SECONDA DOMENICA
DI PASSIONE
O DOMENICA DELLE PALME
La
partenza da Betania.
Di primo mattino, Gesù
lascia a Betania Maria sua madre, le due sorelle Marta e
Maria Maddalena, con Lazzaro, e si dirige a Gerusalemme
in compagnia dei discepoli. Trema la Vergine, nel vedere
così il Figlio avvicinarsi ai suoi nemici, che bramano
versare il suo sangue; però oggi, Gesù, non va incontro
alla morte a Gerusalemme, ma al trionfo. Bisogna che il
Messia, prima d'essere sospeso alla croce, sia, in
Gerusalemme, proclamato Re dal popolo; e che di fronte
alle aquile romane, sotto gli occhi dei Pontefici e dei
Farisei rimasti muti per la rabbia e lo stupore, la voce
dei fanciulli, mescolandosi con le acclamazioni della
cittadinanza, faccia echeggiare la lode al Figlio di
David.
Avveramento
della Profezia.
Il profeta Zaccaria
aveva predetta l'ovazione preparata dalla eternità
al Figlio dell'uomo, alla vigilia delle sue
umiliazioni: "Esulta grandemente, o figlia di Sion,
giubila, o figlia di Gerusalemme; ecco viene a te il tuo
Re, il Giusto, il Salvatore: egli è povero, e cavalca un'asina
e un asinello" (Zc 9,9). Vedendo Gesù ch'era
venuta l'ora del compimento di questo oracolo,
prende in disparte due discepoli, e comanda loro di
portargli un'asina ed un puledro d'asina che
troveranno poco lontano di lì. Mentre il Signore
giungeva a Betfage, sul monte degli Olivi, i due
discepoli s'affrettano ad eseguire la commissione
del loro Maestro.
I due
popoli.
I santi Padri ci
han data la chiave del mistero di questi due animali. L'asina
figura il popolo giudeo sottoposto al giogo della Legge; "il puledro sul quale, dice il Vangelo, nessuno è
ancora montato" (Mc 11,2), rappresenta la gentilità,
non domata da nessuno fino allora. La sorte di questi due
popoli sarà decisa da qui a pochi giorni: il popolo
giudaico, per aver respinto il Messia, sarà abbandonato
a se stesso e in suo luogo Dio adotterà le nazioni che,
da selvagge che erano, diventeranno docili e fedeli.
Il corteo del
trionfo.
I discepoli stendono
i mantelli sull'asinello; allora Gesù, perché
fosse adempita la figura profetica, monta su quell'animale
(ivi 11,7) e s'accinge così ad entrare nella città.
Nel contempo si sparge la voce in Gerusalemme che arriva
Gesù. Mossa dallo Spirito divino, la moltitudine dei
Giudei, convenuta d'ogni parte nella santa città
per celebrare la festa di Pasqua, esce ad incontrarlo,
agitando palme e riempiendo l'aria di evviva. Il
corteo che accompagnava Gesù da Betania si confonde si
confonde con quella folla trasportata dall'entusiasmo:
ed alcuni stendono i loro mantelli sulla terra che Gesù
dovrà calcare, altri gettano ramoscelli di palme al suo
passaggio. Echeggia un grido: Osanna! E la grande
nuova per la città è, che Gesù, figlio di David, vi
sta facendo il suo ingresso come Re.
Regalità
del Messia.
In tal modo Dio, con
la potenza che ha sui cuori, approntò un trionfo al
Figliol suo in questa città, che di lì a poco doveva a
gran voce reclamare il suo sangue. Questo giorno fu un
momento di gloria per Gesù; e la santa Chiesa vuole che
tutti gli anni noi rinnoviamo tale trionfo dell'Uomo-Dio.
Al tempo della nascita dell'Emmanuele, vedemmo
arrivare i Magi dal lontano Oriente e cercare e chiedere,
in Gerusalemme, del Re dei Giudei per offrirgli i loro
doni; oggi è la stessa Gerusalemme che si muove al suo
incontro. Questi due fatti sono in rapporto ad un unico
fine: riconoscere la regalità di Gesù Cristo: il primo
da parte dei Gentili, il secondo da parte dei Giudei.
