo; correre con tutto lo
slancio del nostro ardore verso la felicità di quelli che proclamiamo beati,
bisogna implorare il soccorso di quelli dei quali sentiamo volentieri
l'elogio.
A che serve ai Santi la nostra lode? A che serve il nostro
tributo di glorificazione? A che serve questa stessa solennità? Quale utile
portano gli onori terrestri a coloro che il Padre celeste stesso, adempiendo
la promessa del Figlio, onora? Che cosa fruttano loro i nostri omaggi? Essi
non hanno alcun desiderio di tutto questo. I santi non hanno bisogno delle
nostre cose e la nostra divozione non reca loro alcun vantaggio: ciò è cosa
assolutamente vera.
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Non si tratta di loro vantaggio, ma nostro, se noi
veneriamo la loro memoria. Volete sapere come abbiamo vantaggio? Per conto
mio, confesso che, ricordando loro, mi sento infiammato di un desiderio
ardente, di un triplice desiderio.
Si dice comunemente: occhio non vede, cuore non duole. La
mia memoria è il mio occhio spirituale e pensare ai Santi è un po' vederli,
e, ciò facendo, abbiamo già 'una parte di noi stessi nella terra dei viventi'
(Sal. 141, 6), una parte considerevole, se la nostra affezione accompagna, come
deve accompagnarlo, il nostro ricordo. È in questo modo, io dico, che 'la
nostra vita è nei cieli' (Fil. 3, 20). Tuttavia la nostra vita non è in
cielo, come vi è la loro, perché essi vi sono in persona e noi solo con il
desiderio; essi vi sono con la loro presenza e noi solo con il nostro
pensiero".
Desiderare l'aiuto dei Santi.
"Perché possiamo sperare tanta beatitudine dobbiamo desiderare ardentemente l'aiuto dei Santi, perché quanto non possiamo ottenere da noi ci sia concesso per la loro intercessione.
Abbiate pietà di noi, sì, abbiate pietà di noi, voi
che siete nostri amici. Voi conoscete i nostri pericoli, voi conoscete la
nostra debolezza; voi sapete quanto grande è la nostra ignoranza, e quanta la
destrezza dei nostri nemici; voi conoscete la violenza dei loro
attacchi e la nostra fragilità. Io mi rivolgo a voi, che avete provato le
nostre tentazioni, che avete vinto le stesse battaglie, che avete evitato le
stesse insidie, a voi ai quali le sofferenze hanno insegnato ad avere
compassione.
Io spero inoltre che gli angeli stessi non disdegneranno
di visitare la loro specie, perché è scritto: 'visitando la tua specie non
peccherai' (Giob. 5, 24). Del resto, se io conto su di essi perché noi
abbiamo una sostanza spirituale e una forma razionale simile alla loro, credo
di poter maggiormente confidare in coloro che hanno, come me, l'umanità e che
sentono perciò una compassione particolare e più intima per le ossa delle
loro ossa e la carne della loro carne".
Confidenza nella loro intercessione.
"Non dubitiamo della loro benevola sollecitudine a nostro riguardo. Essi ci attendono fino a quando anche noi non avremo avuta la nostra ricompensa, fino al grande giorno dell'ultima festa, nella
1231
quale tutte le membra, riunite alla testa sublime, formeranno l'uomo perfetto in cui Gesù Cristo, nostro Signore, degno di lode e benedetto nei secoli, sarà lodato con la sua discendenza. Così sia" (Discorso sui Santi, passim).
Imitare coloro che si lodano.
Troviamo in san Giovanni
Crisostomo la dottrina già esposta: è cosa buona lodare i Santi, ma alla lode
bisogna unire l'imitazione delle loro virtù.
