Era il febbraio 2016. Papa Bergoglio si trovava sul volo di ritorno
dal Messico e - nella solita conferenza stampa aerea - gli fu chiesto
cosa pensava della legge sulle unioni civili che era in discussione nel
nostro Parlamento. Rispose: «Io non so come stanno le cose nel
Parlamento: il Papa non si immischia nella politica italiana».
In quella stessa circostanza però Bergoglio s’immischiò nella
politica americana attaccando Trump per aver proposto di fare il muro
contro l’immigrazione al confine col Messico.
Del resto se si parla di migranti Bergoglio s’immischia pure nella
politica italiana.
A parole Bergoglio, quel 18 febbraio 2016, affermò:
«Il Papa non può mettersi nella politica concreta, interna di un Paese:
questo non è il ruolo del Papa».
Però in pratica egli interviene pesantemente e pretende che l’Italia
faccia la legge sullo ius soli. Ecco qualche titolo di giornale degli
ultimi mesi. «Messaggio di papa Francesco: sì allo ius soli e allo ius
culturae» (Repubblica, 21 agosto); «Migranti, Papa Francesco: “la
nazionalità va riconosciuta alla nascita”» (Rai news 21 agosto); «Papa
Francesco: “Immigrati, i politici che fomentano la paura seminano
violenza razzista”» (Libero, 24 novembre). «Papa Francesco torna a
chiedere lo ius soli, serve una legge più attinente al contesto sociale»
(Il Messaggero, 27 settembre). Egli bombarda da mesi per imporre
all’Italia quella legge sullo Ius soli che si guarda bene
dall’introdurre nello Stato vaticano (di cui lui è sovrano assoluto).
Per questo scopo mobilita pure i vescovi: «Cei, Galantino: “Accelerare
sullo ius soli”» (Il Giornale, 28 settembre). Sottotitolo: «Prosegue la
pressione della Cei per lo ius soli. Questa volta a chiedere
l’approvazione è il segretario della Conferenza episcopale italiana,
monsignor Nunzio Galantino». Addirittura nel febbraio 2017 Bergoglio era
stato il primo firmatario della petizione del Sermig per chiedere al
Parlamento italiano di approvare lo Ius Soli (vedi Avvenire, 26 febbraio
2017).
INGERENZECredo sia il primo caso di una
petizione al Parlamento italiano firmata da un papa che - oltre ad
essere un Capo di stato straniero - non è nemmeno mai stato cittadino
italiano. Un’ingerenza che potrebbe anche creare problemi con lo Stato
italiano in base alle norme concordatarie. Del resto sta creando anche
grossi dissensi dentro la Chiesa, perché è del tutto irrituale
intervenire così su una questione come le norme sulla cittadinanza che è
complessa e opinabile.
L’Italia già oggi, con l’attuale legislazione, è il Paese che, in
Europa, concede più cittadinanze: 202 mila nel 2016. L’Istat dice che
gli extracomunitari che ogni anno diventano cittadini italiani sono
sempre di più e sono addirittura quadruplicati in cinque anni (nel 2011
erano meno di 50 mila, oggi 200 mila). È dunque perfettamente normale (e
legittimo) che la maggior parte degli italiani - e alcuni partiti -
siano contrari a un ulteriore allargamento delle maglie e non si vede
perché il Papa debba attaccarli e debba fare una crociata politica su un
questione simile, che peraltro non riguarda né lui, né la Chiesa, né
l’insegnamento morale della Chiesa.
I RUOLIAnzi, l’opporsi allo ius soli s’ispira a
quella saggia “prudenza” che la stessa dottrina cattolica (diversamente
da quella bergogliana) sempre consiglia sul tema delle migrazioni di
massa. Ecco perché in queste ore un cardinale importante come
l’americano Raymond Leo Burke - interpellato sulla fissazione
bergogliana per lo ius soli italiano - ha risposto: «Il ruolo della
Chiesa non è promuovere una legge che tratta giudizi prudenziali sui
quali uomini giusti possono avere diversi pareri (…). Per me è sbagliato
che la Chiesa eserciti il ruolo di un partito in appoggio a una legge
specifica in una questione che deve essere tenuta dentro il confine di
un giudizio prudenziale». Nel caso di leggi che toccano questioni
fondamentali come il diritto alla vita, il matrimonio e la famiglia -
dice Burke - «la Chiesa deve esporre i suoi principi morali», ma «sullo
ius soli credo si debba essere prudenti a causa delle ripercussioni del
provvedimento sull’identità di questo Paese». Una preoccupazione,
questa, che è consigliata anche dai recentissimi dati sull’espansione
dell’islam nei paesi europei forniti dal Pew Research Center di
Washington, un istituto di ricerca demoscopica fra i più autorevoli del
mondo. Secondo l’istituto alla fine del 2016 c’erano, nei trenta paesi
europei analizzati, circa venticinque milioni e 770 mila musulmani,
ovvero il 4,9 per cento della popolazione complessiva.