Mancava che il Figlio di Dio, prima di soffrire la
Passione, ricevesse l'uno e l'altro omaggio
insieme: e l'iscrizione che presto Pilato farà collocare sul capo del
Redentore, Gesù
Nazareno, Re dei Giudei, esprimerà il
carattere indispensabile del Messia. Invano i nemici di Gesù si sforzeranno in tutti i modi di far cambiare i
termini di quella scritta; non ci riusciranno. "Quel
che ho scritto ho scritto", risponderà il
governatore romano, che, senza saperlo, di sua mano
dichiarò l'adempimento delle Profezie. Oggi Israele
proclama Gesù suo Re; domani Israele sarà disperso in
punizione del suo rinnegamento; ma Gesù da lui oggi
proclamato Re, tale rimane nei secoli. Così s'adempiva
esattamente l'oracolo dell'Angelo che parlò a
Maria, annunciandole le grandezze del figlio che doveva
nascere da lei: "Il Signore Dio gli darà il trono
di David suo padre, e regnerà in eterno sulla casa di
Giacobbe" (Lc 1,32-33). Oggi comincia Gesù il suo
regno sulla terra; e se il primo Israele non tarderà a
sottrarsi al suo scettro, un nuovo Israele, sorto dalla
porzione fedele dell'antico, e formato da tutti i
popoli della terra, offrirà a Cristo un impero più
vasto, che mai conquistatore sognò.
Tale è il mistero
glorioso di questo giorno, in mezzo alla tristezza della
Settimana dei dolori. La santa Chiesa oggi vuole che
siano sollevati i nostri cuori da un momento di
allegrezza, e che salutiamo Gesù nostro Re. Ella ha
perciò disposto il sevizio divino di questa giornata, in
modo da esprimere insieme la gioia, unendosi agli evviva
che risuonarono nella città di David; la tristezza,
tornando subito a gemere sui dolori del suo Sposo divino.
Tutta la funzione è suddivisa come in tre atti distinti,
di cui successivamente spiegheremo i misteri e le
intenzioni.
La
benedizione delle palme.
La benedizione delle
palme, o dei rami, è il primo atto che si svolge sotto i
nostri occhi; e se ne può giudicare l'importanza
dalla solennità di cui fa pompa la Chiesa. Si disse per
tanto tempo, che il Sacrificio veniva offerto con l'unico
intento di celebrare l'anniversario dell'ingresso
di Gesù in Gerusalemme. L'Introito, la Colletta, l'Epistola,
il Graduale, il Vangelo e lo stesso Prefazio si
succedevano come a preparare l'immolazione dell'Agnello
senza macchia; ma arrivati al triplice: Sanctus!
Sanctus! Sanctus! la Chiesa sospendeva queste formule
solenni, e per mezzo dei suo ministro procedeva alla
santificazione dei rami che sono lì accanto.
Dopo la recente
riforma, appena cantata l'antifona Osanna,
questi rami, oggetto della prima parte della funzione,
ricevono, in virtù di una sola preghiera seguita dall'incensazione
e dall'aspersione di acqua benedetta, una forza che
li eleva all'ordine soprannaturale e li rende capaci
di santificare le anime, di proteggere i nostri corpi e
le nostre case. Durante la processione, i fedeli devono
tenere rispettosamente in mano questi rami e portarli poi
nelle loro case come segno della loro fede e promessa
dell'aiuto divino.
Antichità
del rito.