"Chi ammira con religioso amore i meriti dei Santi e
celebra con lodi ripetute la gloria dei giusti è tenuto ad imitare la loro
vita virtuosa e la loro santità. È necessario infatti che chi esalta con
gioia i meriti di qualche santo abbia a cuore di essere come lui fedelmente
impegnato nel servizio di Dio. O si loda e si imita, o ci si astiene anche
dal lodare. Sicché, dando lode ad un altro, ci si rende degni di lode e,
ammirando i meriti dei Santi, si diventa ammirabili per una vita santa. Se
amiamo le anime giuste e fedeli, perché apprezziamo la loro giustizia e la
loro fede, possiamo anche essere quello che sono, facendo quello che
fanno".
"Non ci è difficile imitare le loro azioni, se consideriamo che i primi Santi non ebbero esemplari innanzi a sé e quindi non imitarono altri, ma si fecero modello di virtù degno di essere imitato, affinché, con il profitto che noi ricaviamo imitando loro e con quello che il prossimo ricaverà, imitando noi, Gesù Cristo nella sua Chiesa sia glorificato perpetuamente dai suoi servi.
Così avvenne fin dai primi tempi del mondo. Abele,
l'innocente, fu ucciso, Enoc fu rapito in cielo, perché ebbe la fortuna di
piacere a Dio, Noè fu trovato giusto, Abramo fu approvato da Dio, perché
riconosciuto fedele, Mosè si distinse per la mansuetudine, Giosuè per la
castità, Davide per la dolcezza, Elia fu gradito al Signore, Daniele fu pio e
i suoi tre compagni furono vittoriosi, gli Apostoli, discepoli di Cristo,
furono designati maestri dei credenti e i Confessori, da loro istruiti
combatterono da forti, mentre i martiri, consumati nella perfezione,
trionfano e legioni di cristiani, armati da Dio, continuamente respingono il
demonio. Per ciascuno di essi la lotta è diversa, ma le virtù sono simili e
le vittorie di tutti restano gloriose".
1232Necessità del combattimento.
Tu, o cristiano, sei soldato ben meschino, se credi di vincere senza combattere e di raggiungere il trionfo senza sforzo! Spiega le tue forze, lotta con coraggio, combatti, senza debolezze, nella mischia. Mantieni il patto, rimetti sulle condizioni, renditi conto di che cosa sia l'essere soldato, il patto che hai concluso, le condizioni che hai accettate, la milizia nella quale ti sei arruolato" (Giovanni Crisostomo, Discorso sulla imitazione dei Martiri).
La nostra risurrezione.
Ci giova oggi ricordare la dottrina sulla risurrezione
dei morti, che san Paolo esponeva un giorno ai fedeli di Corinto, sulla
grandiosa cerimonia liturgica che la seguirà, e sulla visione beatifica, che
avremo in premio nell'eternità.
Noi risusciteremo, perché Cristo è risuscitato.
Questa dottrina riassume in certo modo tutto il cristianesimo. Il battesimo è
inserzione di ciascuno di noi in Cristo e dal momento che noi siamo entrati
nell'unità della sua vita e formiamo con lui un solo corpo mistico e reale
insieme, l'interesse è comune, la condizione nostra è legata alla sua, quello
che è avvenuto in lui deve avvenire in noi: la morte, il seppellimento, la
risurrezione, l'ascensione, la vita eterna in Dio. Le membra avranno la sorte
del capo e potremmo dire, propriamente parlando, di essere già risuscitati in
Gesù Cristo, perché la sua Risurrezione è causa, motivo, esempio, sicura
garanzia della nostra.
Cristo non è risuscitato per sé solo, per conto suo, ma
per noi tutti. Nella legge antica erano offerte a Dio le spighe mature, in
nome di tutta la messe. Il Signore, se è un essere individuale, è pure il
secondo Adamo, essere vivente, che comprende in sé la moltitudine di quelli
che da lui son nati e perciò, se egli è risuscitato, tutti sono risuscitati,
ma ciascuno a suo tempo; Cristo per primo, poi tutti quelli che sono di
Cristo risusciteranno alla sua venuta. Dopo sarà la fine.
L'inizio della vita eterna.