Lo studio prospetta poi tre scenari: il blocco totale e immediato
dell’ondata migratoria; la sua prosecuzione, ma in modo ordinato e
regolato; infine la sua prosecuzione senza regole com’è stato finora.
Ebbene, l’istituto prevede che l’attuale percentuale di musulmani è
destinata ad aumentare in modo significativo anche nel caso in cui oggi
venisse completamente bloccato il flusso migratorio.
NUMERINel secondo caso - quello di mezzo -
avremo un’Europa dove, nel 2050, i musulmani saranno 57,9 milioni
(l’11,2 per cento della popolazione) e in Italia avrebbero - per varie
ragioni - un’incidenza maggiore passando dagli attuali 2 milioni e 870
mila a 7 milioni (ovvero dal 4,8 per cento al 12,4 per cento). Sarà per
ora una preoccupazione eccessiva, ma - con questo andazzo - c’è chi
ricorda la sorte dei cristiani nei paesi musulmani. Monsignor Amel Nona,
l’arcivescovo caldeo di Mosul tempo fa ci ammonì: «Le nostre sofferenze
di oggi sono il preludio di quelle che subirete anche voi europei e
cristiani occidentali nel prossimo futuro».
Ecco perché il card. Burke ha invitato alla prudenza. Come in
precedenza aveva fatto l’arcivescovo emerito di Ferrara, mons. Luigi
Negri secondo cui, la cittadinanza «non può diventare oggetto di una
concessione automatica o meccanica che non implichi la valutazione dei
fattori che sono in gioco, di tutti i fattori e a tutti i livelli». In
materie così complesse e opinabili, ha detto mons. Negri, la Chiesa «non
può pretendere di arrivare a formulare in maniera autoritativa
soluzioni perché non le competono».
Sul tema dell’emigrazione, ultimamente, è intervenuto - in
controtendenza rispetto a Bergoglio - anche il card. Robert Sarah, una
voce significativa anche perché viene da un paese povero dell’Africa,
cioè dalla terra dove si generano i flussi migratori.
LA MISSIONEIl prelato, durante un recente
viaggio in Polonia, all’unisono con i vescovi africani, ha ricordato il
principio enunciato da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI secondo cui
il primo diritto è quello di «non emigrare», cioè «il diritto di
rimanere nella propria patria». Un principio di buon senso che oggi
sembra dimenticato in Vaticano. Naturalmente il card. Sarah ha affermato
che «ogni immigrato è un essere umano e va rispettato», però - per
governare la situazione - occorre discernimento e Sarah ha sottolineato
«il diritto che ogni nazione ha di fare una distinzione fra un rifugiato
politico e religioso e i migranti economici che vogliono cambiare il
loro luogo di residenza», magari senza accettare la cultura del Paese di
arrivo. Poi il cardinale ha attaccato l’ideologia oggi dominante che
tende «a erodere i confini naturali delle patrie e le culture, e conduce
a un mondo post-nazionale e unidimensionale dove l’unica cosa che conta
sono il consumo e la produzione. Questa direzione di sviluppo è
inaccettabile».
Infine Sarah ha elogiato la Polonia, proprio la Polonia che la Ue
critica per la chiusura all’emigrazione islamica, proprio la Polonia
malvista dal Vaticano bergogliano dove milioni di persone si ritrovano
ai confini per recitare il rosario nella memoria del centenario di
Fatima e di Lepanto: «Oggi» ha detto il card. Sarah «la Polonia mostra
la strada, quando nega un'obbedienza automatica alle richieste che
scaturiscono dall'esterno, dalla globalizzazione liberale… La Polonia
deve essere la sentinella dell’Europa».
di Antonio Socci
da http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/13287016/vaticano-scisma-antonio-socci-cardinali-contro-papa-francesco-ius-soli.html