È superfluo
spiegare al lettore, che le palme ed i ramoscelli di
olivo che ricevono in questo momento la benedizione della
Chiesa, stanno a ricordare quelle con le quali il popolo
di Gerusalemme onorò l'entrata trionfale del
Salvatore; ma è opportuno aggiungere qualche parola sull'antichità
di questa tradizione. Essa cominciò presto in Oriente,
probabilmente dalla pace della Chiesa a Gerusalemme. Nel
IV secolo san Cirillo, vescovo di questa città, pensava
che ancora esistesse nella valle del Cedron il palmizio
che fornì i rami al popolo che andò incontro a Gesù (Catechesi,
x); quindi, niente di più naturale che prendere da ciò
occasione per istituire una commemorazione anniversaria
di questo avvenimento. Nel secolo seguente si vede questa
cerimonia, non solo fissata nelle chiese d'Oriente,
ma anche nei monasteri, di cui erano popolate le
solitudini dell'Egitto e della Siria. Arrivata la
Quaresima, molti santi monaci ottenevano il permesso dal
loro abate d'internarsi nel deserto, per passare
questo tempo in un profondo ritiro; ma dovevano rientrare
al monastero per la Domenica delle Palme, come sappiamo
dalla vita di sant'Eutimio, scritta dal suo
discepolo Cirillo. In Occidente, questo rito non si
stabilì così presto; la prima traccia la riscontriamo
nel Sacramentarlo di san Gregorio: il che equivale alla
fine del VI secolo, od all'inizio del VII. Man mano
che la fede si propagava verso il Nord, non era più
possibile solennizzare tale cerimonia in tutta la sua
integrità, poiché in quei climi non crescevano né
palmizi né oliveti. Fu giocoforza sostituirli con rami d'altri
alberi; però la Chiesa non permise di cambiare nulla
delle orazioni che erano prescritte nella benedizione di
questi rami, perché i misteri che si espongono in queste
belle preghiere si fondano sull'olivo e sulla palma
del racconto evangelico, figurati dai nostri rami di
bossolo o di lauro.
La
processione.
Il secondo rito di questa giornata è
la celebre processione che segue alla benedizione delle
palme. Essa ha lo scopo di rappresentare al vivo l'avvicinarsi
del Salvatore a Gerusalemme ed il suo ingresso in quella
città; appunto perché nulla manchi all'imitazione
del fatto descritto nel santo Vangelo, le palme benedette
vengono portate da tutti quelli che prendono parte a
detta processione. Presso i Giudei, tenere in mano dei
rami d'albero significava allegria; e la legge
divina sanzionava loro quest'uso. Dio aveva detto
nel libro del Levitino, stabilendo la festa dei
Tabernacoli: "Nel primo giorno prenderete i frutti
dell'albero più bello, dei rami di palma e dell'albero
più frondoso, dei salici del torrente, e vi rallegrerete
dinanzi al Signore Dio vostro" (Lv 23,40). Fu dunque
con l'intenzione di manifestare l'entusiasmo
per l'arrivo di Gesù fra le loro mura, che gli
abitanti di Gerusalemme, compresi i bambini, ricorsero a
tale gioiosa dimostrazione. Andiamo incontro anche noi al
nostro Re, e cantiamo Osanna al vincitore della morte ed
al liberatore del suo popolo.
Nel Medio Evo, in
molte chiese, si portava in processione il libro dei
santi Vangeli, che per le parole che contengono
rappresentano Gesù Cristo. A un punto stabilito e
preparato per una stazione, la processione si fermava:
allora il diacono apriva il sacro libro e cantava il
passo ov'è narrato l'ingresso di Gesù in
Gerusalemme. Quindi si scopriva la croce, fino allora
rimasta velata; e tutto il clero veniva a prostrarsi
solennemente in adorazione, depositando ciascuno ai suoi
piedi un frammento di ramoscello che teneva in mano. Poi
la processione ripartiva preceduta dalla croce, che
rimaneva senza velo, fino a che il corteo non fosse
rientrato in chiesa.
In Inghilterra e in
Normandia, nell'XI secolo, si praticava un rito che
rappresentava ancora più al vivo la scena di questo
giorno a Gerusalemme. Alla processione veniva portata in
trionfo la santa Eucaristia. Difatti a quest'epoca
era scoppiata l'eresia di Berengario contro la
presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucaristia; ed
un tale trionfo della sacra Ostia doveva essere un
lontano preludio dell'istituzione della Festa e
della Processione del Ss. Sacramento.