"Sarà la fine. La fine del periodo laborioso nel
corso del quale il Signore raccoglie il numero dei suoi eletti, stabilisce il
suo regno e annienta i suoi nemici. Si potrebbe dire altrettanto bene inizio
del-
1233
la vita nuova, compimento del disegno di Dio con il
ritorno a lui di tutto quanto avrà acconsentito ad appartenere a Cristo
Nostro Signore Gesù Cristo, dopo aver trionfato di tutte le potenze nemiche,
debellata ogni autorità e scardinato ogni potere ostile al suo, porterà a
Dio, suo Padre, tutte le nature umane delle quali è re e, avendo qual Figlio
operato solo per il Padre, gli riconsegnerà il comando su tutta la sua
conquista. Sì, noi lo sappiamo, tutto si piegherà davanti a Dio in cielo,
sulla terra, e nell'inferno; tutto sarà sottomesso, fuorché Colui, che ha
sottomesso a sé tutte le cose.
L'eternità comincerà con una
cerimonia liturgica di infinita grandezza. Il Verbo Incarnato, nostro Signore
Gesù Cristo, il re predestinato, circondato dagli Angeli, dagli uomini nati
per la sua grazia e viventi la sua vita, si metterà alla testa della falange
che il Padre gli ha dato e la guiderà e condurrà verso il santuario eterno.
Si presenterà con essi davanti al Padre e presenterà e offrirà a lui la messe
immensa degli eletti germogliati dal suo sangue e si sottometterà con essi
alla paterna dominazione di Colui, che tutto gli donò e sottomise,
rimettendogli lo scettro e la regalità della creazione da lui conquistata,
che con lui entrerà nel seno della Trinità. La famiglia di Dio sarà allora
completa e Dio sarà tutto in tutti".
Dio è tutto in tutti.
"Dio tutto in tutti: l'espressione ha per il
nostro pensiero qualcosa di prodigioso e di meraviglioso... Oggi Dio non è
tutto in me e io non sono in relazione diretta con lui, ma sempre tra noi sta
l'importuna creazione e io arrivo a Dio a prezzo di un lento e penoso cammino
sempre avvolto nella oscurità. Il mio pensiero non vede Dio e la fede stessa me
lo vela: non sono un essere intelligente, e non lo sarò che quando Dio si
offrirà come oggetto alla mia intelligenza finalmente desta, il giorno in cui
Dio, per mostrarsi a me, si unirà alla mia intelligenza, perché io possa
conoscerlo. Come dire questo? Dio sarà allora alla radice stessa del mio
pensiero, perché io lo veda, alla radice della mia volontà, perché io lo
possieda, alla radice e al centro del mio cuore, perché io l'ami. Egli allora
sarà la bellezza che amo e sarà in me il cuore che ama la bellezza, sarà il
termine e l'oggetto dei miei atti e in me ne sarà il principio.
Questa gloriosa appartenenza della mia anima a Dio si
prepara sulla terra con l'unione a Cristo. Nell'eternità entreremo totalmente
nella vita di Dio, se quaggiù saremo interamente conformati a Cri-
1234sto. Questa è l'idea fondamentale del cristianesimo: essere con Cristo nel tempo, per essere con Dio nell'eternità (Dom Delatte, Epistole di san Paolo, I, 379-383)".
PREGHIAMOO Dio onnipotente ed eterno, che ci hai concesso di venerare con una sola solennità i meriti di tutti i tuoi Santi; ti preghiamo di accordarci, in vista di tanta moltitudine di intercessori, l'abbondanza della tua misericordia.
[1] Il discorso,
attribuito a san Beda, pare piuttosto di Walfrido Strabone, o più
probabilmente ancora di Helischar di Treviri. Riv. Ben. 1891, p. 278
da: P. GUÉRANGER, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. ROBERTI, P. GRAZIANI e P. SUFFIA, Alba, Edizioni Paoline, 1959, pp. 1222-1234.
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