lunedì 19 febbraio 2018

De Gregori da un'intervista....

Riprendo un tema d'attualità (e anche gossip che ha riempito noiosamente tutte le cronache) degli ultimi mesi secondo le oneste parole del cantautore, 
che approfitta anche per riguardare in maniera inedita tutta una stagione di contenuti e atteggiamenti, e pure di deformazioni ideologiche. 
Estraggo da Libero:

Molestie sessuali, Francesco De Gregori: "Il caso Weinstein? Le donne possono scegliere" 


In fondo lo avevamo sempre saputo, che era dei nostri. Uno che immedesimandosi in Bufalo Bill canta «tra la vita e la morte avrei scelto l' America» non può essere dei loro, dei terzomondisti risentiti, dei censori multiculti, degli intossicati ideologici. Francesco De Gregori è ormai un corpo estraneo nell' album di famiglia del luogocomunismo di sinistra, tanto che vorremmo candidarlo a portabandiera intellettuale dei liberali e di conservatori.

Esageriamo? Ascoltate cosa dice, in un' intervista a Vanity Fair. Anzitutto la sconfessione di un mondo, il suo: «Nel lavoro di Rita Pavone, Gianni Morandi o Nicola Di Bari ritrovo una nettezza di significato», e «nessuna traccia di quella pretesa pedagogica che i cantautori, me compreso, portarono dentro le canzoni». È l' equivoco di almeno una generazione, nacque «quando alcuni cominciarono a pensare che la canzone dovesse non soltanto intrattenere, ma indirizzare il pensiero», per poi confessare: «Non scriverei più La Storia», perché «ci sono versi che hanno l' olezzo del gentismo, che parlano della gente a sproposito».

Ma non basta, De Gregori vuole andare a fondo nell' autoanalisi: «È sempre più difficile capire chi nella politica esprima le ragioni dei deboli e chi dei forti, per cui reagisco facendo un passo indietro». Uno scartamento di lato rispetto alle passioni ideologiche totalizzanti: «La mattina ho altro da fare: fumarmi la sigaretta al bar o parlare con quello che pulisce le foglie ai giardinetti». Un saggio minimalismo esistenziale, perché pare un delitto «entusiasmarsi per una legge elettorale di cui non si capisce niente».

Ma il pezzo forte è un altro: «Ho il massimo rispetto per chi ha scelto di votare Trump. Credo che sulla sua vittoria abbia pesato soprattutto un' ansia estetica del politicamente corretto che personalmente ho sempre trovato insopportabile». È il ripudio dell' antitrumpismo di professione, seguito da un altro non meno traumatico. Quello del femminismo vittimistico: «Se una donna viene sottoposta a un ricatto di quel tipo ha due scelte: dire sì o no. Se dice sì non è una mignotta, se dice no non è una perseguitata. Scegliere appartiene alla libertà dell' individuo, ognuno fa i calcoli che crede». La libertà dell' individuo è la stella polare, è la pernacchia definitiva ai dogmi della Chiesa progressista, è quasi un De Gregori thatcheriano e reaganiano.

Non a caso, il gran finale è tutto contro la «cultura del piagnisteo» che ha ormai egemonizzato la sinistra degli attici e degli aperitivi. Se non è un grande eroe conservatore questo...

di Giovanni Sallusti

1 commento:

  1. ora esistono pure le "molestie percepite"

    http://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/luigi-81265/

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