A Gerusalemme, nella
Processione delle Palme, si pratica anche un'altra
usanza, sempre allo scopo di rinnovare la scena
evangelica. L'intera comunità dei Francescani, che
sta alla custodia dei luoghi sacri, si reca di mattina a
Betfage, ove il Padre Guardiano di Terra Santa, in abiti
pontificali, monta un asinello adorno di vestiti e,
accompagnato dai religiosi e dai cattolici di
Gerusalemme, tenendosi tutti in mano la palma, fa l'ingresso
nella città e smonta alla porta della chiesa del Santo
sepolcro, dove si celebra la Messa con la maggiore
solennità.
Abbiamo qui riuniti,
secondo il nostro costume, i differenti fatti che possono
servire ad elevare il pensiero dei fedeli ai diversi
misteri della Liturgia. Queste manifestazioni di fede li
aiuteranno a comprendere come nella Processione delle
Palme, la Chiesa intenda onorare Gesù Cristo, presente
al trionfo che oggi gli tributa. Cerchiamo dunque con
amore "quest'umile e mite Salvatore che viene a
visitare la figlia di Sion", come dice il Profeta.
Egli è qui in mezzo a noi: a lui s'indirizzi l'omaggio
delle nostre palme, insieme a quello dei nostri cuori;
egli viene a noi per diventare nostro Re: accogliamolo
anche noi, dicendo: Osanna al figlio di David!
L'entrata
in chiesa.
La fine della processione, prima della
recente riforma, si distingueva per una cerimonia
improntata al più alto e profondo simbolismo. Al momento
di rientrare in chiesa, il corteo trovava le porte
serrate. S'arrestava la marcia trionfale; ma non
venivano sospesi i canti di gioia; un lieto ritornello
risuonava nell'inno speciale a Cristo Re, fino a che
il Suddiacono batteva con l'asta della croce la
porta; questa s'apriva, e la folla, preceduta dal
clero, rientrava in chiesa, glorificando colui che, solo,
è la Risurrezione e la Vita.
Questa scena sta ad
indicare l'entrata del Salvatore in un'altra
Gerusalemme, di cui quella della terra è soltanto la
figura. Quest'altra Gerusalemme è la patria
celeste, di cui Gesù ci ha aperte le porte. Il peccato
del primo uomo le aveva chiuse; ma Gesù il Re della
Gloria, ce le ha riaperte in virtù della Croce, alla
quale non hanno potuto resistere.
Il canto in onore di
Cristo Re è stato conservato, mentre invece è stato
soppresso il particolare della porta chiusa. Continuiamo
pertanto a seguire i passi del Figlio di David; egli è
pure Figlio di Dio e ci invita a partecipare al suo regno.
Nella Processione
delle Palme, commemorazione dell'avvenimento
realizzatosi in questo giorno, la santa Chiesa solleva la
nostra mente al mistero dell'Ascensione col quale
termina, in cielo, la missione del Figlio di Dio sulla
terra. Ma, ahimé, i giorni che separano l'uno dall'altro
questi due trionfi del Figlio di Dio, non sono sempre
giorni di gioia; infatti, è appena terminata la
processione con la quale la Chiesa s'è liberata per
un attimo della sua tristezza, che già iniziano i gemiti
e i lamenti.
La Messa.
La terza parte
della funzione odierna è l'offerta del santo
Sacrificio. Tutti i canti che l'accompagnano
esprimono desolazione e per completare la tristezza che
è caratteristica della giornata, la Chiesa ci fa leggere
il racconto della Passione del Redentore. Da cinque o sei
secoli fa, la Chiesa ha adottato un particolare
recitativo per la lettura di questo brano evangelico, che
diventa così un vero dramma. Si sente prima lo storico
raccontare quei fatti in tono grave e patetico; le parole
di Gesù hanno un accento nobile e dolce, che contrastano
in una maniera penetrante col tono elevato degli altri
interlocutori e coi gridi della plebaglia giudaica.
Nel momento in cui,
nel suo amore per noi, si lascia calpestare sotto i piedi
dei peccatori, noi dobbiamo proclamarlo più solennemente
nostro Dio e nostro Re.
Questi sono in
genere i riti della grande giornata. Non ci rimane che
inserire nel corso delle sacre letture, secondo il
solito, quei dettagli che crederemo necessari per
completare il significato.
Nomi dati
a questa Domenica.
Oltre al nome
liturgico e popolare di Domenica delle Palme, essa
è chiamata anche Domenica dell'Osanna, per
il grido di trionfo col quale i Giudei salutarono l'arrivo
di Gesù. Anticamente i nostri padri la chiamarono Domenica
della Pasqua fiorita, perché la Pasqua dalla quale
ci separano solo otto giorni, oggi si considera in fiore,
e i fedeli possono, fin da oggi, adempiere il dovere
della comunione annuale. Per il ricordo di tale
denominazione gli Spagnoli, avendo scoperta, la Domenica
delle Palme del 1513, quella vasta regione che confina
col Messico, la chiamarono Florida. Questa domenica la
troviamo chiamata anche Capitilavium, cioè lava-testa,
perché nei secoli della media antichità, quando si
rinviava al Sabato Santo il battesimo dei bambini nati
nei mesi precedenti, che potevano aspettare questo tempo
senza pericolo, i genitori lavavano oggi il capo dei loro
neonati, affinché il prossimo sabato si potesse fare con
decenza l'unzione del Sacro Crisma. In epoca più
remota tale Domenica, in certe chiese, veniva chiamata la
Pasqua dei Competenti, cioè dei Catecumeni
ammessi al santo battesimo. Questi si riunivano oggi in
chiesa, e si faceva loro una spiegazione particolare del
Simbolo che avevano ricevuto nello scrutinio precedente.
Nella chiesa gotica di Spagna lo si dava solo oggi.
Infine, presso i Greci, tale Domenica è designata col
nome di Bifora, cioè Porta Palme.
M E S S A
La Stazione è a
Roma, nella Basilica Lateranense, la chiesa Madre e
Matrice di tutte le chiese. Ai nostri giorni, però, la
funzione papale ha luogo a S. Pietro; ma tale deroga non
arreca pregiudizio ai diritti dell'Arcibasilica la
quale, anticamente, aveva oggi l'onore della
presenza del Sommo Pontefice, ed ha tuttora conservate le
indulgenze accordate a quelli che oggi la visitano.
Alla Messa solenne,
il Sacerdote si porta all'altare, e dopo aver
tralasciato il salmo Iudica me, Deus, e il Confiteor,
sale i gradini e lo bacia nel mezzo e lo incensa.
EPISTOLA
(Fil 2,5-11) – Fratelli: abbiate in voi gli
stessi sentimenti di Cristo Gesù, il quale,
esistendo nella forma di Dio, non considerò questa
sua uguaglianza con Dio come una rapina, ma annichilò
se stesso, prendendo la forma di servo, e, divenendo
simile agli uomini, apparve come semplice uomo; umiliò
se stesso fattosi obbediente fino alla morte e alla
morte di croce. Per questo però anche Dio lo esaltò
e gli donò un nome, che è sopra ogni altro nome,
tale che nel nome di Gesù si deve piegare ogni
ginocchio in cielo, in terra e nell'inferno, ed
ogni lingua deve confessare che il Signore Gesù
Cristo è nella gloria di Dio Padre.
Umiliazione
e gloria di Gesù.
La santa Chiesa
prescrive di genuflettere al punto dell'Epistola
dove l'Apostolo dice, che ogni ginocchio si deve
piegare nel pronunciare il nome di Gesù; e noi ne
abbiamo seguito il comando. Dobbiamo comprendere che, se
vi è un'epoca dell'anno in cui il Figlio di
Dio ha diritto alle nostre più profonde adorazioni è
soprattutto in questa Settimana, nella quale è lesa la
sua maestà, e lo vediamo calpestato sotto i piedi dei
peccatori. Indubbiamente i nostri cuori saranno animati
da tenerezza e compassione alla vista dei dolori che
sopporta per noi; ma non meno sensibilmente dobbiamo
risentire gli oltraggi e le bassezze di cui è fatto
segno, lui che è uguale al Padre e Dio come lui. Con le
nostre umiliazioni, rendiamo a lui, per quanto ci è
possibile, la gloria di cui egli si sveste per riparare
la nostra superbia e le nostre ribellioni; ed uniamoci ai
santi Angeli che, testimoni di tutto ciò che Gesù ha
accettato per il suo amore verso l'uomo, s'annientano
più profondamente, nel vedere l'ignominia alla
quale è ridotto.
Ma è ormai tempo d'ascoltare
il racconto della Passione del Signore. La Chiesa ne
legge la narrazione secondo i quattro Vangeli, nei
quattro differenti giorni della Settimana. Oggi comincia
col racconto di san Matteo, che per primo scrisse i fatti
della vita e della morte del Redentore.
Le lacrime
di Gesù.
Terminiamo questa
giornata del Redentore a Gerusalemme, richiamando alla
memoria gli altri fatti che la segnalarono. San Luca c'informa,
che fu durante la sua marcia trionfale verso questa città
che Gesù, vicino ad entrarvi, pianse su di lei e
manifestò il suo dolore con queste parole: "Oh se
conoscessi anche tu, e proprio in questo giorno quel che
giova alla tua pace! Ora invece è celato agli occhi tuoi.
Ché verranno per te i giorni nei quali i nemici ti
stringeranno con trincee, ti chiuderanno e ti
assedieranno d'ogni parte, e distruggeranno te e i
tuoi figli che sono in te, e non lasceranno in te pietra
su pietra, perché non hai conosciuto il tempo in cui sei
stata visitata" (Lc 19,42-44).
Qualche giorno fa
il santo Vangelo ci mostrò Gesù che piangeva sulla
tomba di Lazzaro; oggi lo vediamo spargere nuove lacrime
sopra Gerusalemme. A Betania piangeva pensando alla morte
del corpo, conseguenza e castigo del peccato; ma questa
morte non è senza rimedio. Gesù è "la
risurrezione e la vita; chi crede in lui non rimarrà
nella morte eterna" (Gv 11,25). Ma lo stato dell'infedele
Gerusalemme rappresenta la morte dell'anima; ed una
tale morte è senza risurrezione, se l'anima non
ritorna tempestivamente all'autore della vita. Ecco
perché sono tanto amare le lacrime che sparge oggi Gesù.
Il suo cuore è triste, proprio in mezzo alle
acclamazioni che fanno accoglienza al suo ingresso nella
città di David: perché sa, che molti "non
conosceranno il tempo che furono visitati".
Consoliamo il cuore del Redentore, e siamogli una
Gerusalemme fedele.
Gesù
torna a Betania.
Sappiamo da san
Matteo che il Signore andò a chiudere la giornata a
Betania. Naturalmente la sua presenza dovette sospendere
le materne inquietudini di Maria e tranquillizzare la
famiglia di Lazzaro. Ma in Gerusalemme nessuno si presentò
ad offrire ospitalità a Gesù; almeno il Vangelo non fa
alcuna menzione a questo riguardo. Le anime che
meditarono la vita del Signore si sono soffermate su
questa considerazione: Gesù onorato la mattina con
solenne trionfo, alla sera è ridotto a cercarsi il
nutrimento e il riposo fuori della città che lo aveva
accolto con tanti applausi. Nei monasteri dei Carmelitani
della riforma di santa Teresa esiste una consuetudine che
si propone d' offrire a Gesù una riparazione, per l'abbandono
in cui fu lasciato dagli abitanti di Gerusalemme. Si
presenta una tavola in mezzo al refettorio e vi si serve
un pasto; dopo che la comunità ha finito di cenare, quel
pasto offerto al Salvatore del mondo, viene distribuito
ai poveri, che sono le sue membra.
PREGHIAMO
O Dio onnipotente
ed eterno, che per dare al genere umano esempio d'umiltà
da imitare, hai deciso l'incarnazione del Salvatore e la sua passione in
croce; concedici propizio d'imitarlo nella sofferenza
per poter poi partecipare alla
risurrezione.
da: dom Prosper Guéranger, L'anno
liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima -
Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, pp. 674-683
Nessun commento:
Posta un commento